GESU' INSEGNACI A VEGLIARE
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"Io sono
la resurrezione e la vita:Chi crede in me anche se muore, vivrà;E chiunque
vive e crede in me non morirà in eterno." (Gv.11,25-26) |
"Noi crediamo
che Gesù è morto e resuscitato; così anche quelli che sono morti, Dio li
radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui" (1^ Ts.4,14) |
Gesù, insegnaci a vegliare e ad
aspettare il nostro giorno
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INDICE
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a cura di: adonaj.net
"Insegnaci a contare i nostri giorni e
giungeremo alla sapienza del cuore"
(Sal.89,12). Lo sguardo sulla realtà del vivere e del morire, in occasione della
liturgia dei defunti, è un invito a saper affrontare, col coraggio della
fede, quelle cose che non si possono cambiare, perché non dipendono da noi. La
compagnia della morte, per noi cristiani, non si può rifiutare, perché
Cristo, risorgendo da morte, ha vinto anche la nostra morte. A noi, ora,
spetta di saper investire, sull'esempio di Gesù Cristo, le varie dimensioni
"dell'uomo determinato" nel tempo, nello spazio e nel luogo,
affinché sappia cogliere "l'essenziale e ciò che conta per l'eternità di
quest'avventura umana". Noi
cristiani crediamo al Ministero di Gesù Cristo, che ha cambiato in gioia il
dolore più grande dell'umanità: la morte. "Dov'è, o morte, la tua vittoria? Dov'è, o
morte, il tuo pungiglione? Siano rese grazie a Dio che diede a noi la
vittoria per mezzo di nostro Signore Gesù Cristo" (1^ Cor.15,55). |
Il
pensiero della morte è una presenza silenziosa che sbuca improvvisamente dai
pori della pelle e perfora inesorabilmente tutti i sentimenti del cuore e
dell'anima, provocando in loro e nell'intera esistenza, il clima del mistero.
Quel mistero di vita e di morte, cui lo spirito razionale non sa trovare una
giustificazione plausibile. La contraddizione sta in questo: creati per la
vita e condannati alla morte. Essa, senza dubbio, è la più drammatica delle
contraddizioni di cui l'uomo è intessuto a livello razionale e spirituale.
Infatti, anche Gesù, Dio fatto uomo, nel Getsemani scongiura il Padre
dicendo: "L'anima mia è tristissima, da morirne: Padre mio, se è
possibile, passi da me questo calice, tuttavia non come voglio io, ma come
vuoi tu… L'agonia
di Gesù tocca il culmine quando esclama: L'uomo
terreno, immerso nell'esperienza sensoriale e corporale, teme la devastazione
della sua realtà: egli si difende con la forza dell'istinto, della
conservazione e della propagazione di sé, nel tentativo di sopravvivere a se
stesso dopo la fine del suo ciclo vitale. Lo spirito e l'anima percepiscono
il vuoto dello sfratto, comprendono di abitare in una dimora che ha gli anni
e i giorno contati; non accetta di morire e soffre le vertigini del nulla se
la ragione non incontra l'immortalità dello spirito e, più ancora, la fede in
Gesù: "Io sono la resurrezione e
la vita; chi crede in me anche se morto vivrà, e chiunque crede vive e crede
in me non morirà in eterno. Credi tu questo?" (Gv.11,25-26). |
Tra le
righe del cap. 3,19 della Genesi si può registrare il grido di dolore
scaturito dal cuore di Dio Creatore nel dovere punire inesorabilmente la
creatura umana che, più d'ogni altra, aveva voluto a sua immagine e
somiglianza. Il Creatore non può impedire la giusta punizione a chi
liberamente e consapevolmente rifiuta di obbedire e di accettare il suo
disegno sull'uomo. Chi va contro Dio, va contro la sua volontà, la sua
progettualità salvifica. Il disobbediente a Dio sceglie di distruggere
l'opera stessa di Dio, la sua legge, la sua Creazione, le sue creature,
persino se stesso, creatura di Dio, voluta dall'amore di Dio per la vita e
non per la morte. Per meglio
intendere la disgrazia di questo comportamento prendiamo come strumento
