MEDITAZIONI

 

 

 

GESU’ INSEGNACI A VEGLIARE

 

GESU' IL BUON PASTORE

 

L'AMICIZIA

 

UN COMANDAMENTO NUOVO

 

VINCIAMO CON IL BENE IL MALE

 

OPERE DI MISERICORDIA

 

IL DISCORSO DELLA MONTAGNA

 

LA SALVEZZA

 

VENNE E ABITÓ TRA NOI

 

a cura di : adonaj.net

 

 

 

GESU' IL BUON PASTORE

L’evangelista san Marco nel cap.6,vers.30-44, ci narra la notizia del ritorno dei dodici mandati in missione.Questa serve a introdurre il primo racconto importante della cosiddetta sezione del pane.

Al centro di questi due fatti domina la figura di Gesù pastore, che si prende cura amorosa del popolo.

San Marco racconta con questo motivo tematico:"Quando Gesù sbarcò e vide tanta folla, ne ebbe compassione perché erano come pecore senza pastore"(6,34).A san Marco e alla sua comunità la folla numerosa raccolta attorno a Gesù nel luogo deserto ove si trovavano appare come l’antico popolo di Dio in marcia durante il peregrinare dell’esodo.

L’evangelista san Luca riprende il tema di Gesù buon pastore nel cap.15,vers.4-6, utilizzando immagini consuete della vita palestinese dell’epoca:"Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto per andare in cerca di quella perduta finché non la trova? E,trovatala, se la mette sulle spalle tutto contento e,giunto a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro:Rallegratevi con me perché ho ritrovato la mia pecora, quella che era perduta".

Gesù ci fa riflettere su una realtà nota ai suoi ascoltatori: la vita del pastore, il suo attaccamento al gregge, l’importanza anche di una sola pecora.

Ebbene, cari fratelli e sorelle, Dio è come un pastore a cui stanno a cuore tutte le pecore, una a una:infatti non esita a lasciare le altre novantanove per cercare l’unica pecora che si è smarrita.

Ma dobbiamo vedere che anche sotto un altro aspetto la parabola suonava familiare agli orecchi degli ascoltatori (così come deve essere oggi per noi): pastore e gregge sono una cosa sola. Come allora ogni israelita sentiva leggere e commentare nella sinagoga il capitolo 34 del profeta Ezechiele: Dio, il vero pastore, si preoccupa delle pecore più deboli, fascia quelle ferite e riunisce le disperse. Gesù, allo stesso modo, ci mostra che la sua accoglienza dei peccatori e di quanti soffrono (Egli partecipa e condivide con ognuno di noi) è conforme alle Scritture. Allora lo scandalo di Scribi e Farisei di ieri e di oggi contraddicono proprio quelle Scritture che essi dicono di venerare.

Fratelli e sorelle, anche prescindendo dall’ambiente culturale e dal retroterra biblico, la parabola è trasparente e parla da sé: basta osservarne la struttura, il centro e alcuni particolari.

Il racconto è diviso in due quadri. Entrambi sono significativi e indispensabili, tuttavia il peso della narrazione cade sul secondo. Il primo descrive l’iniziativa del pastore e la sua ricerca, il secondo la gioia del ritrovamento. E’ questo il cuore del messaggio che ci trasmette Gesù. E’ questo il motivo conduttore che scandisce i tre tempi della storia raccontata nel secondo quadro: la gioia del ritrovamento, la festa con gli amici e i vicini, la gioia del cielo. Nella realtà è la gioia che Gesù prova vedendo che i peccatori e i sofferenti lo ascoltano, credono e hanno fede, dunque un sentimento che egli vuole condividere con tutti. E’ la gioia che in Gesù si fa visibile, è la gioia di Dio Padre per i peccatori che si convertono.

La parabola svolge dunque il tema della conversione? In un certo senso sì, ma da un punto di vista del tutto insolito. La conversione non è vista dalla parte del peccatore, ma da quella di Dio.

Infatti, l’attenzione è tutta concentrata su Dio –su ciò che egli fa cercare il peccatore smarrito e su ciò che prova quando lo ritrova-, non su che cosa debba fare il peccatore per essere riaccolto da Dio.

E’ a questo punto che l’ascolto di Dio, da parte del cristiano convertito, significa in concreto l’ascolto della Parola contenuta nella Bibbia. Il contatto con questa Parola scritta porta, infatti, a una ricchezza di vita inaspettata.

E per chiarire questo concetto, ribaltiamo la situazione iniziale, e pensiamo al pastore che ci ha tratto in salvo.

Leggiamo insieme il Salmo 23.

Il signore è il mio pastore:
non manco di nulla;
su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Mi rinfranca,mi guida per il giusto cammino,
per amore del suo nome.
Se dovessi camminare in una valle oscura,
non temerei alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa
Sotto gli occhi dei miei nemici;
cospargi di olio il mio capo.
Il mio calice trabocca.
Felicità e grazia mi saranno
compagne tutti i giorni della mia vita,
e abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni.

E’ un Salmo che abbiamo cantato tante volte nella liturgia delle Messe domenicali e feriali, eppure forse non lo conosciamo sul serio. Questo Salmo, il Salmo del Pastore, ci procurerà tanta luce e conforto, perché parla di un pastore, anzi del Signore sotto l’immagine del pastore, come abbiamo meditato all’inizio, e ne sviluppa il simbolo.

In esso si esprime molto bene la tensione spirituale, psicologica, umana e teologica dell’invocazione "Perché tu sei con me", è un’affermazione che sta, quasi visivamente, a metà del canto, della preghiera del salmista, e riassume tutto in una espressione di grande fiducia: tu sei con me.

Cerchiamo di capire che cosa significa in pratica. Vediamo di sottolineare i personaggi, i soggetti che agiscono nel testo.Sono due:il Signore e io, cioè colui che parla.

