GESU' INSEGNACI A VEGLIARE

 

 

"Io sono la resurrezione e la vita:Chi crede in me anche se muore, vivrà;E chiunque vive e crede in me non morirà in eterno." (Gv.11,25-26)

"Noi crediamo che Gesù è morto e resuscitato; così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui" (1^ Ts.4,14)

 

Gesù, insegnaci a vegliare e ad aspettare il nostro giorno

 

 

INDICE

·        Presentazione

·        L'uomo mortale

·        L'uomo a tempo determinato

·        L'uomo è una cosa meravigliosa

·        L'uomo dell'effimero

·        L'uomo del peccato

·        L'uomo dell'Incarnazione

·        L'uomo della croce

·        L'uomo della resurrezione

·        L'uomo in esilio

·         L'uomo della vita eterna

 

 

a cura di: adonaj.net

 

 

Presentazione

"Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore" (Sal.89,12). Lo sguardo sulla realtà del vivere e del morire, in occasione della liturgia dei defunti, è un invito a saper affrontare, col coraggio della fede, quelle cose che non si possono cambiare, perché non dipendono da noi.

La compagnia della morte, per noi cristiani, non si può rifiutare, perché Cristo, risorgendo da morte, ha vinto anche la nostra morte. A noi, ora, spetta di saper investire, sull'esempio di Gesù Cristo, le varie dimensioni "dell'uomo determinato" nel tempo, nello spazio e nel luogo, affinché sappia cogliere "l'essenziale e ciò che conta per l'eternità di quest'avventura umana".

Noi cristiani crediamo al Ministero di Gesù Cristo, che ha cambiato in gioia il dolore più grande dell'umanità: la morte.

"Dov'è, o morte, la tua vittoria? Dov'è, o morte, il tuo pungiglione? Siano rese grazie a Dio che diede a noi la vittoria per mezzo di nostro Signore Gesù Cristo" (1^ Cor.15,55).

 

 

L'uomo mortale

Il pensiero della morte è una presenza silenziosa che sbuca improvvisamente dai pori della pelle e perfora inesorabilmente tutti i sentimenti del cuore e dell'anima, provocando in loro e nell'intera esistenza, il clima del mistero. Quel mistero di vita e di morte, cui lo spirito razionale non sa trovare una giustificazione plausibile. La contraddizione sta in questo: creati per la vita e condannati alla morte. Essa, senza dubbio, è la più drammatica delle contraddizioni di cui l'uomo è intessuto a livello razionale e spirituale. Infatti, anche Gesù, Dio fatto uomo, nel Getsemani scongiura il Padre dicendo: "L'anima mia è tristissima, da morirne: Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice, tuttavia non come voglio io, ma come vuoi tu…
Lo spirito è pronto, ma la carne è debole…Ed entrato in agonia, pregava più intensamente.
"E il suo sudore divenne come gocce di sangue che scendevano giù sulla terra" (Mt.26,39-41); Lc.22,24).

L'agonia di Gesù tocca il culmine quando esclama:
"E' giunta l'ora in cui il Figlio dell'uomo sarà consegnato nelle mani dei peccatori" (Mt.26,45). I giorni e le ore sono finiti. E' giunto il momento in cui il Maestro ci dirà. Come disse agli apostoli addormentati: "Alzatevi, andiamo" (Mt.26,46). Mistero insondabile è la vita e la morte! Accettarsi come parte e realtà di questo mistero è un dovere. Travagliati, travolti, trascinati dall'imprevisto, sotto il quale si cela un progetto diverso dal nostro, siamo coscienti della nostra precaria esistenza mentre tocchiamo con mano l'essere contingente, finito, limitato, che vorremmo realizzare nella struttura materiale della nostra corporeità. Il salmo 61 squarcia, senza pietà, l'urlo della finitudine interiore quando afferma: "Sì, sono un soffio i figli di Adamo, una menzogna tutti gli uomini, insieme, sulla bilancia, sono meno di un soffio".

