LE LETTERE DI DON
ROBERTO
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Con questo sito web pensiamo
di poter avvicinare quelle persone che non possono, per qualche motivo, frequentare la nostra Parrocchia
e contiamo di poter essere vicini anche ai parrocchiani che, per i più svariati motivi,
sono lontani da Calenzano. Ogni anno, in prossimità della Santa Pasqua,
pubblichiamo un giornalino in cui oltre al calendario liturgico viene
proposto il calendario
delle benedizioni delle case e delle famiglie, disponibile in parrocchia.
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Perché questo sito
web e perché questo nome
Sono
contento di poter scrivere due righe d’introduzione che servono a spiegare la
ragione di questo piccolo sito web e a giustificarne anche il suo titolo.
Riguardo al motivo di quest’iniziativa esso è molto semplice. Nasce dalla
buona volontà d’alcune persone che si sono assunte il compito di redigere,
questo “foglio” che vuole essere un brevissimo informatore parrocchiale. Lo
scopo di questo notiziario è di permettere un minimo contatto con tutti,
anche con coloro che sarebbero interessati alla vita della nostra comunità
ma che, per tante ragioni, non possono, specialmente quando ne sono impediti
dal proprio stato di salute. Certamente è una cosa piccola e familiare;
d’altra parte siamo coscienti di essere già bombardati da tante notizie
d’ogni tipo, per cui non volevamo anche noi aumentare questo carico; inoltre
siamo convinti che, spesso, le cose piccole e semplici sono le più gradite.
Riguardo al titolo è stato scelto in modo tale che esprimesse già in sé un
potenziale positivo in accordo con lo spirito del Vangelo, che è appunto
“buona notizia” (cfr Lc 4, 16-21). Così questa scelta è stata suggerita dai
passi biblici dove si parla di “ali” che danno un vigore tanto potente
simile, appunto, a quello di grandi forti “ali d’aquila”, vigore che è come
un dono dall’Alto e che permette di superare con imprevedibile leggerezza e
slancio ostacoli, difficoltà e sofferenze umane anche grandi (cfr Es 19, 4;
Dt 32, 11; Is 40, 31; Ap 12, 14). Non è difficile dunque riconoscere in
queste “ali” il simbolo della Speranza cristiana. A me sembra che, in questo
mondo, specie proprio nel nostro primo mondo, sia urgente il richiamo a
riconsiderare la potenza delle motivazioni che ci vengono da quella Fede che
ci apre alla Verità nell’Amore. Infatti, la nostra società appare
pervasa, ora più che mai, di pessimismo, delusione, sfiducia e anche
disperazione. Il fatto è che ha troppo sperato in cose di questo mondo e
anche in cose spesso sbagliate. Possiamo dire che molti mali se li è procurati
da se stessa. Se il buon Dio lo permetterà, e se questo piccolo informatore
parrocchiale circolerà, avremo modo di tornare sull’argomento. Intanto
vogliate accettare i miei migliori saluti ed auguri.
don Roberto Carpini, parroco. (Dicembre
2001) |
La Speranza
L’avvicinarsi della più
grande festa cristiana, cioè della Pasqua dei Signore, mi da l'occasione per
riprendere il tema della Speranza già introdotto nel primo numero di questo
piccolo informatore parrocchiale intitolato "ali d'aquila”, immagine biblica
questa che richiama appunto proprio la potenza della Speranza cristiana. Sappiamo bene che il vigore di questa virtù
opera soprattutto nei momenti più difficili dove possiamo essere tentati di
sconforto e di disperazione sul senso e il valore della vita. Ma opera anche nel determinare energia,
generosità e fermezza sia nei passaggi importanti e impegnativi della nostra
esistenza, come pure nell'aiuto a superare con slancio il "grigio"
quotidiano. Leggiamo nel Librò del
Profeta Isaia: "anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti
inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza,
mettono ali come aquile, corrono senza appannarsi, camminano senza
stancarsi" (40,30-31). Forse questo significa che quanti speriamo in Lui
siamo esenti dalle difficoltà, i travagli e le sofferenze della vita? E sono forse i cristiani dispensati dal
lasciare un giorno l'abitazione del proprio corpo in questo mondo? Certo che no! Che cos'è dunque questo Speranza vigore della Speranza
cristiana? Ascoltiamo Gesù: "Venite a Me, voi tutti, che siete
affaticati e oppressi, e lo vi ristorerò" (Mt 11,28). Nelle sofferenze e nelle difficoltà, se ci
fidiamo e affidiamo veramente a Cristo, Egli stesso ci solleva interiormente
con la Sua Misericordia motivando tutto ciò che viviamo compreso -
soprattutto- quello che è più riluttante alla nostra natura umana. Ora il fondamento di tutto ciò risplende
massimamente proprio nella Pasqua di Gesù.