Le azioni attribuite al Signore sono nove:egli è il mio pastore;mi fa riposare;mi conduce;mi rinfranca;mi dà sicurezza;prepara una mensa;cosparge di olio:

Nove designazioni che indicano la cura, la premura, l’attenzione, espresse con metafore, con parabole,con simboli:esse definiscono il Signore come Colui che si prende cura di me.

Di fronte a questo soggetto principale, ci sto io che affermo di non mancare di nulla, di non temere alcun male, affermo che il mio calice trabocca;che sento la felicità e la grazia come compagne di vita, che voglio abitare nella casa del Signore.

Si tratta di un dialogo affettuoso, fiducioso, familiare tra il Signore e me:che cosa è lui, che cosa fa per me, che cosa io gli dico.Si tratta di una preghiera semplicissima, che non chiede nulla, non ringrazia, non loda, ma proprio per questo è ricchissima;se poi volessimo esaminare la portata dei simboli che presenta, troveremmo una vastità di applicazioni, come dimostra la storia dell’esegesi del Salmo 23.

Possiamo ora rileggere le strofe dal punto di vista delle immagini.Abbiamo già parlato delle due fondamentali:il pastore e l’ospite, cioè l’immagine del pascolo e della convivialità,dell’ospitalità a mensa.

L’immagine del pastore (Giovanni 10) viene specificata:"su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce". E’ la sosta del gregge su pascoli verdi e presso ad acque tranquille, si sa come sia difficile trovare un pascolo verde in Palestina: Quando un pastore riesce a scoprirlo, egli è davvero la gioia del gregge; chi ha provato la sete del deserto, può comprendere che cosa significa incontrare qualcuno capace di indicare dove c’è una sorgente d’acqua, magari nascosta sotto le pietre.

Quindi il pastore del salmo sa fare sostare il gregge nei luoghi giusti.

Inoltre sa far viaggiare:c’è infatti l’immagine del gregge in sosta su pascoli erbosi e c’è quella del gregge in movimento, guidato per sentieri giusti, per piste che portano a buon fine. In questo viaggio si può anche camminare in una valle oscura,(pensiamo al deserto di Giuda e alle sue valli pietrose, incassate, dirupate, molto pericolose se di notte ci si perde o se, inciampando,si cade in qualche dirupo!). Il pastore del salmo sa guidare pure in una valle oscura, di notte, tra le tentazioni del mondo.

Le immagini si moltiplicano:quella del bastone e del vincastro. Probabilmente per bastone si intende una mazza corta e adatta a difendere il gregge dai lupi;il vincastro, invece,è quello che oggi è il Pastorale del Vescovo, un bastone lungo ricurvo, su cui il pastore si appoggia, che serve per appendervi in sacco o per tastare il terreno, per tenere lontani i cani randagi. Una metafora molto pittoresca, che evoca tutto quanto il pastore fa per amore del suo gregge, per condurlo; ed è ciò che il Signore per noi.

Seguono le immagini conviviali:"davanti a me tu prepari una mensa".

Figuriamoci di essere sotto una tenda, su una stuoia stesa per terra, e sulla stuoia cibi succulenti, che si prendono con le mani, si mette un poco di una focaccia in una salsa e vi si intingono bocconcini di carne; figuriamoci di godere ore e ore in questa cena comune. Prima che la mensa abbia inizio, colui che ha invitato cosparge di profumo, "cosparge di olio il mio capo",come ha fatto Maria di Betania quando Gesù entra nella sua casa.

Sulla mensa c’è un anche una coppa, un calice traboccante di vino spumeggiante, che dà gioia.

Le immagini conviviali sfociano nel vers.6, nell’immagine della casa del Signore:"abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni";la tenda ospitale diventa, ad un certo punto,il tempio, la casa di Dio, dove si è veramente a casa.

Ho richiamato semplicemente qualche metafora, ma su ciascuna di esse ci si potrebbe fermare per altre riflessioni.

Che cosa vuol dire "acque tranquille" per esempio? Non soltanto pozze di acqua da cui si beve in pace e senza pericoli; in realtà, è evocato un cammino di pace, un cammino spirituale verso la pace interiore, dove ci si ristora alla fine di un lungo e pericoloso viaggio.

Che cosa vuol dire "valle oscura2, tenebrosa? Non è soltanto un dirupo dove non arriva la luce, dove la notte è fonda; nella psicologia della persona umana, è piuttosto la paura del buio della morte, quella paura che affiora nella coscienza e che non si placa, a meno che non venga una voce dall’alto a portare la parola di conforto.

Ecco allora il messaggio: Signore, io non manco di nulla perché tu sei con me, mi dai sicurezza e abito nella tua casa.

Quando rileggiamo il salmo 23, andiamo al di là delle parole per toccare il volto di Gesù presente dietro a ogni pagina e in ogni pagina della Scrittura. Prendiamo spunto da un’invocazione, da una preghiera nella quale esprimo al Signore i sentimenti provati ascoltando le parole di uno o di un altro versetto, ma improvvisamente la preghiera non è più esercizio della mente, bensì della lode, silenzio davanti a Colui che mi si è rivelato, che mi parla come amico, come medico, come salvatore.

E’ così che il cuore del Risorto è in mezzo a noi come il Signore della nostra vita e Signore della storia.

Alleluia,amen,alleluia

 

 

 

L'AMICIZIA

Per parlare di questo legame ho riflettuto a lungo. Ho scoperto che, al di là dei fatti istintivi, ci vogliono delle grandi motivazioni affinché ci si possa fidare di un altro essere umano. In questo ci riesce Gesù Cristo, e io mi sono ispirato al suo insegnamento.

San Paolo ha detto: "Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così radicati e fondati nella carità, siete in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siete ricolmi di tutta la pienezza di Dio" (Ef.3,17-19).

E’ sempre la lettura e l’interiorizzazione della Bibbia (del suo contenuto) che ci fa comprendere cosa significa amicizia.

Il primo riscontro che troviamo è l’amicizia di Dio con Abramo. Egli lo mette alla prova chiedendogli di sacrificare suo figlio, però una volta superata, Dio gli dona incondizionatamente il suo amore.