L'uomo terreno, immerso nell'esperienza sensoriale e corporale, teme la devastazione della sua realtà: egli si difende con la forza dell'istinto, della conservazione e della propagazione di sé, nel tentativo di sopravvivere a se stesso dopo la fine del suo ciclo vitale. Lo spirito e l'anima percepiscono il vuoto dello sfratto, comprendono di abitare in una dimora che ha gli anni e i giorno contati; non accetta di morire e soffre le vertigini del nulla se la ragione non incontra l'immortalità dello spirito e, più ancora, la fede in Gesù: "Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in me anche se morto vivrà, e chiunque crede vive e crede in me non morirà in eterno. Credi tu questo?" (Gv.11,25-26).

 

 

L'uomo a tempo determinato

Tra le righe del cap. 3,19 della Genesi si può registrare il grido di dolore scaturito dal cuore di Dio Creatore nel dovere punire inesorabilmente la creatura umana che, più d'ogni altra, aveva voluto a sua immagine e somiglianza. Il Creatore non può impedire la giusta punizione a chi liberamente e consapevolmente rifiuta di obbedire e di accettare il suo disegno sull'uomo. Chi va contro Dio, va contro la sua volontà, la sua progettualità salvifica. Il disobbediente a Dio sceglie di distruggere l'opera stessa di Dio, la sua legge, la sua Creazione, le sue creature, persino se stesso, creatura di Dio, voluta dall'amore di Dio per la vita e non per la morte.
Essendo Dio vita, essere perfetto, chi si pone fuori di Dio o contro di lui, esce dalla vita, dall'essere, e quindi è un condannato alla morte eterna, dove "vi è pianto e stridore di denti".

Per meglio intendere la disgrazia di questo comportamento prendiamo come strumento esplicativo una similitudine: la vita del peccatore è paragonabile alla luce di una stella ormai spenta, ma che impiega anni luce prima di essere da noi considerata spenta. Il nulla è la condanna più infernale in cui il ribelle contro il disegno di Dio precipiti, perché il nulla, in questo caso, significa l'assenza di Dio, per sempre, per l'eternità. L'uomo non è solo creato da Dio ma è anche fatto per Dio. Dio, quindi, è il suo naturale approdo o traguardo finale dopo il tempo che gli è stato dato da vivere dalla Provvidenza di Dio. Cosa si potrebbe pensare di una freccia che non raggiungesse mai il traguardo, o di un aereo che non potesse mai più atterrare all'aeroporto previsto, o ad un'automobile che non giungesse mai alla destinazione prefissata? Che cosa accadrebbe all'intelligenza se il pensiero cercasse una verità irraggiungibile, o se la memoria non riuscisse più a ricordare nulla? Gli esseri che non raggiungono il fine per cui sono stati creati precipitano nella frustrazione, nella disperazione, nella pazzia: sarebbe l'inizio del caos particolare e universale, del microcosmo e del macrocosmo.

Il grido di Dio è racchiuso in queste parole: "Polvere tu sei e in polvere ritornerai". In quell'istante è stata fissata la nostra condizione umana. L'uomo, in questo mondo, vive per un certo tempo, perché deve morire, deve abbandonare la dimora del corpo, che, essendo terra, deve ritornare alla terra.
" Ricorda, o Signore, quanto è breve la mia vita. Perché quasi un nulla hai creato ogni uomo. Quale vivente non vedrà la morte, sfuggirà ai poteri degli inferi?" (Sal.88,48-49).
Nella psicologia del cuore umano nasce il tormento e il dramma del tempo. Fino a quando durerà il tempo, il mio tempo? La vita è una corsa contro il tempo. Ecco alcuni spezzoni o frasi in bocca all'uomo a tempo determinato: "Non ho tempo: ho poco tempo; ho fretta; un attimo; un momento; un istante; corri perché sei in ritardo; non ho tempo da perdere", ecc. Gesù c'insegna che il tempo dedicato agli altri è quello che frutta per l'eternità. "Vigilate e pregate". Il tempo è perso quando segue la filosofia condannata da Gesù: "Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero se poi perde la sua anima?".

