LA SALVEZZA |
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Natività –(Santa Notte) Correggio 1528-1530 |
La Salvezza Approfondimento Appendice Conclusioni |
LA SALVEZZA
Fratelli e sorelle, parlando della salvezza
pensiamo probabilmente a qualche cosa di non ben definito, che riguarda le
nostre situazioni dopo la morte; qualche cosa di vago e comunque lontano nel
tempo (così sperano tutti) che perciò ora non ci interessa più di tanto. Noi associamo questo termine alla vita eterna e,
pur avendo in sé un senso positivo, preferiamo non pensarci visto che si
collega al momento della nostra morte. Eppure la salvezza non riguarda solo
il nostro futuro ma il nostro oggi, il nostro presente. Salvarsi significa sottrarsi da un grave pericolo
e vi è un pericolo molto serio che ci minaccia,un pericolo tanto più serio e
rischioso quanto più è nascosto e ignorato. Questo pericolo è il peccato. Il peccato è come un muro che ci separa da Dio
Padre:Dio è amore, bellezza, gioia, libertà, vita e il peccato, separandoci
da lui, porta nella nostra vita tutte le cose che gli sono contrarie: odio,
superbia, orrore, sofferenza, angoscia, schiavitù, invidia, morte. La conseguenza del peccato non è solo quella di
finire lontani dall’amore di Dio, all’inferno cioè,ma anche un drastico
inquinamento del nostro presente. Il peccato separa pericolosamente da Dio e
le sue conseguenze intaccano ogni tipo di relazione e perfino l’ordine della
natura. Si dice: Cristo ci ha salvati liberandoci dalla
schiavitù del peccato. Si tratta di un’affermazione centrale del Nuovo
Testamento, e poi di tutta la teologia cristiana. Questa affermazione è tanto
importante quanto difficile da comprendere. Devo onestamente ammettere che
essa fa parte del nucleo centrale della fede neotestamentaria:La salvezza o
la redenzione operata da Gesù ha come primo aspetto proprio la liberazione
dal peccato e dalla legge. Una simile affermazione suona stranamente per
l’uomo d’oggi, dal momento che viviamo tempi in cui si perpetua l’ideologia
dell’egoismo, e conseguentemente è scomparso il senso del peccato dalla
coscienza umana. Fatta questa premessa, introduciamoci
nell’analisi sul rifiuto del disegno di Dio da parte dell’uomo, solo così
potremo comprendere appieno il senso del peccato, e ci serviremo della
Bibbia. ADAMO ED EVA: "Il
Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse:"Dove sei?". Rispose:"Ho
udito il tuo passo nel giardino:ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono
nascosto". Riprese il,Signore Dio:"Chi ti ha fatto sapere che eri
nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non
mangiare". Ripose l’uomo:"La donna che mi hai posto accanto mi ha
dato dell’albero e io ne ho mangiato". Il Signore Dio disse alla donna:"Che hai fatto?". Rispose la donna:"Il serpente mi ha ingannata e io ne ho mangiato". Allora il
Signore Dio disse al serpente:"Poiché tu hai
fatto questo, sii maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie
selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni
della vita. Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua
stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno"
(Gn.3,9-15). Questo dialogo serrato tra Dio e l’uomo fa
emergere la confusione, l’oscurità, la vergogna del peccato dell’uomo.
Quattro volte parla il Signore e i primi tre interventi sono domande precise:
dove sei? Chi ti fatto sapere che eri nudo? Che cosa hai fatto?. Le tre domande perentorie sono seguite da una
terribile profezia che indica uno stato di inimicizia e di divisione
all’interno dell’esperienza umana e della storia. Alle quattro domande di Dio, tre volte rispondono
gli uomini e con risposte timide, incerte, reticenti e,in parte, menzognere.