Ha risalto l’amicizia fra Davide e Gionata che racchiude l’ideale dell’amore. Siamo già nella rivelazione e inizia ad avere i connotati del cristianesimo, pur non possedendo la soprannaturalità del Messia.

"Quando Davide ebbe finito di parlare con Saul, l’anima di Gionata s’era già talmente legata all’anima di Davide, che Gionata lo amò come se stesso. Gionata strinse con Davide un patto, perché lo amava, come se stesso. Gionata si tolse il mantello che indossava e lo diede a Davide e vi aggiunse gli abiti, la spada, l’arco e la cintura" (1^Sam.18,1;3,4).

Continuando nella ricerca, il Salmo 133 parla di amicizia, qui però si compie un passo in avanti perché chi è amico deve sentirsi anche fratello.

E’ come una consacrazione, dove c’è amicizia, c’è l’amore e quindi la benedizione di Dio Padre.

Risulta chiaro, ormai, che questo ideale di condivisione di amore doveva poi realizzarsi nella vita di Gesù e nella Chiesa.

La passione dominante nella vita di Gesù fu il suo rapporto con il Padre. Egli interpretò i legami famigliari, il matrimonio e l’amicizia alla luce di questa divina intimità. Infatti ha detto:"Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre" (Mc.3,35).

Egli divenne l’amico per eccellenza. Realizzò molte relazioni di amicizia con persone adulte. Era intimo amico di Lazzaro e delle sue sorelle, degli apostoli, specialmente Pietro e Giacomo, ma soprattutto di Giovanni il discepolo prediletto. E tuttavia queste amicizie egli le interpretava nei termini della sua unione con Dio Padre e disse: "Vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi" (Gv.15,15).

Come possiamo comprendere, cari fratelli e sorelle, si evince che l’amico desidera essere il più possibile vicino alla persona che ama e vuole farlo attraverso una reciproca autorivelazione. Tuttavia, il fatto che siamo persone distinte rende la cosa oltremodo difficile . L’apostolo Paolo ne spiega il motivo: "Chi conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui?" (1^Cor.2,11). In altre parole, mentre abbiamo una diretta consapevolezza di noi stessi, si può avere una conoscenza solo parziale e indiretta degli altri, indipendentemente da ciò che essi ci dicono di sé.

Gesù aveva una diretta consapevolezza di se stesso, ma poiché al momento del Battesimo fu riempito di Spirito Santo, ebbe una diretta conoscenza del padre; fra loro non c’erano più barriere. Perciò ha detto: "Tu, Padre, sei in me e io in te" (Gv.17,21).

Era esattamente questa conoscenza di Dio che Gesù non poteva comunicare agli apostoli suoi amici. Essi infatti ascoltarono le sue parole e le compresero fino ad un certo punto, ma non riuscirono a condividere questo senso di intimità amichevole con Dio. Gesù concluse che le sue parole, non importa quanto fossero eloquenti, non sarebbero bastate. Solo lo Spirito Santo sarebbe stato in grado di far loro capire l’essenza del tutto. Disse, infatti: "E’ bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò" (Gv.16,7).

Dicendo così, Gesù si riferiva alla sua morte e alla sua resurrezione. Gesù vide la sua morte come un sacrificio di amicizia, perciò ha detto:"Nessuno ha un amore più grande di questo:dare la vita per i propri amici" (Gv.15,13).

Con la sua morte sulla croce. Gesù avrebbe reso il suo Spirito al Signore. Allora il Padre avrebbe riversato lo stesso Spirito su tutti coloro che avrebbero creduto in suo Figlio.

Quindi le ultime parole pronunciate da Gesù sulla croce:"Padre, nelle tue meni rimetto il mio Spirito" (Lc.23,46), furono una necessaria preparazione per la Pentecoste. Le promesse furono esaudite. Egli non era più con loro fisicamente, ma era molto vivo dentro i cuori. San Paolo poté affermare: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Gal.2,20).

A questo punto risulta chiaro che l’amicizia è una grazia, un dono soprannaturale. E’ il dono per eccellenza che Cristo fa a noi per volere del Padre, completato dall’effusione dello Spirito Santo. Allora, fratelli e sorelle, proviamo a rileggere il Vangelo. Noteremo che il filo conduttore del suo insegnamento è proprio questo: l’amore. Quindi se l’amicizia è amore, è anche carità. Perché amore e carità, sono, insieme, il solo sentimento esistente fra i cristiani di fede.

Ma analizziamo alcuni ingredienti di una vera amicizia cristiana da coltivare con l’aiuto del Signore.

Tra amici esiste una certa affinità, un legame spontaneo. Essi sanno che la loro relazione si basa su un sentimento di uguaglianza. E’ da lì che si incomincia. L’amore che provano gli uni per gli altri fa si che le differenze relative alla cultura, alla condizione sociale, e alle possibilità economiche diventino irrilevanti. Di solito si impegnano a essere sinceri e fedeli. A questo punto, però, apro una breve parentesi, perché vale la pena sottolineare come si sia sempre scritto e detto poco sull’amicizia fra uomo e donna e quel poco tende ad avere un tono negativo e cauto. Il motivo deriva innanzitutto dal timore di complicazioni sessuali (per il cristiano non dovrebbe rappresentare il problema più importante), ma piuttosto dalla convinzione che uomini e donne non siano uguali. Conseguentemente, un uomo non può essere amico di una donna (lei in definitiva è solo un oggetto sessuale). Nondimeno la presa di coscienza dell’uguaglianza della donna in quanto essere umano, ha modificato tale stato di fatto. Anche perché il Signore ha detto: "Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile" (Gn.2,18).

Oserei affermare che per realizzare il proprio potenziale di essere umano ogni persona dovrebbe sperimentare una vera amicizia in Cristo con qualcuno di essere opposto.

