OPERE DI MISERICORDIA
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6. Perdonare le offese
ricevute 7. Pregare per i vivi e
per i morti 9. Sopportare
pazientemente le persone moleste
11. Dar da mangiare agli
affamati |
Dar da bere agli
assetati
Che
significato può avere quest'opera di misericordia qui da noi, in Italia? E'
vero, oggi si parla sempre più frequentemente di grande siccità, ma non c'é
nessuno che patisca veramente la sete, tanto più che, al limite, c'è sempre
l'acqua minerale, ci sono le bibite. Giustamente, perciò, si è portati a dare a
quest'opera di misericordia un significato simbolico. Se non c'è nessuno che
patisce la sete, sono però molti quelli che soffrono la sete di affetto:
vecchi soli e abbandonati, bambini senza famiglia, adolescenti e giovani che
non hanno un punto di riferimento, persone sole, fallite nella vita familiare
e sociale, emarginate, che non hanno nessuno che abbia voglia e tempo di
comunicare con loro. Spesso sono persone che abitano nell'appartamento
accanto, che incontriamo per strada, con cui passiamo ore e ore gomito a
gomito; dedicare un po' di tempo, di attenzione, di affetto a queste persone,
con discrezione, con rispetto: questo è un modo di esercitare oggi, da noi,
l'opera di misericordia. Bisogna però allargare lo sguardo sul mondo dove
c'è gente che, quando non piove, non ha più l'acqua, patisce la sete e muore
anche di sete. E sono decine e decine di milioni di persone. Chi è stato in
Africa in periodi di siccità, ricorda le lunghe processioni di donne e
bambini, con l'anfora sulla testa, che percorrono chilometri a piedi per
prendere un po' d'acqua nelle ultime sorgenti rimaste: e quasi sempre si
tratta di acqua inquinata. Un miliardo e 250 milioni di persone nel mondo
non dispone di acqua potabile; eppure, nel sottosuolo, a profondità più o
meno grandi, l'acqua c'è, fresca e potabile....Oggi, perciò, dar da bere agli
assetati può significare fornire a un missionario i mezzi per installare una
pompa o per scavare un pozzo. Le riviste missionarie sono piene di queste
proposte concrete; è il Signore che ci chiede da bere e che in quel giorno ci
dirà: "Avevo sete e mi avete dato da bere". Amen,alleluia,amen. |
Vestire gli ignudi
Nella società
dei consumi è difficile scorgere come praticare anche quest'altra opera di
misericordia. Se da noi non esistono gli "ignudi", per mancanza di
vestito, si possono però trovare a volte persone, soprattutto di colore, che
indossano indumenti leggeri con temperature rigide, come quelle invernali,
oppure anche bambini zingari scalzi o anziani senza cappotto. Con molta
discrezione in silenzio bisognerebbe potere allungare qualche vestito nuovo a
queste persone. Il bisogno è molto maggiore in altre parti del
mondo dove c'è gente veramente ignuda e bisognosa di vestiti: sono centinaia
di milioni in Africa, America Latina, in varie nazioni asiatiche, ecc.... Lasciamo stare i problemi di cultura, che va
rispettata. La realtà è che non si vestono perché non hanno i soldi per
comprarsi i vestiti; tant'è vero che il vestito, e di solito molto bello, lo
riservano per la festa; tant'è vero che le persone che riescono a studiare, a
guadagnare e a tirarsi fuori dalla povertà, si vestono; tant'è vero che nella
stagione meno calda si sentono molti tossire e molti sono malati di
tubercolosi perché non possono coprirsi sufficientemente. Ma come aiutarli? Alcuni raccolgono vestiti usati e li mandano ai
missionari. E' una strada buona se si manda roba buona, ben pulita e
soprattutto se si invia quello che i missionari chiedono e si è sicuri che
sono loro a utilizzarlo in modo diretto e mirato. Forse, però, il mezzo più
efficace è quello di rinunciare alle spese superflue nell'acquisto dei propri
vestiti e mandare il denaro ai missionari, perché acquistino sul posto i
vestiti che vanno bene ai più poveri che non possono procurarseli o, meglio
ancora, perché forniscano telai e filo per produrre le stoffe, o almeno
forniscano le stoffe per confezionare i vestiti secondo i costumi e le mode
del luogo. In altre parole: un vestito di meno per
"vestire gli ignudi" dei paesi poveri. Amen,alleluia,amen |
Ammonire i peccatori
Il punto di
partenza per esercitare quest'opera consiste nel prendere anzitutto coscienza
che siamo tutti peccatori. Perciò non ci sono i "giusti" che
ammoniscono i "peccatori", ma i fratelli che danno una mano ai