Adamo afferma di avere paura, paura di Dio. Denuncia così un rapporto falsato
con quel Dio d’amore in cui non sa più riconoscere il Padre, il misericordioso
di cui non scopre più il volto. E aggiunge, accusando Eva:la donna che mi hai
posto accanto mi ha dato dell’albero e io ho mangiato. Denuncia quindi anche
un suo rapporto irresponsabile con la compagna della sua vita, ributtando su
di lei la colpa che gli rimorde nella coscienza. Da parte sua la donna, in timore e confusione,
risponde che il serpente l’ha ingannata, mostrando un rapporto irresponsabile
con se stessa, con la sua colpevolezza personale, con la chiarezza delle sue
responsabilità. Nell’insieme, Adamo ed Eva, con le loro parole,
sottolineano la divisione,l’oscurità, la confusione che derivano all’uomo
dallo stato di peccato, cioè di lontananza da Dio. Dio Padre, al principio,sogna una terra di pace e
di benevolenza, in cui il lavoro non è opprimente e la convivenza non è
guerra; a tale sogni l’uomo si ribella e lo splendore, l’immenso valore della
libertà donatagli da Colui che l’ha creato e amato,si trasforma,nelle sue
mani,in strumento di negazione,in un progetto alternativo a quello che gli
era stato proposto. Ma la domanda rivolta dal Signore Dio ad Adamo:"Dove sei?" è la domanda che Dio Padre
rivolge a ciascuno di noi che non abbiamo affidato pienamente la nostra vita
al suo disegno d’amore: dove siamo, a causa della non fiducia o della poca
fiducia in Lui? Adamo rappresenta l’uomo di tutti i tempi, che
rifiuta la condizione di creatura e di figlio, che non vuole essere figlio
adottivo di Dio, che si ribella a un Dio che lo serve. La sua paura ha segnato tutta la storia, ha
segnato l’umanità che teme Dio immaginandolo come un tremendo punitore, che
ha paura della morte,della sofferenza,do ogni forma di privazione o di
pericolo. Rifiutando Dio, noi e le nostre società non andremo lontano e le
conquiste del progresso potranno essere addirittura la nostra babele e la
nostra morte. Nelle risposte che Adamo ed Eva danno al Signore
noi troviamo che manca, in realtà, l’unica parola adeguata, l’unica parola
che stenta a salire dalle labbra di ogni uomo,proprio perché si è perso di
vista il vero volto di Dio:"Ho peccato contro di
te!";è la risposta semplice di Davide, nel Salmo 50. Ancora nei primi capitoli della Genesi, la Bibbia
ci presenta altre tre tipologie del peccato. Esse mostrano come i tre
rapporti fondamentali che costituiscono la pienezza dell’uomo, l’ideale
dell’umanità (il rapporto con Dio, il rapporto tra gli uomini e il rapporto
con la terra) venga disconosciuto e pervertito. CAINO E ABELE:"Dopo un certo
tempo,Caino offrì i frutti del suolo in sacrificio al Signore;anche Abele
offrì i primogeniti del suo gregge e il loro grasso.Il Signore gradì Abele e
la sua offerta,ma non gradì Caino e la sua offerta.Caino ne fu molto irritato
e il suo volto era abbattuto.Il Signore disse allora a Caino:"Perché sei
irritato e perché è abbattuto il tuo volto?Se agisce bene,non dovrai forse
tenerlo alto?Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua
porta;verso di te è il tuo istinto,ma tu dominalo".(Gn:4,3-7). Che cosa ha fatto Caino? Probabilmente la sua
offerta era imperfetta o avara,non dettata da riverenza e amore verso il
Signore:Tuttavia il peccato prende in lui forza e violenza quando egli si
rattrista e non riesce ad accettare che il fratello sia migliore di lui, non
riesce a vivere in pace con uno che ha un destino diverso dal suo. Caino non realizza quell’unità dei diversi che
costituisce l’umanità e,anziché sentirsi spronato a salire al livello di
Abele, vorrebbe che il fratello scendesse al suo. Vive la tristezza
dell’invidia, che è una delle cause più gravi dello scatenarsi di guerre, di