Tuttavia, dobbiamo tenere presente che esistono tre possibili motivi per un’amicizia, essi sono: interesse, piacere e buona volontà. Però solo quest’ultima stabilisce le basi di una vera amicizia, perché essa è una virtù donataci da Cristo Gesù.

Le amicizie basate sull’interesse sono molto frequenti. Questo perché le persone cercano di appagare i propri bisogni materiali, più che quelli degli amici. E’ chiaro che stiamo navigando nell’egoismo.

Anche le amicizie che si fondano sul piacere sono molto comuni, specialmente quelle motivate da un’attrazione fisica. Infatti, nonostante ripetute dichiarazioni d’amore, queste relazioni poggiano solo sul fatto del soddisfacimento dei reciproci desideri sessuali in netto contrasto con l’essere cristiani.

Al contrario, la vera amicizia, quella cristiana per intenderci, poggia sul fatto che una persona sente, avverte, percepisce che i bisogni dell’altra sono importanti quanto i suoi.

L’amore cristiano consiste nella volontà di impegnare il proprio io per favorire la propria crescita spirituale e quella dell’altra persona. Possiamo ben comprendere che quando questo tipo di amore diventa la dinamica fondamentale in una relazione, interessi e piacere diventano una conseguenza e non il motivo per l’amicizia.

Ma ci vuole anche fiducia. E’ come durante la crescita, il primo ostacolo grande che si incontra è quello di imparare a fidarci delle persone che ci circondano. Il traguardo è di vitale importanza, perché da esso dipende la capacità di instaurare rapporti confidenziali con gli altri. Infatti come potrebbe una persona rivelare i propri pensieri e sentimenti profondi se temesse di essere rifiutata o tradita? La fiducia e l’amicizia, vanno di apri passo. E questo tipo di fiducia viene suscitata dalla consapevolezza di essere con Gesù e di essere accettati, rispettati, desiderati ed amati. Ma non è ancora sufficiente. Ci vuole anche un altro ingrediente molto importante nell’amicizia: la lealtà.

"Se intendi farti un amico, mettilo alla prova" (Sir.6,7). Che in altre parole significa che le amicizie hanno bisogno di un periodo di prova. Se la persona si rivela adatta, essa mostrerà amicizia, amore e lealtà. Ogni amico dice: "Anch’io ti sono amico" (Sir.37,1).

Rammentiamoci sempre gli esempi dell’amicizia descritti nella Bibbia. E ricordiamoci sempre che "nell’amicizia niente è più lodevole della lealtà, della quale è nutrice e custode".

Però c’è da mettere in preventivo che anche i migliori amici, a volte, si fanno del male a vicenda. Questo è inevitabile, soprattutto quando si ricerca un’unione, poiché nessuno è perfetto. Per debolezza, per rancore, per l’ascolto di una maldicenza, per incomprensione, perché non si ha il coraggio di chiedere spiegazioni o per tutti quei motivi che racchiudono la sfera interpersonale, può capitare che alcuni si dicano o facciano cose di cui poi si pentono. Se poi questo porta offesa, questa genera rabbia e l’affetto può essere oscurato dall’amarezza e dal risentimento che va a stabilirsi nelle profondità dell’inconscio provocando malesseri ancora maggiori. In questi casi l’unico rimedio è il perdono immediato, che per il cristiano è regola di vita, perché Gesù stesso ha perdonato i suoi carnefici. Come possiamo ben vedere si tratta di un umile gesto di buona volontà. Di lealtà, di fiducia per chiedere perdono di avere causato dolore e per perdonare a nostra volta chi ci ha ferito, anche se pare esista una certa qual freddezza nei rapporti. In questo modo, l’amicizia in Cristo ci insegna tutto. Perdonando coloro che amiamo, impariamo anche a perdonare coloro che non amiamo e noi stessi. Ma se perdoniamo, significa anche che abbiamo rispetto di noi stessi e degli altri. In questo modo evitiamo di fare l’uno all’altro cose che vanno contro la coscienza di ciascuno. Questo fatto è molto importante: il timore di arrecare dolore ci deve fare riflettere. Non dobbiamo fare nulla di disonesto, e se ci viene richiesto dobbiamo respingere la domanda, magari dicendo il bene della persona in oggetto. E’ inaccettabile commettere un reato, fisico o morale, e poi scusarsi dicendo che lo si è fatto per un amico.

Se tutto quanto sopra descritto lo si mette in pratica con l’aiuto dello Spirito Santo, è anche vero che tra gli amici si instaura un rapporto di intimità che si esprime nel desiderio di conoscere la vita interiore dell’altro e nella capacità di condividere la propria. Ecco perché gli amici si ascoltano con empatia, piuttosto che con apatia e simpatia.

Chiariamoci questo punto.

Ascoltare con apatia significa che l’interesse è concentrato sui fatti e sulle idee piuttosto che sulla comprensione della persona. Uno confessa di sentirsi depresso e colpevole perché non ha la volontà sufficiente per cessare di fumare. L’amico che l’ascolta con apatia, chiede:"Ne fumi molte? Quanti tentativi hai fatto?" Dopo avere avuto la risposta risponde: "Eh sì, in effetti fumi troppo. Devi veramente smettere!". Il fumatore sa già che deve prendere provvedimenti drastici senza che l'amico glielo ribadisca. Ma il fatto che l’amico non comprenda il suo problema non farà altro che peggiorare la situazione, e lui, con più facilità, continuerà a fumare troppo.

La stessa situazione proponiamola ad un interlocutore che ascolta con simpatia. In questo caso si abbandona l’obiettività e si cerca di condividere i sentimenti dell’amico che confessa il suo problema. Vale a dire, se colui che ascolta cerca di comprendere il problema della persona che ha di fronte con simpatia, ascoltata l’esposizione del fatto, si sente così depresso che anche lui si accende una sigaretta, magari più leggera, ed insieme cercano di consolarsi. Risulta chiaro che condividere il sentimento in questo modo significa diventare parte del problema e questo atteggiamento non è utile per nulla.