Infatti con la Sua Passione e Morte Egli ha vinto il peccato e la
morte e con essi ogni ragione di disperazione perché,con la Sua Resurrezione, ci ha restituito al vero
senso e significato della nostra esistenza eterna. Dunque il Crocifisso, cioè l'Uomo dei
dolori schiacciato dal peccato del mondo, non è un segno di sconfitta, di
disperazione o di depressione, bensì il segno dell'Amore Divino che, proprio
sulla Croce, ha vinto il mondo del male e del la morte. Il mio augurio per ciascuno di noi o dunque
che la potenza rinnovatrice della S. Pasqua pervada mediante la Fede, la
preghiera e i Sacramenti tutto il
nostro essere rigenerandolo nel più profondo ad una Speranza piena di Verità
e Immortalità. don Roberto
(Marzo
2002) |
Una festa per un
lieto evento
Ho creduto opportuno richiamare con questo
articoletto l’ attenzione di tutti noi su una realtà di fede molto bella
professata ogni volta che recitiamo il credo, ma che penso passi quasi sempre
inosservata: mi riferisco alla "Comunione dei Santi". L'opportunità
è almeno in parte dettata dal lieto evento della santificazione di Padre Pio
che avverrà domenica 16 giugno, evento questo che sentiamo particolarmente
importante per la nostra comunità, la quale può considerarsi benedetta in
modo speciale dall'intercessione di questo santo. Infatti, come ben sappiamo,
la nostra Chiesa è stata voluta da lui e beneficata da alcune sue promesse.
Ecco dunque l'opportunità di approfondire un po' meglio, alla luce della
dottrina cattolica, questo misterioso fatto della Comunione dei Santi di cui
noi tutti siamo partecipi . Insegna infatti il "Catechismo della Chiesa
Cattolica" che la Comunione dei Santi indica sia la comunione alle "Cose Sante", cioè tutte quelle
realtà celesti di cui per Grazia siamo arricchiti (Sacramenti, carismi,....),
sia la comunione nell'Amore di Cristo con le persone Sante della terra e
soprattutto del Cielo. E così nel medesimo catechismo al n° 956 leggiamo:
"A causa infatti della loro più intima unione con Cristo i beati
rinsaldano tutta la Chiesa nella Santità... non cessano di intercedere per
noi presso il Padre, offrendo i meriti acquistati in terra mediante Gesù
Cristo, unico Mediatore fra Dio e gli uomini... La nostra debolezza quindi è
molto aiutata dalla loro fraterna sollecitudine". Alle parole di S.
Domenico: "Non piangete. Io vi sarò più utile dopo la mia morte e vi
aiuterò più efficacemente di quando ero in vita" e di S. Teresina: "Passerò
il mio cielo a fare del bene sulla terra", fanno eco le parole di Padre
Pio: "Molto più chiasso dopo la mia morte farò... e chi salirà questo
colle (S. Giovanni Rotondo) non tornerà a mani vuote". E così è. Questo
uomo, forgiato direttamente alla scuola del Signore in una fedeltà fortemente
provata da ogni forma di sofferenza, è stato un magnifico segno della
grandezza a cui eleva il Signore le Sue anime elette. Questo Santo è stato ad
un tempo elemento di crisi e pietra d’inciampo per l’ orgoglio e l’ autosufficienza atea , caratteristiche del
nostro secolo, ma stesso momento strumento docile di grande attenzione e
delicatezza per il valore della vita umana, specialmente quella segnata dalla
sofferenza (si pensi solo alla realizzazione della Casa Sollievo della
Sofferenza)., Inoltre, come tutti i Santi, ha invitato gli uomini ad alzare
gli occhi al Cielo con la preghiera per comprendere e comprendersi nel vero
senso dell'esistenza. La creazione degli stessi gruppi di preghiera
testimonia la sua predilezione per questa “arma” con cui combattere lo
insidie del nemico e collaborare alla pienezza della vita della Chiesa. Ho
sentito dunque come un dolce dovere di gratitudine al Signore e a questo
santo, oltre che motivo di edificazione comune, accennare alle grazie che si
connettono con la vita di quest’uomo di Dio. Colgo infine l'occasione per esprimere
grata memoria anche ai suoi fedeli collaboratori che ne hanno prolungata
l'azione e in particolare al caro Giovanni Bardazzi il quale, come ben
sappiamo, ha edificato con l'aiuto di altre persone generose, proprio questa
nostra Chiesa. don
Roberto (Maggio 2002) |
“
Le parole che vi ho detto sono spirito e vita” (Gv 6,63) Credo di non sbagliare pensando che uno
degli aspetti del dramma religioso dell'uomo sia il fatto che da una parte
egli sente il bisogno della presenza
di Dio non come un concetto astratto e impersonale, ma per Quello che