conflitti sociali,delle forme di razzismo che devastano l’umanità.Forme
drammatiche ai nostri giorni e cresceranno di violenza in Europa a mano a
mano che aumenterà il numero di persone di altre razze,di altre culture
perché faremo fatica a vivere la fraternità, nell’ideologia dell’egoismo, con
gli africani, con gli arabi, con gli asiatici, a vivere la dimensione
dell’accoglienza dell’altro, a cercare lo scambio, a rallegrarci del bene
dell’altro. Caino ha perduto il senso,il valore del rapporto
con il fratello e giunge ad uccidere.In tale situazione,non è più in grado di
ascoltare la voce di Dio,tanto è vero che Caino la banalizza, se ne prende
gioco. Allora il Signore Dio disse a Caino:"Dov’è
Abele, tuo fratello?". Rispose:"Non lo so. Sono forse
il guardiano di mio fratello?". IL RACCONTO DEI FIGLI DI DIO E DELLE FIGLIE DEGLI
UOMINI:"Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla
terra e nacquero le loro figlie, i figli di Dio dissero che le figlie degli
uomini erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero. Allora il
Signore Dio disse:"Il mio Spirito non resterà sempre nell’uomo, perché
egli è carne e la sua vita sarà di centoventi anni". C’erano sulla terra
i giganti a quei tempi quando i figli di Dio si univano alle figlie degli
uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi
dell’antichità, uomini famosi"(Gn.6,1-4). Come possiamo notare il brano evoca leggende e
saghe antiche di cui è difficile dire quale sia stato il contenuto vero.Lo
scrittore sacro però ritiene importanti questi brandelli di memorie per
offrirci un quadro della dimenticanza,perdita e confusione di rapporti
fondamentali. Il primo è di nuovo sul tema della fraternità, sul
rapporto uomo-donna:"Ne presero per mogli quante
ne vollero". Leggiamo qui l’inizio della considerazione della
donna quale oggetto,quale cosa; non come un "tu" con cui avviene
uno scambio unico ed indivisibile. La donna è vista come forma di possesso,
non nella sua dignità pari a quella dell’uomo. Ma c’è un altro aspetto non
meno inquietante ed è stato dato dalla menzione un po’ oscura dei
giganti,quasi che l’umanità si sia illusa e si possa illudere di creare
uomini con poteri divini, superuomini. Pensiamo alla tremenda tentazione della
biotecnologia, prendere in mano la vita, moltiplicarla, creare nuove razze di
umanità, nuove forme del vivere, immaginare che la terra possa essere oggetto
di sfruttamento totale e che l’uomo debba vivere in tubi stellari. Tutti
progetti che la scienza, credendosi onnipotente,elabora senza più fermarsi e
smarrendo il rapporto equilibrato dell’uomo con la terra. E’ quindi la perdita dell’armonica relazione
uomo-terra,uomo-corpo,dell’attenzione ai ritmi dell’esistenza,che certamente
sono in continua evoluzione e l’uomo deve saper dominare,ma che non possono
esser impunemente distrutti. LA TORRE DI BABELE:"Tutta
la terra aveva una sola lingua e le stesse parole.Emigrando dall’oriente gli
uomini capitarono in una pianura nel paese del Sennaar e vi si stabilirono.Si
dissero l’un l’altro:"Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli sul
fuoco". Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi
dissero:"Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi
il cielo e facciamoci un nome,per non disperderci sulla terra". Ma il
Signore Dio disse:"Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una
lingua sola; questo è l’inizio della loro opera e ora quanto avranno in
progetto di fare non sarà loro impossibile.Scendiamo dunque e confondiamo la
loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro". Il
Signore Dio li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di
costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché il Signore Dio
confuse la lingua su tutta la terra e di là il Signore Dio li disperse su