Invero se l’amico lo ascoltiamo con empatia, significa che riconosciamo che cosa sente lui e rispondiamo emotivamente al suo sentimento, senza però doverlo condividere. In questo caso l’amico che ascolta dirà:"Ho provato molta tenerezza per te quando mi sono reso conto di come l’ansia e la colpevolezza di non riuscire a smettere di fumare te ne fanno consumare maggiormente".

Ecco, questo tipo di atteggiamento e di risposta aiuta l’amico, perché si sente accettato e capito.

Conseguentemente potrebbe iniziare a fumare di meno.

Ma c’è un altro motivo per cui necessitiamo di ascoltare con empatia.

Il buon ascoltatore evita di parlare di se stesso. Mi spiego con un esempio. A volte capita, più spesso di quanto non si creda, che le parole di un amico ci riportino alla mente un ricordo o un sentimento particolare. Parlare di un caso di morte ci può far rammentare un avvenimento luttuoso nella nostra famiglia. Succede così che possiamo cominciare ad ascoltare l’amico con le migliori intenzioni, però, ad un certo punto ci lasciamo travolgere e diciamo:"Scusa se ti interrompo. So quello che stai passando, il dolore che provi. Anch’io ho vissuto la tua stessa esperienza e.." Alla fine, invece di essere noi ad ascoltare l’altro, stiamo in realtà chiedendo all’amico di ascoltare noi.

Nonostante le nostre buone intenzioni, questo tipo di situazione non giova molto all’altro.

Ma vi è un altro aspetto dell’amicizia che possiamo definire confessionale, cioè la riservatezza. A mio avviso non c’è niente di peggio che ascoltare qualcuno mentre racconta un segreto che avevamo confidato ad un amico. Può seriamente compromettere la fiducia su cui si basa il rapporto. Sempre nella Bibbia, nel libro del Siracide: "Anche se hai usato la spada contro un amico, non disperare: potete tornare ancora amici. Se hai criticato un amico a tu per tu, non temere perché potete riconciliarvi; invece se l’hai insultato con arroganza, se hai tradito le sue confidenze o l’hai attaccato a tradimento, qualsiasi amico se ne andrà"(Sir.22,21-22).

Capiamo che un siffatto comportamento distrugge le vere fondamenta dell’amore.

Per completare questa breve analisi comportamentale sull’amicizia cristiana non possiamo esimerci dal parlare della correzione. In qualche misura noi tutti siamo incapaci di vedere i nostri errori, almeno sino a quando non diventeremo perfetti come vuole il Signore.

Vediamo la pagliuzza che è nell'occhio del fratello e non vediamo la trave che c’è nel nostro. Gli amici, invece, dal momento che si vogliono bene in Cristo e sono impegnati nella reciproca crescita, accettano le correzioni con uno spirito di fiducia.

L’apostolo San Paolo nelle raccomandazioni finali nella 1^ lettera ai Tessalonicesi ha scritto: "Vivete in pace tra voi. Vi raccomando, fratelli: rimproverate quelli che vivono male, incoraggiate i paurosi, aiutate i deboli, siate pazienti con tutti: Non vendicatevi contro chi vi fa del male, ma cercate sempre di fare del bene tra voi e con tutti. Siate sempre contenti. Pregate continuamente, e in ogni circostanza ringraziate il Signore. Dio vuole che voi facciate così, vivendo uniti a Gesù. Non ostacolate l’azione dello Spirito Santo. Non disprezzate i messaggi di Dio: esaminate ogni cosa e tenete ciò che è buono. State lontano da ogni specie di male" (1^Tess.5,14-22).

Sempre San Paolo ha detto:"Dire la verità nella carità"(8Ef.4,15).

La Bibbia ci insegna che Dio vive in ciascuno di noi e sappiamo come questo avviene mediante la potenza dello Spirito Santo donatoci da Gesù. A mano a mano che l’amore unisce gli amici questo porta a condividere gli stessi sentimenti, diventando veramente fratelli e sorelle in Cristo Gesù; non solo, ci avviciniamo al Padre nel quale viviamo, ci muoviamo ed esistiamo scambiandoci l’un l’altro il dono dell’amore e dell’accettazione così diventiamo, gli uni per gli altri, parabole della presenza di Gesù stesso. Una volta preso atto di ciò, ciascun amico viene a contatto col suo io più profondo, radicato nell’amore di Dio. Cosicché noi, uniti nell’anima e nel cuore, arriviamo a sperimentare la verità della parola di Gesù:"Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt.18,20).

L’amicizia è meravigliosa perché proviene da Dio, ma lo è anche perché insegna a pregare com’unitariamente. Nel VT la preghiera era interpretata come amicizia con Dio. Nell’Esodo leggiamo come Mosé parlava al Signore, entrando nella tenda del convegno, cioè il luogo della loro amicizia, e quando entrava veniva avvolto dalla nube della presenza divina, ossia lo Spirito Santo. Potremmo affermare, con le parole di Santa Teresa D’Avila, che "la preghiera non è altro se non un rapporto d’amicizia, un trovarsi frequentemente con chi sappiamo che ci ama".

Infatti la dinamica della preghiera è la stessa che ci coinvolge in ogni amicizia intima: una profonda apertura di noi stessi a Dio e un’attenzione piena di amore alla rivelazione che Egli ci fa di sé.

Dal momento che sappiamo che Gesù è il nostro più caro amico, noi gli sveliamo tutti i nostri segreti più intimi.

Qualcuno dirà: "Ma perché svelarli? Non li conosce già?".

Certo, ma Egli vuole che siamo noi a parlargliene, non perché ne abbia bisogno, ma perché sa che ne abbiamo noi. E i motivi principali sono due:

1°- L’impulso dell’amore consiste nel dare, e il più grande dono che possiamo fare al Signore è il dono di noi stessi;

2°- questo tipo di sincerità apre il cuore alla rivelazione reciproca.