fratelli perché non cadano in peccato, o perché si tirino fuori da uno stato
di peccato. Il metodo da impiegare è quello indicato da Gesù:
"Se il tuo fratello commette una colpa, va e ammoniscilo fra te e lui
solo; se ti ascolterà avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con
te uno o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre
testimoni"(Mt.18,15-17). Un'altra indicazione preziosa è quella di San
Paolo:"Fratelli, qualora uno venga sorpreso in qualche colpa, voi che
avete lo Spirito correggetelo con dolcezza. E vigila su te stesso, per non
cadere anche tu in tentazione" (Gal.6,1). Purtroppo spesso, anziché praticare questa opera
di misericordia, si preferisce mormorare alle spalle, parlare dei difetti e
delle colpe degli altri quando non ci sono (si chiama
"maldicenza"). Talvolta si preferisce colpire alle spalle,
denunciando presunte colpe a chi conta, a chi può condizionare la carriera,
al "superiore", Perché questo? Le ragioni possono essere molte. Ma
ce n'è una più profonda di tutte: è la mancanza di amore. Amen,alleluia,amen. |
Consolare gli afflitti
San Paolo
traduce con queste parole l'opera di misericordia "consolare gli
afflitti": "godere con chi è lieto e piangere con chi
soffre". Certamente è più facile la prima parte, godere
con chi gode; è più difficile piangere con chi piange. Eppure ci sono tante situazioni di sofferenza che
si incontrano in continuazione nella vita: una disgrazia, una malattia, un
dissesto finanziario, uno sfratto, una famiglia che si sfascia, genitori
anziani e abbandonati: "Quando una persona vive in una di queste
situazioni, molto spesso si trova sola con la propria sofferenza; anche gli
amici girano al largo. Anzi è proprio qui che si riconoscono i veri amici.
Forse anche ciascuno di noi deve pentirsi di avere lasciato sole persone che
conosceva nel momento della sofferenza, mentre si sarebbero attese una nostra
presenza: ne avevano bisogno, ne avevano diritto. Noi ci scusiamo dicendo che
non abbiamo avuto tempo, che avevamo troppe cose da fare, che proprio non
potevamo: in realtà abbiamo avuto poco cuore, poco amore". Ovviamente, "non si tratta di parole: anzi
le parole, quando uno soffre, servono poco. E tanto meno servono alcune
espressioni convenzionali e formali: un biglietto di condoglianze, la
ghirlanda di fiori, l'inserzione sul giornale. Sono spesso formalità inutili,
che non dicono nulla, che non coprono il vuoto di umanità e di amore".
"Quello che conta nella sofferenza è il rapporto umano, vero, autentico
che può essere espresso anche con una visita, una telefonata, una lettera; ma
questi segni devono servire a stare vicino con amore: è il flere cum
flentibus, piangere con chi piange. Il dolore vissuto accanto a chi ha fede è una
crescita per tutti. Più difficile è quando non c'è questa luce. Allora
"la forma di consolazione in questi casi è una vicinanza sincera,
discreta, rispettosa, affettuosa, frutto di umanità viva e di sincero
amore". Amen,alleluia, amen. |
Insegnare agli
"ignoranti"
Da tanti anni a questa parte, una propaganda di
scristianizzazione tendenziosa e ideologicamente orientata alla cultura del
consumismo ha voluto fare passare la Chiesa come "oscurantista". La
verità invece è che la Chiesa attraverso i secoli è sempre stata promotrice
di cultura e civiltà. Tuttavia, lasciamo da parte questo problema,
domandiamoci piuttosto che cosa significa questa opera di misericordia
spirituale oggi, come insegnare agli "ignoranti". Nei paesi del terzo mondo dove l'analfabetismo è
ancora molto diffuso (ma il fenomeno preoccupa anche i paesi
industrializzati), quest'opera è esercitata e continua ad esserlo dai
missionari, dai volontari e da altri. I bisogni sono immensi e noi possiamo
cooperare sostenendo le loro iniziative. Anche le scuole cattoliche, se ben condotte e
gestite, costituiscono un modo caratteristico di esercizio di quest'opera di
misericordia. Ma la forma più moderna e più efficace per realizzarla è di
fare funzionare bene la scuola di tutti. Ciò significa: per gli insegnanti,
preparare bene le lezioni, impegnarsi seriamente nella spiegazione, curare
diligentemente la correzione dei compiti, seguire particolarmente i ragazzi
meno dotati; per le famiglie, partecipare fattivamente alle attività degli
organismi collegiali e non preoccuparsi soltanto della promozione dei loro