esplicativo una similitudine: la vita del peccatore è paragonabile alla luce
di una stella ormai spenta, ma che impiega anni luce prima di essere da noi
considerata spenta. Il nulla è la condanna più infernale in cui il ribelle
contro il disegno di Dio precipiti, perché il nulla, in questo caso,
significa l'assenza di Dio, per sempre, per l'eternità. L'uomo non è solo
creato da Dio ma è anche fatto per Dio. Dio, quindi, è il suo naturale
approdo o traguardo finale dopo il tempo che gli è stato dato da vivere dalla
Provvidenza di Dio. Cosa si potrebbe pensare di una freccia che non
raggiungesse mai il traguardo, o di un aereo che non potesse mai più
atterrare all'aeroporto previsto, o ad un'automobile che non giungesse mai
alla destinazione prefissata? Che cosa accadrebbe all'intelligenza se il
pensiero cercasse una verità irraggiungibile, o se la memoria non riuscisse
più a ricordare nulla? Gli esseri che non raggiungono il fine per cui sono
stati creati precipitano nella frustrazione, nella disperazione, nella
pazzia: sarebbe l'inizio del caos particolare e universale, del microcosmo e
del macrocosmo. Il grido
di Dio è racchiuso in queste parole: "Polvere
tu sei e in polvere ritornerai". In quell'istante è stata fissata la
nostra condizione umana. L'uomo, in questo mondo, vive per un certo tempo,
perché deve morire, deve abbandonare la dimora del corpo, che, essendo terra,
deve ritornare alla terra. |
L'uomo è una cosa
meravigliosa O Signore,
istruiscimi affinché io comprenda che l'uomo non è solo una cosa ma è una
cosa meravigliosa. Egli non è una cosa tra le cose. Io non mi sento una cosa,
ma una persona. La differenza è sostanziale. L'uomo, infatti, è tanto
assomigliante a Dio da indurlo a farsi uomo in Gesù, affinché l'uomo
diventasse figlio adottivo di Dio, fratello di Gesù ed erede della sua
gloria, della sua resurrezione. Nel Vangelo, ad un certo punto, Gesù sostiene
che "non può un uomo ricevere
nulla, se non gli è stato dato dal cielo" (Gv.3,17). Dunque l'uomo è
arricchito, è favorito, è servito dal cielo in ogni cosa. Dio ha cura di lui;
a lui provvede, a lui dirige il suo Amore di Padre, a lui invia Gesù, "affinché chi crede nel Figlio ha la
vita eterna; ma chi non crede nel Figlio non vedrà la vita, ma l'ira di Dio
sta su di lui" (Gv,3,36). L'uomo è
una cosa meravigliosa soprattutto perché la sua natura, mediante
l'Incarnazione, è perfezionata dalla natura stessa di Dio, se lo accetta e se
crede in lui vivendo nella sua volontà. In un certo senso l'uomo è simile ad
un anfibio, perché può vivere in terra col corpo e contemporaneamente in
cielo con l'anima redenta nel Battesimo dal sangue di Cristo, morto e
risorto. Dio ha
fatto e fa tutto per convincere l'uomo, e ciascuno di noi, a lasciarsi
conquistare liberamente da Cristo con tutta la persuasione di fede
proveniente dalla conoscenza della divina rivelazione e dall'amore crocifisso
di Cristo stesso, vissuto e testimoniato oggi dalla Santa Chiesa, nella quale
ancora s'insegna che l'uomo "è una cosa meravigliosa", creato da
Dio perché lo lodi sulla terra e destinato al cielo perché figlio di Dio per
mezzo di Gesù, nella cui azione di grazia vive dal giorno del Battesimo. La
condizione dell'uomo nuovo, nella descrizione di San Paolo, è la seguente:
"Voi siete rivestiti di Cristo" (Gal.3,27). Di fronte a questa
divina grandezza nello Spirito a cui ogni battezzato è chiamato, San Paolo
dichiara: "Per me vivere è Cristo e morire un guadagno" (Fil.1,21). |
Due
filosofie a confronto: vivere secondo gli uomini o vivere secondo Dio. Gesù è
venuto a metterci in guardia contro la prima: "Guardatevi dagli uomini, perché
vi consegneranno ai tribunali….per causa mia" (Mt.16,17). Perciò Gesù
prosegue: "Io vi mando come pecore in mezzo ai lupi: siate dunque