Se nascondiamo a Gesù le nostre esperienze, restiamo chiusi alle sue ispirazioni. Quindi con la preghiera personale e comunitaria noi andiamo al di là dei fatti e delle idee per condividere le nostre esperienze e i nostri sentimenti più profondi. Parliamo con Dio Padre di ciò che proviamo per lui. Esprimiamogli i nostri sentimenti quali arrabbiature, parliamogli di gioia, di tristezza, di immagini crudeli viste alla televisione o lette sui giornali, di noi stessi, dei nostri sensi di colpa, dei comportamenti non troppo amorevoli ecc...proprio come se stessimo parlando col nostro papà.

Si, lo so che non è troppo difficile parlare al Signore dei nostri sentimenti positivi. Il problema sorge nel momento in cui dobbiamo esprimere sentimenti negativi di rabbia, di odio, di maldicenza, di paura, di ansietà, di gelosia, di invidia, di desideri strani ecc...

E’ anche possibile che si cerchi di reprimere tali sentimenti considerandoli sbagliati o non appropriati, ma così facendo si creano altri problemi come la depressione. In questi casi la preghiera diventa qualcosa di formale, possiamo continuare a compiere gli stessi gesti, ma il Signore ci appare distante ed irreale.

Al contrario, preghiamo in maniera intima e gioiosa quando esprimiamo al Signore tutti i sentimenti, senza nessuna eccezione. Questo dialogare porta un unico risultato, la piena felicità della consapevolezza dell’amore di Gesù per ognuno di noi. Ed è in momenti come questi, di questa commozione gioiosa, che ci si rende conto di questo amore, tanto che il cuore sembra ardere nel petto.

A mio parere, tra i molteplici aspetti della venuta di Gesù sulla terra, quello più bello ed emozionante sta nel fatto che l’Amore Divino ha trovato un volto umano.

Penso che l’amicizia, come la comunità cristiana, è il Corpo di Cristo, e deve mostrare come l’amore trasforma tutto ciò che è veramente umano. L’amicizia cristiana lo fa, poiché ci insegna ad amare, ci prepara ad essere compassionevoli nei riguardi degli altri e crescere nella grazia. Come nel pane, l’azione degli amici fermenta come lievito di grazia nella più vasta comunità.

A completamento di tutto quanto sopra descritto leggiamo l’inno all’amore scritto dall’Apostolo Paolo ai Corinzi, cap.13.

Un ultimo pensiero:"Chi diventa amico di un essere umano, diventa amico di Dio".

Amen,alleluia,amen.

 

 

 

 

UN COMANDAMENTO NUOVO

 

"Figlioli, ancora per poco sono con voi…

Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri.

Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni gli altri".

 

La sera dell'ultima cena, Giuda si è appena allontanato per il tradimento; Gesù si sente libero di parlare ormai a cuore aperto. La prospettiva della croce vicina, "Ancora per poco sono con voi..", dà alle sue parole il tono di testamento spirituale, di ultime accorate volontà.

Ed è su queste parole che bisogna meditare in profondità. E' singolare che in un momento come questo Gesù non raccomandi tanto di rammentarsi di lui, di amarlo, ma di amarsi gli uni gli altri. Ancora una volta non pensa a sé, ma ai suoi discepoli presenti e futuri.

Fratelli e sorelle, la grande legge dell'amore naturale è la reciprocità: "Come io ho amato te, tu ama me" La grande legge dell'amore evangelico è la circolarità: "Come io ho amato voi…": dopo questa premessa ci aspetteremmo che segua: "così voi amate me"; invece no: "così amatevi gli uni gli altri". E' una costante: "Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci" (1 Gv.4,11).
La prima sentenza è un amore a circuito chiuso, la seconda è a circuito aperto. Che significa? Vuol dire che nel mondo continua il movimento Trinitario. L'amore del Padre si fa visibile nel Figlio; dal Figlio per opera dello Spirito Santo, viene in ognuno di noi (Rm.5,5); da noi deve poi ritornare sul prossimo: "Il Padre ha amato me, io ho amato voi…Voi amatevi gli uni gli altri".

Perché questo singolare dirottamento dell'amore da Dio all'uomo e al prossimo? Per il semplice motivo che non siamo in grado di amare Dio come Egli ci ama. Infatti, Dio ci ama senza essere amato. Tutto l'amore che noi abbiamo per Lui è un sentimento di debito, non di grazia, in quanto siamo tenuti a farlo; al contrario Egli ci ama con amore di grazia. Quindi nella nostra umanità noi non siamo in condizione di rendergli l'amore che ci richiede. Per questa ragione ci ha messo accanto il nostro prossimo. Affinché facciamo ad esso quello che non possiamo fare a Lui, cioè di amarlo senza considerazione di merito e senza attendersi alcuna utilità. Quindi ciò che riusciamo a fare per gli altri, in realtà lo facciamo a Dio.

La portata di questo amore non è il merito della persona amata (non vi sono meriti), ma semmai il bisogno. Ne ha più diritto chi ne ha più necessità. Per questo Gesù nei Vangeli predilige i piccoli, i disprezzati, i malati e lo udiamo dichiarare: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati".
Questo amore gli uni per gli altri e specie per i più poveri dei poveri viene indicato da Gesù come il marchio di riconoscimento del fatto di considerarsi suoi discepoli. E se ben ci pensiamo, la storia conferma che così è stato fatto. Accanto all'annuncio del Vangelo, ciò che più ha contribuito alla diffusione del cristianesimo fu proprio la testimonianza della carità. Nei primi secoli si organizzarono aiuti per tutte le categorie più bisognose: vedove, orfani, infermi, carcerati, condannati alle miniere, bambini abbandonati ecc…. E' stato un agire talmente nuovo e rivoluzionario che impressionò il mondo pagano a tal punto, che molti di essi guardando i cristiani esclamavano stupiti: "Guardate come si amano!".