tutta la terra. (Gn.11,1-9). Come possiamo osservare è un racconto
misterioso,allusivo,pieno di simboli e si riferisce a situazioni originarie
dell’umanità; in questo senso è esemplare. Dice non soltanto ciò che è
avvenuto, ma ciò che può avvenire, che avviene. Che cosa è accaduto? Il punto di partenza è una
situazione di perfetta comunione:"Tutta la terra
aveva una sola lingua e le stesse parole". A un certo punto però si scoprì il mattone:
mentre prima si costruiva con il legno, o mettendo le pietre una sull’altra
facendo una casa al massimo di un piano, con il mattone, strumento ben
maneggevole e di costruzione leggera, l’uomo comincia a pensare di non avere
più limiti alla sua possibilità operativa e di potere arrivare addirittura in
cielo. Di per sé siamo di fronte a un fatto tecnico che non
è buono né cattivo. Tuttavia vi leggiamo dietro l’entusiasmo, la presunzione,
l’ambizione che viene dalla scoperta; un po’ come oggi la scoperta del
computer con cui possiamo imitare l’intelligenza e tenere il mondo in mano. "Venite, costruiamoci una città e
una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non
disperderci su tutta la terra". Dalla soddisfazione della scoperta del mattone
nasce un progetto esorbitante, la pretesa di un’impresa colossale, destinata
a durare per sempre, a significare l’autosufficienza umana, la capacità che
l’umanità ha di edificare se stessa in assoluto. Siamo noi che ci diamo gloria e siamo noi gli
arbitri del nostro destino presente e futuro. Sottilmente, senza una
dichiarazione esplicita, laidamente, è rotto il contatto con Dio: Perché, in
verità, è Dio che dà un nome, che lancia un ponte verso l’uomo. Il peccato dunque non consiste nel proposito di
costruire una torre, bensì nella rottura della coordinata del timore di Dio,
della soggezione dell’uomo al Signore del cielo e della terra. Il testo biblico non fa applicazioni morali, ma
le cogliamo nella conclusione del castigo divino:"Scendiamo
e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua
dell’altro". Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed
essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché
là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li
disperse su tutta la terra. In tale tentazione noi ci siamo dentro in pieno,
molto più che nei secoli passati: le continue scoperte, infatti, ci fanno
ritenere di non dover più dipendere da nessuno, di poter dare il nome a noi
stessi. Quanto più assumiamo responsabilità civili, sociali, politiche,
scientifiche, tanto più ci troviamo immersi in una mentalità che ha perduto
le coordinate, le ha confuse, spingendoci a vivere situazioni che vanno
dall’esaltazione alla depressione, situazioni di sfiducia nella vita, di
scoraggiamento, di amarezza perché dalla voglia sfrenata di possedere tutto si
passa facilmente al senso della propria povertà fisica, morale, spirituale e
si finisce per non capire più nulla. Quello della torre di Babele è il racconto di una
colpa collettiva; mentre il rifiuto del disegno di Dio da parte di Adamo ed
Eva era espresso in termini individuali. La radice di questo peccato è la pretesa
dell’uomo di essere il centro di tutto , di non avere bisogno di Dio, di
staccarsi dalla dipendenza creativa, magari senza negarla, ma agendo per
proprio conto. E’ il fenomeno odierno di guazzabuglio culturale: idee,
pensieri, progetti, filosofie che contrastano tutte con l’idea di servire
l’uomo. |
SALVEZZA: approfondimento
Alla luce dei racconti biblici e delle
riflessioni a cui ci inducono, può sorprendere la domanda che spesso fa la gente:
ma da che cosa ci ha salvati il Signore? Che bisogno abbiamo di essere
salvati? E alla risposta: ci ha liberati dal male, dalla
schiavitù del peccato, obietta: ma che cos’è il male, che cos’è concretamente