prudenti come serpenti e semplici come colombe" (Mt.10,16). Quasi a
voler assicurare i suoi discepoli della sua presenza permanente, Gesù
dichiara: "Io sono la luce del
mondo: chi mi segue non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della
vita" (Gv.8,12). Il rischio fra queste due filosofie a confronto
consiste nel fatto che l'una tende al successo, almeno per quanto riguarda
l'accontentamento dell'egoismo e dell'individualismo, dove il succo della
saggezza mondana si sintetizza nella libertà come verità di sé, ossia
"fare sempre e in ogni caso ciò che piace o che si vuole perché
soddisfa, gratifica, consola, consolida il primato del proprio Io e della
propria volontà contro tutto e tutti, persino contro Dio, la sua legge, la
sua Chiesa, il Vangelo, la tradizione come novità di vita, l'ambiente
cristiano-cattolico, l'arte, la poesia e la letteratura cristiana o religiosa
in genere; anzi crea l'avversione alla saggezza razionale, l'avversione alla
sofferenza, la dimenticanza della vita eterna. Il tempo sembra l'eternità del
piacere e non un attimo che consuma inutilmente il tempo, privato, in questo
modo, dal fine ultimo, proprio della vocazione umana: Dio! Eppure
tutto sottostà all'azione dei fini in questo misterioso universo. E l'uomo
possiede solo in Dio il fine adeguato alla sua smisurata sete di vita, di
essere, di piena realizzazione di sé attraverso la perfezione. La cultura
delle apparenze, dell'immediato, dell'effimero, del provvisorio condanna
l'uomo ad un'unica dimensione, quella fenomenica, visibile, materiale,
confezionata da cose, dall'avere come sete di denaro, come dimostrazione del
potere, del possesso, del piacere. |
C'è in
ciascuno di noi l'eredità del peccato originale, che mantiene in vita la
psicologia dell'uomo peccatore. Quella parte di noi incline a voltare le spalle,
a scegliere, come luogo d'autenticità e di libertà, ciò che sta al di fuori
della legge naturale ( i dieci comandamenti) e la legge dell'amore cristiano
(ama il prossimo tuo come te stesso), insegnato e praticato da Gesù fino alla
morte di croce. La
psicologia del peccatore si nutre degli errori e delle aberrazioni altrui per
giustificare il proprio agire e la propria condotta, che, tutto sommato,
trova conferma nel costume, nella cultura del tempo e dell'ambiente. Quanto di
diabolico, di falso e di vandalico c'è oggi nell'informazione radiotelevisiva
e giornalistica! Chi può credere al notiziario quotidiano senza dovere
rigettare dalla coscienza l'ondata di perversione contro la verità oggettiva
dei fatti? Qual è il fine ultimo di tutto ciò? Forse la salvezza eterna
dell'uomo? Forse la costruzione di "un mondo nuovo" più libertario
e democratico? Forse è questo lo stile con il quale s'insegna a contare i
giorni per giungere alla sapienza del cuore? |
Gesù c'insegna
a contare i giorni partendo da Betlemme per giunger sul Calvario. Dall'uomo
dell'Incarnazione all'uomo della Croce: il crocifisso nel cuore del mondo. I
tempi dello spirito non si datano ma si possiedono, si vivono; sono
l'essenziale di ciascuno di noi. E non si deve mai porre il silenzio
sull'essenziale. Quando
Gesù ha voluto liberare i suoi seguaci dalle false concezioni sulla persona
del Messia e del futuro regno che il Signore Dio gli darà, ossia "il
trono di Davide suo Padre, e regnerà sulla casa di Giacobbe nei secoli e il
suo regno non avrà mai fine" (Lc.1,32-33), ha semplicemente detto:
"Se qualcuno di voi mi vuol seguire, rinunzi a se stesso, prenda la sua
croce e così mi segua" (Mt.16,24). Che conta,
in questa scelta della croce, è la conquista dell'anima alla luce della
parola di Gesù: "Chi vorrà salvare
la propria vita, la perderà; ma chi perderà la sua vita per me, la
salverà" (Mt.16,25). Il commento più autorevole a questo testo lo
troviamo in San Paolo: Di null'altro mai ci glorieremo se non nella croce di