I veri discepoli di Gesù si riconoscono dal nutrimento della sua Parola e dalla sua imitazione all'amore agli altri e non con ragionamenti e trattati di apologetica. San Giovanni ha raccolto questo invito dal maestro e nella sua lettera ne spiega il senso: "Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli…Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità" (1Gv.3,16-18).

Gesù ha detto: "Non c'è amore più grande che dare la vita per un amico".

Amen,alleluia,amen.

 

 

 

 

VINCIAMO CON IL BENE IL MALE

 

Matteo 5,38-48

Sapete che è stato detto: Occhio per occhio, dente per dente. Ma io vi dico: non vendicatevi di chi vi fa del male. Uno ti schiaffeggia sulla guancia destra: porgigli anche l'altra. Uno vuole farti processo per prenderti la camicia: lasciagli anche la giacca. Uno ti costringe a fare un chilometro con lui: vacci insieme per due chilometri. Uno ti chiede qualcosa: dagliela. Uno vuole da te un prestito: non rifiutarglielo.

Sapete che è stato detto: Ama il tuo prossimo, odia il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici, pregate per i vostri persecutori. Sarete così veramente figli del vostro Padre celeste, che fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere su quanti fanno e su quanti non fanno la sua volontà. Se amate soltanto quelli che vi amano che ricompensa potete aspettarvi da Dio? Non fanno lo stesso anche quelli che non hanno coscienza?

Se salutate soltanto i vostri fratelli, che cosa fate di non comune? Non fanno lo stesso anche quelli che non conoscono Dio?

Voi dunque siate perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste.

 

Commento

 

Gesù ci parla dell'amore al prossimo. Di fronte a un'offesa o a un atto di violenza, noi umani siamo sempre pronti a reagire e non solo per difenderci, ma anche e soprattutto per vendicarci. Gesù al contrario ci insegna e ci impegna a lottare costantemente contro questo istinto. Il fatto è che il male (qualsiasi tipo) non si combatte né si vince col male, ma con il suo contrario: il bene, sull'esempio di Gesù Cristo che ha vinto il peccato non condannando gli uomini, ma amandoci fino a morire per noi dall'inizio dei tempi.

Vedete, quando non interviene il dovere di difendere gli altri e il male colpisce solo la propria persona, la norma è unica, come afferma San Paolo, "Non lasciatevi vincere dal male, ma vinci con il bene il male" (Rm.12,21).
E' vinto chi si lascia trascinare a reazioni tendenti a demolire l'avversario; è vincitore chi al male risponde con la coerenza della bontà evitando ripicche di ogni sorta.

L'insegnamento del Signore, come ha specificato nelle antitesi della sua Parola, fu assimilato profondamente dalla Chiesa delle origini e riaffiora con costanza negli scritti degli apostoli.

"Non rendete a nessuno male per male. La carità non fa nessun male al prossimo" , scriveva San Paolo ai Romani in 12,17; 13,10.

E ai Tessalonicesi: "Guardatevi dal rendere male per male, ma cercate sempre il bene, tra voi e con tutti", 5,15.

San Pietro rivolgendosi ai primi fedeli che dovevano subire ingiurie e persecuzioni da parte dei pagani diceva: "Questa è la volontà di Dio: che, operando il bene chiudiate la bocca all'ignoranza degli uomini stolti" (1^ Pt.2,15).

E' chiaro che tale condotta non sempre otterrà l'intento desiderato, ma anzi potrà essere fonte di nuove ingiustizie e sofferenze, ma noi cristiani, se veramente viviamo la fede non dobbiamo mutare rotta: "Se dovete patire facendo il bene e lo sopportate, ciò è gradito davanti a Dio. A questo infatti siete stati chiamati, poiché Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, affinché ne seguiste le orme" (1^ Pt.20,21).

L'esempio, fratelli e sorelle, l'esempio di Gesù Cristo crocifisso, deve essere impresso nella mente e nel cuore di noi tutti, perché ci dona la forza di vincere il male con il bene, per essere buoni e generosi a nostre spese.
Dice ancora Pietro: "E' meglio, infatti, se così vuole Dio, soffrire facendo il bene, che facendo il male".

E ai fedeli di Corinto che nelle loro controversie quotidiane si citavano a vicenda davanti ai tribunali civili, San Paolo, scriveva: "...è già una colpa per voi avere liti e invidie vicendevoli! Perché non subire piuttosto l'ingiustizia? Perché non lasciarvi piuttosto far torto?"

Vedete, San Paolo non esaminava se si trattava di discussioni provocate o subite, ma condannava qualsiasi litigio tra coloro che avevano il precetto di amarsi a vicenda come Cristo li amava.

Vi è un sacrosanta verità nelle parole dell'Apostolo, piuttosto che essere in contesa tra fratelli, molto meglio subire l'ingiustizia. E questo atteggiamento non è un atto di eroismo, ma si tratta di semplice dovere di noi cristiani. La dottrina di Gesù. Ci rammenta il vaticano II°, esige che noi perdoniamo anche le ingiurie e quant'altro...A rivelare la presenza di Dio contribuisce moltissimo la carità fraterna dei fedeli, i quali unanimi nello spirito si mostrano quale segno di unità.
Una delle cose che scandalizza maggiormente il mondo è proprio la divisione tra i buoni, le discordie tra i fedeli, le contese tra coloro che si autodefiniscono viventi in Cristo Gesù.

E' con questo spirito che ci dobbiamo rinnovare: "La legge fondamentale dell'umana perfezione, e perciò anche della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento della carità. Coloro, pertanto, che credono alla carità divina, sono da Cristo resi certi, che la strada della carità è aperta a tutti gli uomini e che gli sforzi intesi a realizzare la fraternità universale non sono vani. Ma nello stesso tempo, siamo ammoniti a non camminare sulla strada della carità solamente nelle grandi cose, bensì e soprattutto nelle circostanze ordinarie della vita comune".