 

 

L'uomo è una cosa meravigliosa

O Signore, istruiscimi affinché io comprenda che l'uomo non è solo una cosa ma è una cosa meravigliosa. Egli non è una cosa tra le cose. Io non mi sento una cosa, ma una persona. La differenza è sostanziale. L'uomo, infatti, è tanto assomigliante a Dio da indurlo a farsi uomo in Gesù, affinché l'uomo diventasse figlio adottivo di Dio, fratello di Gesù ed erede della sua gloria, della sua resurrezione. Nel Vangelo, ad un certo punto, Gesù sostiene che "non può un uomo ricevere nulla, se non gli è stato dato dal cielo" (Gv.3,17). Dunque l'uomo è arricchito, è favorito, è servito dal cielo in ogni cosa. Dio ha cura di lui; a lui provvede, a lui dirige il suo Amore di Padre, a lui invia Gesù, "affinché chi crede nel Figlio ha la vita eterna; ma chi non crede nel Figlio non vedrà la vita, ma l'ira di Dio sta su di lui" (Gv,3,36).

L'uomo è una cosa meravigliosa soprattutto perché la sua natura, mediante l'Incarnazione, è perfezionata dalla natura stessa di Dio, se lo accetta e se crede in lui vivendo nella sua volontà. In un certo senso l'uomo è simile ad un anfibio, perché può vivere in terra col corpo e contemporaneamente in cielo con l'anima redenta nel Battesimo dal sangue di Cristo, morto e risorto.
C'è un testo di San Giovanni Evangelista molto significativo e chiaro a questo riguardo. Col Battesimo la vita divina è innestata nel cuore dell'uomo terreno che lo rende "capace d'infinito" (S:Tommaso D'Aquino) e che gli apre il cielo facendolo": "nascere dall'Alto": "Chi viene dall'alto è al di sopra di tutti. Chi viene dalla terra è terreno e parla da terreno. Chi viene dall'alto è al di sopra; e ciò che ha veduto e udito egli l'attesta ma nessuno ne accoglie la testimonianza. Chiunque ne accoglie la testimonianza attesta che Dio è verace. Perché colui che Dio ha inviato dice la Parola di Dio, il quale dà lo Spirito senza misura. Il Padre ama il Figlio e tutto ha posto nelle sue mani" (Gv.3,31-35).

Dio ha fatto e fa tutto per convincere l'uomo, e ciascuno di noi, a lasciarsi conquistare liberamente da Cristo con tutta la persuasione di fede proveniente dalla conoscenza della divina rivelazione e dall'amore crocifisso di Cristo stesso, vissuto e testimoniato oggi dalla Santa Chiesa, nella quale ancora s'insegna che l'uomo "è una cosa meravigliosa", creato da Dio perché lo lodi sulla terra e destinato al cielo perché figlio di Dio per mezzo di Gesù, nella cui azione di grazia vive dal giorno del Battesimo. La condizione dell'uomo nuovo, nella descrizione di San Paolo, è la seguente: "Voi siete rivestiti di Cristo" (Gal.3,27). Di fronte a questa divina grandezza nello Spirito a cui ogni battezzato è chiamato, San Paolo dichiara: "Per me vivere è Cristo e morire un guadagno" (Fil.1,21).
Solo chi possiede la sapienza di Dio può vivere l'avventura umana come una cosa meravigliosa.

 

 

L'uomo dell'effimero

Due filosofie a confronto: vivere secondo gli uomini o vivere secondo Dio. Gesù è venuto a metterci in guardia contro la prima: "Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali….per causa mia" (Mt.16,17). Perciò Gesù prosegue: "Io vi mando come pecore in mezzo ai lupi: siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe" (Mt.10,16). Quasi a voler assicurare i suoi discepoli della sua presenza permanente, Gesù dichiara: "Io sono la luce del mondo: chi mi segue non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita" (Gv.8,12). Il rischio fra queste due filosofie a confronto consiste nel fatto che l'una tende al successo, almeno per quanto riguarda l'accontentamento dell'egoismo e dell'individualismo, dove il succo della saggezza mondana si sintetizza nella libertà come verità di sé, ossia "fare sempre e in ogni caso ciò che piace o che si vuole perché soddisfa, gratifica, consola, consolida il primato del proprio Io e della propria volontà contro tutto e tutti, persino contro Dio, la sua legge, la sua Chiesa, il Vangelo, la tradizione come novità di vita, l'ambiente cristiano-cattolico, l'arte, la poesia e la letteratura cristiana o religiosa in genere; anzi crea l'avversione alla saggezza razionale, l'avversione alla sofferenza, la dimenticanza della vita eterna. Il tempo sembra l'eternità del piacere e non un attimo che consuma inutilmente il tempo, privato, in questo modo, dal fine ultimo, proprio della vocazione umana: Dio!