il peccato? Credo che la coscienza di essere salvati diventi
in noi reale allorché ci rendiamo conto della vastità del regno del male. In
altre parole, ne cogliamo le risonanze quando sperimentiamo da che cosa siamo
stati salvati e continuiamo a esserlo, quando ci accorgiamo di come e quando
operano in noi, in me, le forze di schiavitù, di demolizione, di
annientamento interiore, di deprivazione degli orizzonti. Camminando verso la maturità umana, avvertiamo
che in noi e attorno a noi ci sono forme di distruzione sempre all’opera,
sperimentiamo che l’egoismo prevale all’altruismo, che l’orgoglio è avido di
potere e di successo, che la smania di protagonismo corrode il cuore, che la
fragilità umana è in se stessa insuperabile; allora intuiamo l’assoluta
necessità di una salvezza dall’alto. Anche camminando sulla strada del Vangelo, pur
con tutta la nostra buona volontà,avvertiamo il peso della nostra debolezza,
l’inconsistenza dei nostri propositi, l’incapacità a programmare le nostre
giornate come desidereremmo, percepiamo con forza la grandezza dell’amore di
Dio che solo ci salva dalla nostra dispersione, soprattutto quando riusciamo
a "sentirlo" vivo con noi. San Paolo ha mirabilmente descritto, con toni
accorati, l’invincibilità del male che è in noi, in ciascuno di noi. Leggiamo
del cap.7 della lettera ai Romani i vers.dal 14-19. Si tratta di un’impotenza umana storica: l’uomo
desidera il bene e però si accorge di non realizzarlo. Condizionato dalle
vicende, dalle tensioni, dalle difficoltà, dalle opposizioni che deve
superare, si indurisce e, indurendosi, si richiude in sé contro le
difficoltà, si rinchiude nel possesso e nell’autodifesa e così rifiuta la
dipendenza da Dio, della sua Parola, della sua Misericordia. Nei casi
peggiori, resta travolto e nega la trascendenza di Dio. Nei casi migliori, arriva
a vivere il dualismo per cui nei momenti buoni gli sembra di essere teso
all’ascolto della Parola, ma poi, nell’incalzare delle circostanze,
specialmente avverse (delusioni,amarezze,torti che subisce e che ha voglia di
ritorcere) si difende a ogni costo, si oppone agli altri e, soprattutto, non
fa più riferimento alla Parola di Dio. L’apostolo Paolo ha toccato con quel
"peccato che abita in me" la profonda miseria dell’uomo, difficile
a capirsi, e tuttavia sperimentabile negli effetti, nelle conseguenze, nelle
situazioni storiche. Non tutti riconoscono il peccato che c’è nella
loro vita, ma tutti vedono con chiarezza il male che c'è nel mondo e cercano
in tutti i modi un mezzo per sfuggirvi. Oggi sono molte le soluzioni che ci
vengono proposte per evitare che il male entri nella nostra vita: magia e
superstizione promettono che se noi facciamo determinate cose, non ci potrà
accadere nulla di male; le tecniche di meditazione ci assicurano che la forza
del nostro pensiero, se ben allenata, può aiutarci a difenderci da ogni
difficoltà; gli scienziati assicurano che è il progresso che ci può liberare
da ogni male; molte persone e filosofie hanno provato a cambiare il mondo e a
vincere il male con i loro sforzi e la loro volontà, ma tutti hanno fallito. L’unica salvezza per l’uomo, ormai immerso nel
peccato e schiacciato dalle sue conseguenze, era che Dio offrisse un
"mezzo" attraverso il quale si potesse perdonare il peccato
originale e tutti i successivi peccati commessi volontariamente. Nessuno di noi può risolvere il problema del
peccato e del male. Soltanto Dio può liberarci e salvarci da tutte le sue
conseguenze. E la risposta di Dio a tutti questi problemi e pericoli che ci
minacciano è Gesù Cristo. Gesù, fratelli e sorelle, è la nostra salvezza! Gesù ha preso su di sé tutti i peccati, di ieri,
di oggi e di domani, e ci dà la possibilità di ripristinare l’armonia