figli, ma anche della loro formazione globale; per tutti, preoccuparsi
soprattutto degli inadempimenti all'obbligo scolastico. Questa opera di misericordia, inoltre, interessa
molto da vicino i catechisti nelle parrocchie e gli insegnanti di religione
nelle scuole, sacerdoti e laici. Ma diventa veramente opera di misericordia a
due condizioni: se riesce a essere non soltanto trasmissione di notizie, ma
di esperienza e di vita. Se riesce, in secondo luogo, a coinvolgere i
genitori che sono i primi e principali maestri dei loro figli, anche nella
fede. Amen,alleluia,amen. |
Perdonare le offese
ricevute
Forse è
l'opera più difficile di tutte. Eppure fa parte dell'insegnamento
inequivocabile del Vangelo e costituisce la condizione per essere perdonati
da Padre che è nei cieli. Senza dubbio, la pratica del perdono fraterno è una
strada in salita, non solo perché i nostri sentimenti si ribellano, ma anche
perché per giungere alla riconciliazione completa bisogna essere in due a
volerla. Come regola, è necessario che il perdono e la riconciliazione si
basino sulla chiarezza e sulla verità. Perdonare perciò significa: tentare
sempre di chiarire ciò che è causa di tensione e di scontro; non togliere mai
il saluto a nessuno, anche quando non siamo riusciti a chiarire e a capirci;
non fare mai del male ad alcuno, neanche quando ci capitasse l'occasione di
vendicarci... Una regola d'oro è questa: non lasciare mai
scendere la notte su tensioni non chiarite, si offese non perdonate. "Non
tramonti mai il sole sulla vostra ira". Ma è possibile tutto questo all'umana debolezza? Il Signore non ci comanda forse una cosa superiore
alle nostre forze? La risposta sta nelle parole dell'apostolo San Paolo: "Tutto
posso in colui che mi dà la forza". Amen,alleluia,amen. |
Pregare per i vivi e
per i morti
L'invito a "pregare per i vivi e per i
defunti" si basa su una grande e splendida verità: la comunione dei
santi. La Chiesa educa in continuazione in tutta la Liturgia, che è la sua
preghiera pubblica e ufficiale, all'esercizio di quest'opera di misericordia.
Infatti, nella preghiera eucaristica, noi preghiamo sia per i vivi che per i
defunti. Quindi, partecipando consapevolmente alla Liturgia, esercitiamo già
quest'opera di misericordia. Ma nel costume della comunità cristiana ci sono
anche altre forme individuali e personali: ad esempio, fare celebrare la
santa Messa per determinate persone vive, in difficoltà (malati,famiglie in
crisi, ecc..) o in date significative della loro vita come l'onomastico, il
compleanno, l'anniversario di matrimonio o per i propri parenti defunti,
particolarmente nell'anniversario
della morte. Ogni famiglia potrebbe costruire un vero e proprio
anno liturgico famigliare. Mentre la Chiesa universale ha il suo anno
liturgico, la famiglia "piccola chiesa domestica", ha anch'essa il
suo calendario liturgico che segna, nella preghiera, le tappe della sua vita. Un'altra forma di attuazione di questa opera
avviene attraverso "l'apostolato della preghiera": è molto forte
perché si impernia tutta la realtà della comunione dei santi. Si mette in
circolazione nel corpo di tutta la Chiesa il valore delle preghiere, delle
azioni, dei sacrifici di ciascun cristiano, ogni giorno: è come un flesso di
sangue nuovo che entra in circolazione, che va a nutrire e rafforzare tutte
le membra del corpo. Non è una piccola pratica devozionale, è una forma
essenziale e robusta di vivere la realtà misteriosa, ma forte e carica di
speranza: la comunione dei santi. Amen,alleluia,amen. |
Seppellire i
morti
Seppellire i
morti era l'opera di misericordia che Tobia compiva durante l'esilio degli
ebrei in Babilonia. E' anche l'opera di misericordia compiuta da Giuseppe
d'Arimatea nei riguardi di Gesù. Oggi ci sono leggi precise che regolano il
trasporto e la sepoltura dei morti: è un servizio pubblico. Nessuno potrebbe
farlo di sua iniziativa. Come esprimere allora la pietà cristiana per i
morti? Anzitutto accompagnando le salme dei propri parenti, degli amici, dei
conoscenti, dei compagni di lavoro, dei vicini di casa al funerale. Ci sono due maniere di partecipare a un funerale:
per convenienza sociale e per pietà cristiana. Nel primo caso è solo una
presenza che, quando è educata, è rispettosa e silenziosa. Nel secondo caso,
è una partecipazione attiva alla preghiera, alla liturgia, all'eucaristia.