Eppure tutto sottostà all'azione dei fini in questo misterioso universo. E l'uomo possiede solo in Dio il fine adeguato alla sua smisurata sete di vita, di essere, di piena realizzazione di sé attraverso la perfezione. La cultura delle apparenze, dell'immediato, dell'effimero, del provvisorio condanna l'uomo ad un'unica dimensione, quella fenomenica, visibile, materiale, confezionata da cose, dall'avere come sete di denaro, come dimostrazione del potere, del possesso, del piacere.
Il cammino dell'uomo materiale, in contrapposizione all'uomo spirituale, si attua in un circuito chiuso alla Trascendenza, fuori della cultura dell'umanità della mente, del cuore e della coscienza, perché si tratta dell'esperienza esclusivamente "sensoriale", sensitiva, corposa, materiale. Quindi l'uomo dell'effimero è condannato al consumismo, è guidato dall'illuminismo pratico, il quale affonda le sue radici nelle sabbie mobili delle cose e delle passioni umane più cariche d'animalità, di violenza bestiale e di spessore irrazionale. Si crede all'evidenza delle cose e della loro utilità immediata. La seconda annuncia all'uomo dell'effimero, che si nasconde nel sottobosco dell'appartenenza a questo mondo che vive di solo pane, le parole di Gesù: "Voi siete di quaggiù, io sono di lassù. Voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Perciò vi ho detto che morrete nei vostri peccati, perché se non crederete che IO SONO, voi morirete nei vostri peccati" (Gv.8,23-24).
Gesù non si trova nell'effimero, ma "oltre".

 

 

L'uomo del peccato

C'è in ciascuno di noi l'eredità del peccato originale, che mantiene in vita la psicologia dell'uomo peccatore. Quella parte di noi incline a voltare le spalle, a scegliere, come luogo d'autenticità e di libertà, ciò che sta al di fuori della legge naturale ( i dieci comandamenti) e la legge dell'amore cristiano (ama il prossimo tuo come te stesso), insegnato e praticato da Gesù fino alla morte di croce.
"Nessuno ha un amore più grande di colui che dà la vita per i suoi amici" (Gv.15,13). In concreto, "l'uomo del peccato" non si pone più di fronte a Dio. Anzi Dio non è un problema, come non è un problema l'anima, il destino eterno, l'aldilà, la chiesa, il Vangelo, il cristianesimo, i valori dello spirito, ecc. Infatti "l'uomo del peccato" pensa così: "Dio non esiste. Sono tutti corrotti, fanno cose abominevoli, nessuno fa il bene, neppure uno" (dal Sal.52).

La psicologia del peccatore si nutre degli errori e delle aberrazioni altrui per giustificare il proprio agire e la propria condotta, che, tutto sommato, trova conferma nel costume, nella cultura del tempo e dell'ambiente.
Gesù afferma che non ci sono due verità: "Io sono la Verità", né si può ritenere giusto dichiarare che ciascun uomo ha la sua verità, invece di dire che "la verità vi farà liberi….e chi fa la verità viene dalla luce". Poiché i testimoni "della loro o della propria verità" si dimostrano nel quotidiano gli uomini più violenti, più crudeli, più disumani, al punto da compiere crimini contro l'umanità e contro la dignità della persona in nome appunto della "loro verità", occupano i primi posti tra i carnefici dell'uomo figlio di Dio. Gesù, dunque, sostiene giustamente che: "Chi commette il peccato è schiavo del peccato" (Gv.8,34).
Così commenta il salmo 55 l'agire disumano: "Perché ti vanti del male, o prepotente nella tua malizia? Ordisci insidie ogni giorno; la tua lingua è come lama affilata, artefice d'inganni. Tu preferisci il male al bene, la menzogna al parlare sincero. Ami ogni parola di rovina, o lingua d'impostura" (1,6).