Soltanto la consapevolezza dell'amore di Gesù può trasformare il mondo e realizzare la fraternità universale; noi cristiani, dobbiamo portarne l'esempio dovunque: è il nostro compito, il nostro impegno, la nostra missione.
"Siate tutti concordi, esorta San Pietro, compassionevoli, amanti dei fratelli, misericordiosi, umili, non mormorate, scacciate le gelosie e le invidie; non rendete male per male, ingiuria per ingiuria, ma al contrario benedite, poiché a questo siete stati chiamati: ad avere in retaggio la benedizione".

Benedetti da Dio in Cristo, noi cristiani siamo chiamati a trasmettere agli altri la benedizione di Dio ricevuta, dicendo bene di tutti, augurando e facendo del bene a tutti, come Dio benefica ogni uomo.

Amen,alleluia,amem!

 

 

 

 

VENNE E ABITO' TRA NOI

Di recente mi è capitato di aver fatto l'esperienza di un nuovo inquilino venuto ad abitare proprio sopra l'appartamento dove risiedo. Anche se non ho ancora avuto occasione di incontrarlo, osservando bene gli uomini della ditta dei traslochi mentre portano i mobili, mi sono già fatto un'idea nei suoi confronti. Ho notato l'attrezzatura necessaria per strumenti musicali di percussione, perciò ho dedotto che qualcuno in famiglia ama la musica. Ho notato casse di libri, un computer e ho dedotto che qualcuno ama lo studio, la lettura e navigare in internet. Ho inoltre notato una splendida bicicletta da corsa, deducendone la passione sportiva delle due ruote. Se avessi visto un fucile da caccia, penserei che qualcuno collezione armi o pratica lo sport venatorio, ecc...

Una volta insediatosi nella sua abitazione, ho potuto sapere se il mio vicino è persona educata, perché non provoca rumore e non batte sui muri per appendere quadri dopo di una certa ora di sera. In molti modi ed in varia maniera possiamo sapere qualcosa del nuovo inquilino e della sua famiglia, senza averlo mai incontrato personalmente.
Ho dedotto la sua professione, dall'orario in cui esce da casa o rientra. Ho saputo che tipo di musica preferisce ascoltando qualche volta la sua radio o i suoi CD...
Qualche giorno più tardi, dopo aver sistemato l'arredo nell'appartamento, il mio vicino esce da casa, suona il campanello e si presenta personalmente. Naturalmente io e mia moglie ricambiamo i saluti e la stretta di mano, invitandolo ad accomodarsi e offrendogli un caffè o una bibita.

Dopo i convenevoli parliamo di tutto un po'. Soltanto a fine incontro sono in condizione di affermare di avere fatto conoscenza col mio vicino di casa, una conoscenza diretta, personale.

La stessa cosa è avvenuta con Dio Creatore. Egli, mosso da indulgenza ed amore, notando gli uomini trascorrere i loro anni nelle banalità, nell'ignoranza, nell'infedeltà, nel peccato e nelle superstizioni, ha avuto compassione per lo stato dell'umanità ed ha rivelato se stesso nella storia millenaria attraverso i Patriarchi, i Profeti, persone giuste ed ispirate.

Dio Padre non sarebbe stato un Dio d'amore, né sarebbe stato degno d'adorazione se avesse abbandonato gli uomini al loro destino. Quindi il Dio della gloria, il Dio potente, il Dio dell'amore ha avuto pietà delle sue creature, ha voluto condividere le stesse sofferenze dei suoi figli e si è mosso con tenerezza e chiarezza per far conoscere se stesso, la sua Parola incarnata, all'umanità in maniera del tutto nuova e irripetibile. Anche perché tutti i tentativi dell'uomo per conoscere Dio sono serviti solo ad avere di Lui qualche notizia, qualche dettaglio astratto ed impersonale, a volte anche sbagliato.

E proprio come il vicino di casa di cui ho narrato, similmente Dio Padre, "quando venne la pienezza del tempo, mandò suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge...perché ricevessimo l'adozione a figli (Gal.4,4-5). Per questo motivo, "nella pienezza del tempo", nella persona di Gesù, Dio esce da casa (per usare gli stessi termini dell'esempio) e suona il campanello della porta del nostro cuore.

Quando lo invitiamo ad entrare, quando lo accogliamo e gli diciamo di restare con noi. Egli parla come "portavoce di Dio in persona". Infatti, egli dice: "Io sono venuto nel nome del Padre mio" (Gv.5,43); "Chi ha visto me, ha visto il Padre mio" (Gv.14,9); "La parola che udite non è mia ma del Padre che mi ha mandato" (Gv.14,24).
Ecco il senso della celebrazione del Natale di nostro Signore, ecco il senso della Santa Messa, con loro perpetuiamo la conoscenza diretta di Dio non più attraverso la natura, la storia, i Profeti ecc...o con la nostra coscienza, con indizi, ma perché incontriamo Dio padre nella persona viva di Gesù Cristo.

Ed è in virtù di questa rivelazione che siamo in grado di comprendere che Dio ci ama e di conseguenza possiamo chiamarlo "Padre nostro" perché Gesù "essendo l'irradiazione della sua gloria e l'impronta sella sua sostanza" (Eb.1,3), ci ha fatto conoscere il Creatore.
Ora possiamo affermare che lo conosciamo veramente poiché abbiamo di Lui una conoscenza diretta e personale, mentre prima si conosceva di Lui soltanto qualche manifestazione.

La straordinaria bellezza di questa rivelazione consiste nel fatto che Egli dimostra di essere veramente un Dio d'amore, poiché ha cura della sue creature. Egli, infatti, ci guida, ci sorregge, ci stima (come siamo, senza distinzioni) ed allo stesso tempo provvede ad ogni nostra necessità, mentre camminiamo su questa terra. Egli è un Dio che capisce i nostri dubbi, le nostre miserie e debolezze, i nostri peccati perdonandoci giacché non può fare a meno di amarci, in maniera unica.

Buon Natale!

Amen, alleluia, amen.

 

 

 

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