Gesù Cristo, nostro Signore: Egli è la nostra salvezza, vita e resurrezione;
per mezzo di lui siamo stati salvati e liberati" (Gal.6,14). |
Dio
c'insegna veramente a contare i nostri giorni mediante l'Incarnazione di
Gesù, Figlio suo e della stessa sostanza. "E' lo Spirito che vivifica;
la carne non giova a nulla. Le parole che io vi dico sono Spirito e
vita" (Gv.6,63). L'uomo dell'Incarnazione è una risposta completa per
tutti coloro che lo accolgono, come dichiara San Giovanni nel suo prologo: "Ma a quanti l'accolsero diede il
potere di diventare figli di Dio" (Gv.1,12). Il Battesimo,
liberandoci "dall'uomo del peccato", ci ha incorporati in Cristo,
uomo e Dio, morto e risorto, donandoci la grazia d'essere e di partecipare
"all'uomo dell'Incarnazione", mediante la nostra fedele
testimonianza, seguendo il suo esempio e la sua maniera di farsi uomo nel
quotidiano. E' importante contare i giorni insieme con Gesù. Infatti,
prosegue l'evangelista Giovanni: "E
dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia"
(1,16). Diventando
"uomini dell'Incarnazione", i nostri giorni si contano nella
prospettiva del fine ultimo, ossia in vista del giorno in cui giungeremo alla
vita eterna, sciolti dal presente e dal corpo con l'intervento della morte,
per entrare in possesso di quella beatitudine eterna, di cui il nostro cuore
nuovo, rinnovato dalla grazia, ora brama, come afferma San Paolo:
"Desidero morire per essere con Cristo". Per attuare in noi la
speranza dell'incontro con Cristo risorto, asceso al cielo e che siede alla
destra del Padre, occorre convertirsi alla grandezza dello Spirito creato ad
immagine di Dio e di Cristo Redentore. E' necessario scegliere Cristo come
realtà del quotidiano e centro del cosmo e della storia; ma soprattutto
centro della mente, del cuore, della volontà e della coscienza umana,
preoccupati di compiere sempre la volontà di Dio, intenzionati a mantenere
fede agli impegni battesimali ed evangelici della carità verso Dio e verso il
prossimo, consapevoli di ciò che afferma San Paolo: "Ho trovato gioia nel Signore…Ho imparato a bastare a me stesso
in ogni occasione; ho imparato ad essere povero ed ho imparato ad essere
ricco; sono iniziato a tutto, in ogni maniera; alla sazietà e alla fame,
all'abbondanza e all'indigenza. Tutto posso in colui che mi dà forza"
(Fil.4,10.11-13). Agire
perciò in unione a Cristo conviene anche per essere incorporati in lui, nel
modo descritto da San Paolo: "Qualunque cosa facciate, fatela di cuore
come per il Signore e non per gli uomini, sapendo che quale ricompensa
riceverete dal Signore l'eredità. Servite a Cristo Signore"
(Fil.3,23-24). Più ancora: "Mortificate quella parte di voi che
appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e
quell'avarizia insaziabile che è l'idolatria….Rivestitevi di sentimenti di
misericordia, di bontà, di umiltà….perdonandovi scambievolmente….La Parola di
Dio dimori tra voi abbondantemente. Badate che nessuno vi inquini con la sua
filosofia" (Col.3,8). |
"Insegnaci a contare i nostri giorni, e
giungeremo alla sapienza del cuore"
(Sal.89,12). Lo recito davanti al crocifisso in compagnia di Maria, Madre di Cristo
e Madre nostra, e lo ripeto con stupore davanti alla tomba scoperchiata in
quel mattino dopo il Sabato in compagnia di Maria Maddalena, mentre "due
angeli vestiti di bianco le chiesero: "Donna perché piangi?" Disse
loro: "Perché hanno portato via il mio Signore e non so dove l'abbiano
messo". Ora Gesù le rivolge la stessa domanda: "Donna, perché
piangi? Chi cerchi? Essa, pensando che fosse l'ortolano, rispose:
"Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove l'hai messo ed io andrò a
riprenderlo". Le disse Gesù: "Maria!". "Maestro!",
esclama Maria. "Non trattenermi perché non sono ancora salito al Padre.