Quanto di diabolico, di falso e di vandalico c'è oggi nell'informazione radiotelevisiva e giornalistica! Chi può credere al notiziario quotidiano senza dovere rigettare dalla coscienza l'ondata di perversione contro la verità oggettiva dei fatti? Qual è il fine ultimo di tutto ciò? Forse la salvezza eterna dell'uomo? Forse la costruzione di "un mondo nuovo" più libertario e democratico? Forse è questo lo stile con il quale s'insegna a contare i giorni per giungere alla sapienza del cuore?
"Ecco l'uomo che non ha posto in Dio la sua difesa, ma confidava nella sua gran ricchezza e si faceva forte dei suoi crimini. Perciò Dio ti demolirà per sempre" (dal Sal.51).
C'è stato chiesto: rinunci all'uomo del peccato? "Rinuncio" - abbiamo risposto nel giorno del nostro Battesimo. Da quel momento siamo stati rivestiti di Cristo e siamo diventati uomini della grazia, della verità e della santità. Tutto ciò non ci ha reso impeccabili, ma pur restando peccatori perché debole, certamente non siamo più condannati ad essere uomini del peccato perché rivestiti di Dio in Cristo Gesù.

 

 

L'uomo dell'Incarnazione

Gesù c'insegna a contare i giorni partendo da Betlemme per giunger sul Calvario. Dall'uomo dell'Incarnazione all'uomo della Croce: il crocifisso nel cuore del mondo. I tempi dello spirito non si datano ma si possiedono, si vivono; sono l'essenziale di ciascuno di noi. E non si deve mai porre il silenzio sull'essenziale.
Insegnare a vivere la strada della croce è proprio del Maestro del vangelo, della Chiesa, soprattutto della fede, della speranza e dell'amore, virtù che ci sono state donate nel gran momento del carattere battesimale. Questi sono i giorni più necessari alla redenzione ed anche alla nostra salvezza attraverso la testimonianza del saper soffrire, del saper sperare, del saper amare la croce della nostra esperienza di seguaci di Cristo. Il nostro convincimento interiore lo affidiamo all'apostolo Paolo perché egli sa come tradurlo in una conversione di fede e d'amore intrisa di tenerezza spirituale: "Quanto a me, invece, non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo del quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo" (Gal.6,14).

Quando Gesù ha voluto liberare i suoi seguaci dalle false concezioni sulla persona del Messia e del futuro regno che il Signore Dio gli darà, ossia "il trono di Davide suo Padre, e regnerà sulla casa di Giacobbe nei secoli e il suo regno non avrà mai fine" (Lc.1,32-33), ha semplicemente detto: "Se qualcuno di voi mi vuol seguire, rinunzi a se stesso, prenda la sua croce e così mi segua" (Mt.16,24).
Dove porta la strada della croce? Il cammino di chi vuol prendere sul serio la sequela di Gesù, evitando accomodamenti e tatticismi più conformi alla mediocrità interiore di chi è imbevuto dallo spirito del mondo, punta sicuramente contro l'uomo del peccato e del materialismo considerato come parte della signoria del superuomo o dell'uomo artefice di se stesso, adoratore della divina ragione secondo i canoni dell'attuale illuminismo scientifico per rivolgersi ai valori assoluti della verità, della giustizia, dell'amore, della solidarietà evangelica, dell'imitazione di Cristo, modello dell'uomo nuovo secondo la proposta di Dio.

Che conta, in questa scelta della croce, è la conquista dell'anima alla luce della parola di Gesù: "Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la sua vita per me, la salverà" (Mt.16,25). Il commento più autorevole a questo testo lo troviamo in San Paolo: Di null'altro mai ci glorieremo se non nella croce di Gesù Cristo, nostro Signore: Egli è la nostra salvezza, vita e resurrezione; per mezzo di lui siamo stati salvati e liberati" (Gal.6,14).
L'uomo della croce c'insegna ad avere coraggio di portare con fede, speranza e amore, tutto il peso delle sofferenze e delle croci inerenti alla nostra vocazione perché il tempo della sofferenza è simile al chicco di grano caduto in terra; "se muore porta molto frutto" (Gv.14,24).
Chi vuol contare i propri giorni, escludendo l'esperienza dell'uomo della croce, è simile a colui che costruisce la sua casa sulla sabbia. E' un insipiente.