veramente è e si è rivelato in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, cioè un Dio
che ama la sua creatura ed entra in modo delicatissimo in rapporto con !a sua
storia personale e universale. D'altra parte un tantino che si applichi con
saggezza a considerare la perfezioni del creato, non può non avvertire, come
ci dice la Sacra Scrittura, la grandezza, la magnificenza, l'infinita
perfezione e trascendenza del Creatore. Ora se quest'ultima considerazione è
frutto di un sano e semplice criterio razionale, la percezione della Sua
vicinanza e familiarità sono solamente e totalmente una Sua grazia di
condiscendenza: grazia e verità che si sono manifestate pienamente in Cristo
Gesù. A noi interessa però il "come" Dio si è reso familiare nella
storia umana, perché, se ascoltiamo con sincerità il nostro cuore, sentiamo
che di questa familiarità ne abbiamo davvero bisogno. Cosi guardando alla
storia della salvezza, vediamo che il movimento di Dio verso l'umanità è
simile a quello di un genitore che si china alla misura del figlio per
stabilire con lui un dialogo il cui scopo principale, ancor prima che
educativo, è quello di attuare una comunicazione affettiva cosi importante
per la crescita psico-fìsica de! bambino. E' questo lo stile di Dio verso
l'umanità e, perché ciò non fosse riservato solo a qualche uomo di un Popolo
prediletto, ha voluto che questo dialogo amicale tra Dio e gli uomini
rimanesse fissato per scritto: la Sacra Scrittura antica. Le stesse parole di Gesù, ascoltando e
vedendo il Quale si ascolta e si vede il Padre, sono state raccolte nei
Vangeli e insieme ad altri scritti apostolici vanno a formare il Nuovo
Testamento. Fin dall'inizio i cristiani sentirono
fortemente il bisogno di nutrirsi della Sacra Scrittura per crescere nella
conoscenza di Dio la quale è alla base di quella familiarità confidente e
rispettosa, di cui parlavamo all'inizio, che è propria della piena maturità
di fede. Ho voluto ricordare brevemente queste cose all'inizio del nuovo anno
di lavoro parrocchiale per stimolare ciascuno di noi ad inoltrarsi nella
conoscenza della Parola di Dio, cosa questa che come sappiamo bene non può
essere fatta esclusivamente da soli, bensì in riferimento alla Chiesa nella
quale la Scrittura è nata e alla quale è data. Per questo da alcuni anni sono
nati i gruppi di lettura del Vangelo nelle case e, sempre per lo stesso
motivo, quest'anno ci sarà in Parrocchia un incontro ogni due settimane per
la lettura proprio della prima parte della Bibbia. Lettura senza dubbio
affascinante ma anche irta di difficoltà. Maggiori dettagli verranno
comunicati negli avvisi domenicali e nel prossimo numero di Ali di Aquila,
nel frattempo invito tutti coloro che possono ad accostarsi con fiducia a
questa sorgente di Luce. don
Roberto (settembre 2002) |
NATALE : rinnovarsi per l’accoglienza di Gesù Cristo Ad un anno di distanza dalla prima edizione
di questo “foglio” parrocchiale sono lieto di poter rinnovare a tutte le famiglie
della Parrocchia i miei migliori auguri di buon Natale e di ogni benedizione
per il nuovo anno 2003. E’ vero che è un po’ presto per fare questi auguri
dal momento che siamo all’inizio dell’Avvento, cioè del periodo di
preparazione alla festa che celebra la nascita di Gesù, ma questo foglio
doveva uscire per informare sulle diverse iniziative del momento e non volevo
perdere questa occasione per comunicarvi alcune semplici considerazioni come
piccolo contributo a viver meglio questa preparazione. Premetto che so
benissimo di essere solo un povero prete senza alcuna pretesa di competenza
storica, ne tanto meno sociale e politica, ma dal momento che vivo come
ognuno di voi in questa parte del mondo e in questo tempo cerco, come tanti,
di fare una lettura di alcuni dei drammi, che credo siano di maggior
travaglio nella nostra società attuale, riferendoli alla luce della mia tenue
fede. A questo proposito penso che
possiamo considerare veramente profetico l’appello che il Santo Padre,
Giovanni Paolo II, fece circa venticinque anni fa, all’inizio del suo
pontificato, di “Aprire le porte a Cristo” e non solo all’esperienza della
vita personale, ma anche ad ogni forma strutturata della vita sociale
(famiglia, lavoro, scienza, arte,...). Infatti penso che sia sotto gli occhi di tutti una
certa crisi di valori, non solo religiosi e morali, crisi che sembra
investire soprattutto, anche se non solo, proprio la nostra cultura europea.