Ma va dai miei fratelli e dì loro: "Ascendo al Padre mio e al Padre
vostro, Dio mio e Dio vostro" (Gv.20,11-18). Quanto
conta l'uomo della resurrezione per Maria Maddalena? Conta quanto l'infinito.
Insegnaci. O Signore, ciò che sei riuscito ad insegnare a Maria Maddalena
pentita, convertita al tuo Vangelo e alla tua persona divina in veste umana,
affinché ciascuno di noi sappia scegliere, nell'incontro con i beni
terrestri, che pure provengono da Te, i beni celesti che partono dalla tua
divina persona; quei beni che contano veramente per la sapienza del cuore
perché saldati alla persona divina e professati nell'esperienza terrena del
Figlio di Dio. Contare non vuol dire solo enumerare aritmeticamente delle
unità, ma contare nel senso evangelico, significa, prima di tutto, saper
conoscere e valutare ciò che conta, ossia la capacità di scegliere quel
terreno simile alla roccia, come dice espressamente Gesù, per edificare se
stessi, realizzando pienamente la propria vocazione umana alla maniera di
Cristo e rifiutando di edificarsi alla maniera del mondo o dell'uomo
terrestre, naturale, contrario all'uomo interiore e spirituale, che, al dire
ancora di Gesù, costruisce se stesso sui beni terrestri, paragonabili alla
sabbia, ossia quei beni in cui tempo si può veramente contare in modo
cronologico e determinato. La prima scelta è lodata da Gesù perché ispirata
all'uomo saggio, simile "a chi
ascolta le mie parole e le mette in pratica" (Mt.7,24-29); chi
costruisce sulla sabbia, su ciò che passa, è chiamato da Gesù "uomo stolto", "simile a
chiunque ascolta le mie parole e non le mette in pratica" (Mt.7,26). L'uomo
della resurrezione conta, vale al di sopra di tutto e di tutti. Egli diventa
l'unico amore, l'unico oggetto e soggetto della fede, perché "se Cristo
non è risuscitato allora è vana la nostra predicazione, ed è vana anche la
vostra fede. Invece Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che
sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo
verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti morirono in Adamo, così
tutti riceveranno la vita in Cristo" (1Cor.1,13; 20-22). |
Quando
cerco Gesù, percorrendo la strada dell'Incarnazione, nel tentativo di realizzare
pienamente me stesso secondo la sua Parola, io mi riconosco, coscientemente,
uomo in esilio, lontano dalla terra promessa, dalla patria, dalla beatitudine
eterna. Tutti gli uomini sono in esilio, poiché la nostra dimora non è la
terra e i suoi beni materiali e visibili, bensì il cielo e i suoi beni
invisibili, dove Cristo stesso si trova alla destra del Padre. Ci sono uomini
che si considerano in esilio pensando a quei beni e a quei traguardi umani
secondo la mentalità del mondo, nella quale certamente conta l'esaltazione
dell'uomo in quanto artefice di se stesso, del mondo, della storia, essendo
in possesso di poteri scientifici, politici, economici, tecnologici e
culturali di valore indiscusso. Tra essi, egli fa dipendere il suo progresso
e la conquista della signoria del regno dell'uomo i cui confini
s'identificano con i confini stessi dell'universo. L'uomo del terzo millennio
ha piazzato il seme e la radice della sua presenza nella profondità del