 

 

L'uomo della croce

Dio c'insegna veramente a contare i nostri giorni mediante l'Incarnazione di Gesù, Figlio suo e della stessa sostanza. "E' lo Spirito che vivifica; la carne non giova a nulla. Le parole che io vi dico sono Spirito e vita" (Gv.6,63). L'uomo dell'Incarnazione è una risposta completa per tutti coloro che lo accolgono, come dichiara San Giovanni nel suo prologo: "Ma a quanti l'accolsero diede il potere di diventare figli di Dio" (Gv.1,12). Il Battesimo, liberandoci "dall'uomo del peccato", ci ha incorporati in Cristo, uomo e Dio, morto e risorto, donandoci la grazia d'essere e di partecipare "all'uomo dell'Incarnazione", mediante la nostra fedele testimonianza, seguendo il suo esempio e la sua maniera di farsi uomo nel quotidiano. E' importante contare i giorni insieme con Gesù. Infatti, prosegue l'evangelista Giovanni: "E dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia" (1,16).

Diventando "uomini dell'Incarnazione", i nostri giorni si contano nella prospettiva del fine ultimo, ossia in vista del giorno in cui giungeremo alla vita eterna, sciolti dal presente e dal corpo con l'intervento della morte, per entrare in possesso di quella beatitudine eterna, di cui il nostro cuore nuovo, rinnovato dalla grazia, ora brama, come afferma San Paolo: "Desidero morire per essere con Cristo". Per attuare in noi la speranza dell'incontro con Cristo risorto, asceso al cielo e che siede alla destra del Padre, occorre convertirsi alla grandezza dello Spirito creato ad immagine di Dio e di Cristo Redentore. E' necessario scegliere Cristo come realtà del quotidiano e centro del cosmo e della storia; ma soprattutto centro della mente, del cuore, della volontà e della coscienza umana, preoccupati di compiere sempre la volontà di Dio, intenzionati a mantenere fede agli impegni battesimali ed evangelici della carità verso Dio e verso il prossimo, consapevoli di ciò che afferma San Paolo: "Ho trovato gioia nel Signore…Ho imparato a bastare a me stesso in ogni occasione; ho imparato ad essere povero ed ho imparato ad essere ricco; sono iniziato a tutto, in ogni maniera; alla sazietà e alla fame, all'abbondanza e all'indigenza. Tutto posso in colui che mi dà forza" (Fil.4,10.11-13).

Agire perciò in unione a Cristo conviene anche per essere incorporati in lui, nel modo descritto da San Paolo: "Qualunque cosa facciate, fatela di cuore come per il Signore e non per gli uomini, sapendo che quale ricompensa riceverete dal Signore l'eredità. Servite a Cristo Signore" (Fil.3,23-24). Più ancora: "Mortificate quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quell'avarizia insaziabile che è l'idolatria….Rivestitevi di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà….perdonandovi scambievolmente….La Parola di Dio dimori tra voi abbondantemente. Badate che nessuno vi inquini con la sua filosofia" (Col.3,8).
L'Incarnazione è la strada dell'uomo-Dio ed è anche la strada dell'uomo in cammino verso Dio.

 

 

L'uomo della resurrezione

"Insegnaci a contare i nostri giorni, e giungeremo alla sapienza del cuore" (Sal.89,12). Lo recito davanti al crocifisso in compagnia di Maria, Madre di Cristo e Madre nostra, e lo ripeto con stupore davanti alla tomba scoperchiata in quel mattino dopo il Sabato in compagnia di Maria Maddalena, mentre "due angeli vestiti di bianco le chiesero: "Donna perché piangi?" Disse loro: "Perché hanno portato via il mio Signore e non so dove l'abbiano messo". Ora Gesù le rivolge la stessa domanda: "Donna, perché piangi? Chi cerchi? Essa, pensando che fosse l'ortolano, rispose: "Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove l'hai messo ed io andrò a riprenderlo". Le disse Gesù: "Maria!". "Maestro!", esclama Maria. "Non trattenermi perché non sono ancora salito al Padre. Ma va dai miei fratelli e dì loro: "Ascendo al Padre mio e al Padre vostro, Dio mio e Dio vostro" (Gv.20,11-18).