Evidentemente solo così la partecipazione al funerale diventa un'opera di
misericordia. Ma c'è un secondo modo di esprimere la pietà per
i morti: con i fiori e le opere buone. E' certamente segno di gentilezza e di
animo buono coprire la bara e la tomba di fiori. Ma questi ben presto
appassiscono. I fiori più belli sono piuttosto le opere buone, le opere di
carità: la carità, quindi, come segno di pietà per i defunti. Vi è, infine, un terzo modo che nasce dalla fede:
illuminare il funerale e la sepoltura della luce della risurrezione. Anche se
oggi non è più possibile seppellire materialmente i morti, la partecipazione
al funerale, vissuta nella preghiera, nella condivisione con i poveri, nella
fede innovata dalla resurrezione, diventa un modo diverso, ma luminoso e
fecondo di vivere nel tempo attuale la settima opera di misericordia
corporale. Ecco in sintesi come si può anche oggi dare
un'espressione concreta ben precisa alle opere di misericordia sia spirituale
che corporale. Nessuna di queste è impossibile. Anzi, le mutate condizioni
dei tempi offrono nuove opportunità per renderle ancor più significative, dal
momento che anche oggi i poveri sono in mezzo a noi. Amen,alleluia, amen! |
Sopportare
pazientemente le persone moleste
L'apostolo San
Paolo scrive: "Sopportatevi a vicenda con amore". Questa è
forse l'opera di misericordia più attuale, più quotidiana, più universale; ci
interpella tutti i giorni, dovunque andiamo, perché ogni giorno siamo a
contatto con persone: in famiglia, sul lavoro, per la strada, sull'autobus,
al cinema, a scuola, in parrocchia, in chiesa. Qualche volta possiamo scegliere noi le persone
con cui intrattenerci, con cui fare un'iniziativa, o una gita o un viaggio; e
allora selezioniamo le persone, scegliamo quelle che ci vanno bene, che sono
affini al nostro temperamento, alle nostre idee, ai nostri sentimenti. Ma
normalmente nella vita non è così: dobbiamo prendere le persone come sono e
talvolta sono proprio "moleste" Del resto anche noi possiamo
essere, magari senza volerlo, "persone moleste" per gli altri. Come comportarsi? San Paolo scrive: "Portate
pazientemente gli uni i pesi degli altri per amore". Le due parole
chiave sono: "pazientemente" e "per amore". Di fronte al comportamento
fastidioso di una persona possiamo ribellarci, brontolare o apertamente di
fronte o meno francamente alle spalle; oppure possiamo tacere e sopportare.
Ma la sopportazione da sola è povera e può essere anche un comportamento
stupido. E', perciò, la seconda parola "per amore" che dà
significato cristiano alla sopportazione, che la rende pienamente accettabile
e la trasforma in "opera di misericordia". Certamente non è facile sopportare pazientemente
le persone moleste con amore. In genere è più difficile con le persone
vicine, con cui ci si trova a vivere molte ore al giorno, ad esempio con la
nonna arteriosclerotica che ripete sempre le stesse cose. o con il collega
d'ufficio che tenta di scaricarti addosso il suo lavoro, con la vicina di
casa che controlla tutti i passi che fai. Eppure al anche quest'opera di
misericordia può essere una via di miglioramento e di santità. Amen,alleluia,amen. |
Visitare i carcerati
Oggi non è
facile visitare i carcerati, ma è possibile. Si può, per esempio, fare parte
di un gruppo o di un'associazione che è autorizzata a entrare nel carcere con
i propri membri per "promuovere lo sviluppo dei contatti tra la comunità
carceraria e la società libera" (art.17 legge 353/75). Oppure si può
essere autorizzati anche come singole persone, in determinati casi. Ma anche
nell'assistenza ai carcerati è necessario seguire la logica evangelica del
ripartire dagli "ultimi". Anche fra i carcerati ci sono infatti gli
"ultimi". Questi non sono tra i personaggi-simbolo, scelti dai
radicali, né fra i boss della mafia e della camorra, né fra i terroristi,
anche se tutti costoro presentano problemi che non si possono ignorare. Gli "ultimi" sono i poveracci che non
possono pagare l'avvocato e sono affidati alla difesa d'ufficio, che in
genere vuol dire nessuna difesa, Ci si domanda allora: "Perché fra gli
avvocati cristiani non ci potrebbero essere dei volontari che si mettono a
disposizione dei detenuti poveri per difendere le loro cause?".