iniziale della relazione con il Padre Celeste. Gesù è il Salvatore di tutto
il nostro essere:spirito,anima e corpo. E questo grazie alla sua morte in Croce, così che
ogni essere umano può ritornare a Dio, ricevendo il suo perdono, le sue
grazie e benedizioni. Ma a questo punto sorge spontanea una
domanda:vogliamo essere salvati? Gesù non impone con la forza la salvezza,
Egli la offre, noi la possiamo accettare o rifiutare. Possiamo permettere a
Gesù di guarire e salvare ogni aspetto della nostra personalità, di liberarci
da ogni schiavitù, di donarci ora, in questo momento, una nuova vita e domani
la vita eterna; oppure possiamo decidere di badare a noi stessi, possiamo
credere che con le nostre capacità potremo salvarci da soli e che potremo con
i nostri sforzi guadagnarci e conquistarci la salvezza. Molti cristiani, fermi alla fede di base, pensano
che siano le loro preghiere, le loro devozioni, le loro buone opere a
salvarli..ma non è così. Nella lettera agli Efesini cap.2,vers.8 leggiamo:"E’ per grazia di Dio che siete stati salvati, per
mezzo della fede. La salvezza non viene da voi, ma è un dono di Dio; non è il
risultato dei vostri sforzi. Dunque nessuno può vantarsene". Risulta chiaro che le preghiere e le opere sono
una diretta conseguenza dello stato salvifico che ci è stato donato. La salvezza, è bene ribadirlo, è un dono di Dio,
un regalo, un bene immenso che ci viene dato gratuitamente, ma sta a noi
accogliere questo dono o respingerlo. Accettare la salvezza significa
accettare GESU', cioè credere a Lui, credere a tutto ciò che Egli ha detto,
credere alla sua Parola e quindi agire con coerenza. Gesù è il Salvatore ma solo se noi lo vogliamo
diventa il nostro salvatore. Solo se noi crediamo in Lui. Perciò dobbiamo imparare a conoscerlo e scoprire
le cose che ha detto e questo lo possiamo realizzare attraverso la lettura e
meditazione del Vangelo. E anche attraverso i Sacramenti della Chiesa. |
SALVEZZA:
Appendice.
I PECCATI PERSONALI. La prima realtà
incombente sono i nostri peccati personali, le nostre fragilità psichiche e
morali, la nostra pigrizia, invidia, ambizione, vanità, sensualità. A questo
proposito leggiamo il cap.5 vers.19-21 della lettera ai Galati. Siamo a
livello dei peccati singoli, personali: è un elenco impressionante dei
quattordici atteggiamenti negativi dell’uomo, che Paolo trae dall’esperienza
sua e del suo tempo. Una visuale molto realistica e insieme pessimistica dell’uomo
che si muove nell’ambito dei propri interessi. Un altro testo di Paolo
riprende questo quadro con nuove pennellate,facendo una lista di ventuno
atteggiamenti negativi che ritroviamo in Romani cap.1vers.28-31. E’ una descrizione che sembra persino retorica
tanto è gonfiata nelle parole. L’apostolo sa benissimo come ciò che descrive
abbia radice anche li lui,secondo la parola di Gesù nel Vangelo di
Marco:"dal cuore degli uomini escono le cattive intenzioni:
fornicazioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, inganno,
impudicizia, invidia, superbia, calunnia, stoltezza. Tutte queste cose
cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo"(. E non
soltanto dal cuore di un uomo che magari è nato in una situazione
disgraziata, drammatica, ma nel cuore di ogni uomo. I peccati personali toccano tutti noi e li
percepiamo nei loro effetti di ingiustizie, di divisioni, di rivalità; sono
in noi con le loro radici nelle propensioni negative che abbiamo e da cui non
possiamo liberarci da soli. Sapere che sono dentro di noi ci spinge a
prenderle sul serio e a riflettervi con attenzione con l’aiuto di Dio e
nostro Signore Gesù Cristo. Sempre in Romani 1,28 San Paolo "Poiché
hanno disprezzato la conoscenza di Dio, li ha abbandonati in balia di
un’intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno".