Quanto conta l'uomo della resurrezione per Maria Maddalena? Conta quanto l'infinito. Insegnaci. O Signore, ciò che sei riuscito ad insegnare a Maria Maddalena pentita, convertita al tuo Vangelo e alla tua persona divina in veste umana, affinché ciascuno di noi sappia scegliere, nell'incontro con i beni terrestri, che pure provengono da Te, i beni celesti che partono dalla tua divina persona; quei beni che contano veramente per la sapienza del cuore perché saldati alla persona divina e professati nell'esperienza terrena del Figlio di Dio. Contare non vuol dire solo enumerare aritmeticamente delle unità, ma contare nel senso evangelico, significa, prima di tutto, saper conoscere e valutare ciò che conta, ossia la capacità di scegliere quel terreno simile alla roccia, come dice espressamente Gesù, per edificare se stessi, realizzando pienamente la propria vocazione umana alla maniera di Cristo e rifiutando di edificarsi alla maniera del mondo o dell'uomo terrestre, naturale, contrario all'uomo interiore e spirituale, che, al dire ancora di Gesù, costruisce se stesso sui beni terrestri, paragonabili alla sabbia, ossia quei beni in cui tempo si può veramente contare in modo cronologico e determinato. La prima scelta è lodata da Gesù perché ispirata all'uomo saggio, simile "a chi ascolta le mie parole e le mette in pratica" (Mt.7,24-29); chi costruisce sulla sabbia, su ciò che passa, è chiamato da Gesù "uomo stolto", "simile a chiunque ascolta le mie parole e non le mette in pratica" (Mt.7,26).

L'uomo della resurrezione conta, vale al di sopra di tutto e di tutti. Egli diventa l'unico amore, l'unico oggetto e soggetto della fede, perché "se Cristo non è risuscitato allora è vana la nostra predicazione, ed è vana anche la vostra fede. Invece Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti morirono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo" (1Cor.1,13; 20-22).
Cristo rivaluta il tempo e lo impreziosisce con la sua grazia, con la partecipazione alla sua natura divina, con l'esperienza dello Spirito Santo.

 

 

L'uomo in esilio

Quando cerco Gesù, percorrendo la strada dell'Incarnazione, nel tentativo di realizzare pienamente me stesso secondo la sua Parola, io mi riconosco, coscientemente, uomo in esilio, lontano dalla terra promessa, dalla patria, dalla beatitudine eterna. Tutti gli uomini sono in esilio, poiché la nostra dimora non è la terra e i suoi beni materiali e visibili, bensì il cielo e i suoi beni invisibili, dove Cristo stesso si trova alla destra del Padre. Ci sono uomini che si considerano in esilio pensando a quei beni e a quei traguardi umani secondo la mentalità del mondo, nella quale certamente conta l'esaltazione dell'uomo in quanto artefice di se stesso, del mondo, della storia, essendo in possesso di poteri scientifici, politici, economici, tecnologici e culturali di valore indiscusso. Tra essi, egli fa dipendere il suo progresso e la conquista della signoria del regno dell'uomo i cui confini s'identificano con i confini stessi dell'universo. L'uomo del terzo millennio ha piazzato il seme e la radice della sua presenza nella profondità del mistero e dell'atomo come negli spazi celesti. Nessuno può fermarlo nella corsa per il dominio del mondo, nel quale non si considera in esilio, anzi, giudica importante la sua radice terrena, la sua mutevolezza, finitudine, temporalità, perché in queste reali dimensioni, egli pensa di sottrarsi alla mortalità, alla precarietà, alla contingenza e al provvisorio.

Gesù mette in guardia chiunque da quest'illusoria filosofia quando afferma: "Guardatevi dai falsi profeti, i quali vengono a voi in veste di pecora, ma dentro sono lupi rapaci. Dai loro frutti li potrete riconoscere" (Mt.7,15-16).
Quindi siamo esiliati in un mondo che non conosciamo. Eppure la terra, e tutto ciò che contiene, e il cielo, con tutto ciò che possiede, narrano la gloria di Dio creatore e non dell'uomo rapace e divoratore della grandezza altrui. Non abbiamo "nella e sulla" terra la nostra patria, il nostro paradiso, la nostra felicità, la nostra pace integrale. La nostra patria è il cielo, ossia Dio raggiunto mediante Cristo, Salvatore e Maestro di vita che porta al cielo. San Paolo ammonisce: "Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto" (Rm.12,2).
Vivere secondo Dio contribuisce a fortificare la speranza e l'avvento della sua giustizia, poiché la fede in lui si traduce in un cammino che va oltre i confini dell'esperienza terrena.
"Giustificati per la fede, siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Infatti l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato" (Rm.5,5). Il "canta e cammina" di S.Agostino passa attraverso l'uomo della croce e della Pasqua. "Non vi lascerò orfani: ritornerò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi rivedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi comprenderete che sono nel Padre mio e voi in me e io in voi" (Gv.14,18-20).
Noi non siamo del mondo.