mistero e dell'atomo come negli spazi celesti. Nessuno può fermarlo nella
corsa per il dominio del mondo, nel quale non si considera in esilio, anzi,
giudica importante la sua radice terrena, la sua mutevolezza, finitudine,
temporalità, perché in queste reali dimensioni, egli pensa di sottrarsi alla
mortalità, alla precarietà, alla contingenza e al provvisorio. Gesù mette
in guardia chiunque da quest'illusoria filosofia quando afferma: "Guardatevi dai falsi profeti, i
quali vengono a voi in veste di pecora, ma dentro sono lupi rapaci. Dai loro
frutti li potrete riconoscere" (Mt.7,15-16). |
Se tutto
ha un termine, anche la supplica a Dio: "Insegnaci
a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore",
deve giungere alla fine. Tutto ciò che "conta", che
"vale", oltre lo spazio del tempo determinato spettante ad ogni
vivente, non verrà mai meno. Quest'uomo
della vita eterna, sei tu, siamo noi, uomini di questo tempo in cammino verso
il termine ultimo, di cui non sappiamo il "quando, come, dove". Dal vangelo parte la pedagogia
della vita eterna. Infatti, nel Vangelo, Cristo traccia il percorso interiore
di ciascun uomo in modo quasi circostanziato, raccontato attraverso gli
avvenimenti quotidiani, costruito con il cuore e la mente di colui che ha
preso dimora in mezzo agli uomini. Dall'Incarnazione
alla Pasqua, dalla Pentecoste alla Chiesa degli ultimi avvenimenti , è avvenuta
nel mondo "l'invasione
dell'eternità". Così si esprime l'evangelista Giovanni: "In principio era il Verbo, e il
Verbo era presso Dio, e il verbo era Dio. Tutte le cose furono fatte per
mezzo di lui, e senza di lui nulla e stato fatto di ciò che esiste. In lui
era la vita, e la vita era la luce degli uomini….La luce vera che illumina
ogni uomo stava per venire nel mondo". In Gesù, Figlio di Dio,
l'eternità dilaga nella storia degli uomini e del cosmo. La sua presenza: "Egli era nel mondo e il mondo per
mezzo di lui fu fatto e il mondo non lo riconobbe", sfuma, nel
disinteresse della ragione e della fede, avendo l'uomo invaso con la sua
temporalità il posto della divinità, del Creatore, della Provvidenza e del
Padre che attende il ritorno dell'umanità. Egli
provoca l'incontro nel Cristo, nello Spirito Santo, nella Chiesa, nella
divina rivelazione mediante la sua Parola. Tuttavia "venne nella casa, e
i suoi non l'accolsero". La cecità, la durezza del cuore, l'orgoglio del
superuomo chiudono l'uomo in se stesso, rendendolo insensibile alla voce di
Dio nella storia e sulla strada del quotidiano, in cui ogni uomo cammina
verso qualcosa e verso qualcuno che, purtroppo, non sa più leggere con gli
occhi della trascendenza e dell'inquietudine agostiniana: "Ci hai fatti
per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in
te". Occorre
recuperare l'incontro con Cristo: "Senza di me non potete far
nulla"; bisogna rinascere dall'acqua e dallo Spirito Santo: "Dovete
nascere dall'alto"; è necessario convertirsi sulle tracce del figliol
prodigo: "Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te, non sono più
degno di essere chiamato tuo figlio, trattami come l'ultimo dei tuoi
servi". Dentro questo spirito di umile accoglienza del proprio mistero,
i giorni si riempiono di Dio. Contarli non è più necessario. |