L’intelligenza depravata riguarda il cuore, perché ciò che viene meno è
l’intelligenza del cuore, ossia la capacità orientativa dell’uomo di vedere
tutte le realtà nella globalità del disegno di Dio. Ci sono poi in noi forze dispersive e distruttive
e, al fondo di tali inclinazioni, c’è una radicale diffidenza di Dio, una
resistenza ad accettare una visione della vita subordinata al primato,
all’iniziativa di Dio. I PECCATI STRUTTURALI E SOCIALI. La seconda realtà incombente è quella del male presente
nella società e nella storia. E’ importante, a questo punto, ampliare la
riflessione ai tanti peccati strutturali e sociali che gravano su di noi. I peccati strutturali e sociali non
sono evidentemente soltanto la somma dei peccati personali, delle malizie
individuali, bensì quelli inseriti nei sistemi di vita, nella mentalità,
nelle idee ricevute. E’ un modo di essere e di vivere che la Sacra Scrittura
chiama "mondo" in senso negativo, in cui, al di là delle belle
parole, prevale il tornaconto, il bisogno di sopraffare gli altri, di
contrattaccare, di sottomettere. Non possiamo negare che la condizione
umana sia molto drammatica; è una condizione conflittuale a cui non sfuggiamo
(l’esempio più eclatante è rappresentato dalle lobby portatrici degli
interessi delle categorie). Quando esaminiamo la storia del passato ci
meravigliamo che si siano compiute scelte, anche nella storia della Chiesa
(come la tortura e la guerra), dovremmo comprendere che quella gente viveva
secondo le idee ricevute. Era praticamente impossibile sottrarsi a una
mentalità che poteva portare a commettere ingiustizie (consapevolezza di
peccare). Ogni uomo, ogni donna è condizionata
dai mali sociali. E quando ci rendiamo conto dei legami e delle schiavitù di
peccato nelle quali viviamo e di far parte di un mondo ingiusto, violento,
cattivo, che ci fa corresponsabili almeno psicologicamente di situazioni
ripugnanti, comprendiamo da che cosa dobbiamo essere salvati. Pensiamo, per
esempio, al male che si è manifestato nelle grandi guerre mondiali,
nell’antisemitismo, nei lager, nella morte di milioni e milioni di ebrei, una
morte senza ragione, senza senso. Questo è il peso del peccato che incombe su
di noi, un peso che grava ancora nel presente per ciò che è accaduto in
Bosnia,in Kosovo,in Burundi,in Randa, per ciò che sta accadendo in tante
altri parti del mondo dove centinaia di migliaia di innocenti muoiono, dove
le persone sono trascinate a diventare crudeli,violente,sono costrette ad
uccidere. La salvezza che Dio offre all’uomo è
il ritrovare nella pienezza dell’incontro con Cristo, la potenzialità di
quell'apertura originaria, voluta da Dio, che crea la mentalità del bene, la
cultura positiva. E’ vero che i peccati sociali e
strutturali non possono essere imputati a noi dal punto di vista morale, e
tuttavia sono parte della nostra schiavitù. L’uomo è incapace di creare un
ordine sociale giusto, dove non ci siano fame, povertà, miseria,
sopraffazioni. Nemmeno le organizzazioni internazionali create per sovvenire
ai bisogni dei più deboli riescono a operare in modo che il bene di alcuni
non sia il male per altri. E così la storia dell’umanità va avanti di peccato
in peccato, di guerra in guerra, di oppressione in oppressione. I PECCATI COLLETTIVI RAZIONALIZZATI. Non è ancora
tutto: Ai peccati personali e alle nostre fragilità psichiche e morali, ai
peccato sociali e alle ingiustizie con cui ogni uomo è connivente per il solo
fatto di esserci, va’aggiunta un terza realtà: il peso dei peccati collettivi