 

 

L'uomo della vita eterna

Se tutto ha un termine, anche la supplica a Dio: "Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore", deve giungere alla fine. Tutto ciò che "conta", che "vale", oltre lo spazio del tempo determinato spettante ad ogni vivente, non verrà mai meno.
E' certo, quindi, che l'uomo interiore, abbandonando la sfera corporale, sensoriale, sensitiva, visibile, materiale, s'incontrerà con lo spirito di Dio in Gesù e nello Spirito Santo, e approderà alla vita eterna. Pertanto a noi interessa sviluppare la dimensione ultraterrena dell'uomo destinato alla vita eterna, affinché non approdi distratto, impreparato, per caso, senza consapevolezza, senza responsabilità di coscienza, senza conoscenza di fede su ciò che l'attende.

Quest'uomo della vita eterna, sei tu, siamo noi, uomini di questo tempo in cammino verso il termine ultimo, di cui non sappiamo il "quando, come, dove". Dal vangelo parte la pedagogia della vita eterna. Infatti, nel Vangelo, Cristo traccia il percorso interiore di ciascun uomo in modo quasi circostanziato, raccontato attraverso gli avvenimenti quotidiani, costruito con il cuore e la mente di colui che ha preso dimora in mezzo agli uomini.

Dall'Incarnazione alla Pasqua, dalla Pentecoste alla Chiesa degli ultimi avvenimenti , è avvenuta nel mondo "l'invasione dell'eternità". Così si esprime l'evangelista Giovanni: "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il verbo era Dio. Tutte le cose furono fatte per mezzo di lui, e senza di lui nulla e stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini….La luce vera che illumina ogni uomo stava per venire nel mondo". In Gesù, Figlio di Dio, l'eternità dilaga nella storia degli uomini e del cosmo. La sua presenza: "Egli era nel mondo e il mondo per mezzo di lui fu fatto e il mondo non lo riconobbe", sfuma, nel disinteresse della ragione e della fede, avendo l'uomo invaso con la sua temporalità il posto della divinità, del Creatore, della Provvidenza e del Padre che attende il ritorno dell'umanità.

Egli provoca l'incontro nel Cristo, nello Spirito Santo, nella Chiesa, nella divina rivelazione mediante la sua Parola. Tuttavia "venne nella casa, e i suoi non l'accolsero". La cecità, la durezza del cuore, l'orgoglio del superuomo chiudono l'uomo in se stesso, rendendolo insensibile alla voce di Dio nella storia e sulla strada del quotidiano, in cui ogni uomo cammina verso qualcosa e verso qualcuno che, purtroppo, non sa più leggere con gli occhi della trascendenza e dell'inquietudine agostiniana: "Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te".

Occorre recuperare l'incontro con Cristo: "Senza di me non potete far nulla"; bisogna rinascere dall'acqua e dallo Spirito Santo: "Dovete nascere dall'alto"; è necessario convertirsi sulle tracce del figliol prodigo: "Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te, non sono più degno di essere chiamato tuo figlio, trattami come l'ultimo dei tuoi servi". Dentro questo spirito di umile accoglienza del proprio mistero, i giorni si riempiono di Dio. Contarli non è più necessario.
"Tutto il giorno ti chiamo, o Signore, verso di te protendo le mie mani" (Sal.87,10).
"Ricordati quanto è breve la mia vita. Perché quasi un nulla hai creato ogni uomo? I pensieri dell'uomo non sono che un soffio. Chi è uguale a Te, Signore, Dio degli eserciti?"
(Sal.88,9).
Amen,alleluia,amen!