"Ultimi" sono i detenuti stranieri, fra cui moltissimi immigrati
dal terzo mondo che si trovano completamente isolati, senza parenti e senza
mezzi. Chi conosce le lingue e soprattutto i missionari e le missionarie che
conoscono anche i loro paesi, i loro costumi, non potrebbero farsi prossimo,
come volontari, di questi fratelli? "Ultimi" sono i giovani
drogati, percentuale altissima della popolazione carceraria, che vivono
spesso il loro volontario calvario al limite della disperazione. Ma oggi all'opera di misericordia "visitare
i carcerati" bisogna aggiungerne un'altra gemella altrettanto
importante: "Aiutare i carcerati a inserirsi nella società". Tutti
ormai ammettono che il carcere non redime nessuno, anzi diventa moltiplicatore
di delinquenza. Perciò chi commette un reato deve certamente pagare, ma il
meno possibile con la reclusione in carcere e, comunque, se dimostra volontà
vera di riabilitarsi deve essere aiutato a farlo, favorendo il suo
progressivo reinserimento nella comunità. Questa è certamente una sfida per la comunità
cristiana. Infatti, potremmo ritenerci soddisfatti se come comunità cristiana
abbiamo mandato un prete a fare il cappellano in carcere, ma poi lo lasciamo
solo e non ci preoccupiamo più di chi sta dietro le sbarre!. Amen,alleluia,amen. |
Dar da mangiare agli
affamati
Dalle opere di
misericordia spirituale a quelle corporali. La prima: "dar da mangiare
agli affamati". Lo chiede Gesù: "Perché avevo fame e mi avete dato
da mangiare..." (Mt.24,31-45). E' possibile che Cristo patisca la fame
anche oggi in qualcuno dei nostri fratelli, in una società del
benessere
diffuso come la nostra? Le apparenze sembrerebbero negarlo. In realtà non è
così. Per esempio, quando al Caritas di Roma ha aperto una mensa, ha avuto
più di mille persone a frequentarla che diversamente non avrebbero avuto un
pasto caldo nella giornata: giovani, sbandati, immigrati del terzo mondo,
barboni... Se ogni città aprisse una mensa, sarebbe subito
riempita da gente che ha fame...Ma i veri affamati oggi sono in Africa,
America Latina, in INdia, nel Bangladesh; si trovano in molti paesi del
sud-est asiatico e in altri paesi ancora. Come si può oggi esercitare
quest'opera di misericordia? La forma più bella è quella che raccontava un
professore: "A casa nostra, quando ero piccolo, c'era molte volte a
tavola con noi un povero che aveva chiesto un pezzo di pane per amor di
Dio". E' la forma più bella e cristiana, ma non facile e non sempre
possibile. Comunque l'aiuto dovrebbe sempre avere la delicatezza del sarto
descritto dal Manzoni nei Promessi sposi: mentre egli esalta la predica e la
carità del cardinal Federigo, s'accorge che anche lui avrebbe potuto far
qualcosa: "...mise insieme un piatto delle vivande che eran sulla
tavola, e aggiuntovi un pane, mise il piatto in un tovagliolo, e preso questo
per le quattro cocche, disse alla sua bambinetta maggiore: "Piglia
qui". Le diede nell'altra mano un fiaschetto di vino e soggiunse:
"Và qui da Maria vedova: lasciale questa roba e dille che è per stare un
po' in allegria con i suoi bambini. Ma con buona maniera, vè, che non paia
che tu le faccia l'elemosina. E non dir niente se incontri
qualcheduno..." Rispettando questo stile, una parrocchia, un
comune, una tavola per chi ha fame dovrebbero saperla preparare sempre, con
il concorso di tutta la comunità. Amen,alleluia,amen. |