assurti a dottrina. Sono ideologie, filosofie, devianze delle religioni,
filoni culturali di ogni tipo, che chiamano bene il male e lo
razionalizzano,lo giustificano conferendogli durata e persistenza. Di qui
nascono le catastrofi che rovesciano le società e sconvolgono periodicamente
il corso della storia. Possono assumere l’aspetto di una catastrofe lenta,
quasi una peste che a poco a poco distrugge dall’interno una civiltà. Non si
tratta semplicemente di strutture organizzate di male, di peccato, ma di
strutture di pensiero che producono il male. Ci troviamo davanti a una realtà diabolica
proprio in quanto il male viene considerato bene per ragioni di stato, di
interessi economici; tali deviazioni sociali confondono la mente, annebbiano
la vista, impediscino di giudicare rettamente. La salvezza di Dio, il suo farci passare indenni
attraverso questo immenso oceano di male è un miracolo, equivale a essere
chiamati, come Lazzaro, fuori dalla tomba, a uscire, come gli Ebrei,
dall’Egitto guadando il Mar Rosso. |
SALVEZZA: Conclusione
Di fronte a tutto ciò non ci rimane che la logica
dell’amore. Cioè l’atteggiamento contrario che deriva dall’opzione
fondamentale per gli altri. E’, in definitiva,il ribaltamento della logica
precedente meditata: non siamo noi che siamo i padroni e abbiamo i diritti,
ma i nostri diritti sono quelli degli altri. La giustizia non è quella dei
sistemi chiusi, distributiva, è una giustizia diversa, è quella di Dio,
"dell’ hai lavorato meno di me, ma è giusto che sia pagato come me",
"mi hai colpito sulla guancia sinistra, ti offro la
destra","ama i nemici". E’ la logica dell’amore, quella della Croce,
della morte per gli altri. E’ in questo ritorno al nucleo delle cose che
significa scegliere nuovamente il mistero del nostro essere, la realizzazione
del nostro destino umano dicendo no ai continui tentativi di oscillazioni
esistenti in noi. E non significa tanto superare singoli gesti, ma
chiederci continuamente il loro significato e la loro sincerità nel voler
accogliere Dio e gli altri nel progetto fondamentale dell’esistenza. Questa riduzione nucleica è estremamente
significativa in un momento come il nostro, quando le spinte di una
rivoluzione del consumo, del potere, del successo, del denaro ad ogni costo,
ci hanno fatto misurare lo spessore storico delle nostre concretizzazioni di
fede e religione. In tale situazione l’effusione dello Spirito
unitamente alla riconciliazione sono in quella linea, perché significa
rifondare se stessi e le proprie scelte, cambiare direzione o correggerla,
prendere coscienza del problema fondamentale della vita che non è l’andare o
no a Messa, compiere o no dei gesti sacramentali, significa rinascere
dall’alto e con Gesù vivere la propria esistenza in una radicalità di scelta
per gli altri, in una lotta per la dinamica dell’amore e per la giustizia
vera, in un superamento della logica del potere e dell’oppressione, attaccati
e dominati dallo spirito mondano. E’ solo in questa radicalità che si comprende la
necessità di mettere in comune le nostre paure e le nostre vigliaccherie, per
chiedere a Dio e a tutti che ci aiutino a credere e a sperare che tutto non è
morto, ma l’uomo assieme a Gesù vive ancora nella continua attesa di un
futuro sempre nuovo. Questa operazione di ricerca e di aiuto, fratelli
e sorelle, non è facile, non può essere che culturale e comunitaria, in uno
sforzo continuo di ricerca nella libertà, in quella libertà dei figli di Dio
che Gesù Cristo ci ha donato proprio mentre vinceva il peccato e la morte. Alleluia,amen, alleluia |