Certo sarebbe veramente presuntuoso il pensare di saperne elencarne le cause,
ma credo di non sbagliare troppo se vedo fra di esse sia la presa di
coscienza dell’ennesimo fallimento delle eccessive speranze riposte negli
assoluti ideologici umani, sia la crescita della capacità di indagine critica
anche dell’essere e dell’agire dell’uomo. Quest’ultimo fatto ha messo ancor
più a nudo i limiti umani e di conseguenza anche l’ingenuità di ogni forma di
esaltazione enfatica, sia essa riferita a persone o ad ideologie. Le stesse
manifestazioni, più o meno eclatanti e dolorose, del fanatismo
fondamentalista ed integralista hanno pur esse contribuito, nella loro
intransigenza, ad aumentare la diffidenza in tutto ciò che si propone come
ricerca di assoluto. In questa situazione si insinua facilmente nella mente e
nel cuore di chi non è vigilante non solo la convinzione di una religione e
di una morale “fai da te”, ma anche l’ombra di un relativismo che tende a
coprire ogni forma di valore. La storia ci insegna che la crisi, come momento
di crescita, è importante purché si arrivi ad una rifondazione basilare,
altrimenti il suo perdurare rischia di ingenerare forme di involuzione
culturale. Credo che questo sia uno dei contenuti dell’appello che il Papa ha
di nuovo ultimamente lanciato nel discorso al Parlamento italiano. Le radici
della cultura europea affondano nel Vangelo il quale ci parla, si, della
Verità una e assoluta (Cristo), ma di
una Verità che, pur essendo tale, si rivela con amore e per amore alla nostra
misura facendosi appunto il “Piccolo” fra i piccoli (cf Is9,5). Questo è il
Suo Natale. don Roberto
(dicembre 2002) |
Una
decina di anni fa, poco dopo il mio arrivo in questa Parrocchia, decidemmo di
fare una piccola inchiesta attraverso un semplice questionario per
interrogarci su cosa si pensava e su cosa ci si aspettava dalla Parrocchia.
Oggi viviamo in un clima dove la ricerca e l’approfondimento della nostra
identità cristiana diventa sempre più necessario. Per questo credo che non
sia fuori luogo cercare di rispondere alla domanda su che cos’è questa realtà
della Parrocchia, che direttamente o indirettamente è sempre un riferimento
per la maggior parte delle persone. Premetto che non sono certo un erudito, e
che quindi non intendo entrare in problemi teologici, storici o sociali, ma
che desidero dare ugualmente il mio piccolo contributo per una risposta
semplice e immediata, vicina al vissuto quotidiano. E’ normale che per
tradizione storica, specialmente nel nostro mondo europeo, il concetto di
Parrocchia richiami in noi prima di tutto l’immagine di una realtà in parte
religiosa e in parte almeno burocratica, posta in un determinato territorio
con al centro delle precise strutture: (la chiesa e gli ambienti
annessi) dove operano persone facenti riferimento ad un
responsabile (parroco) e dove si va normalmente per certi “servizi”
religiosi: matrimoni, funerali, sacramenti, ecc. . Certamente questa è più o
meno la struttura visibile della Parrocchia, ma il fermarsi a questo è come
ridurre la persona al suo corpo, anzi, ancor più, ridurre il mistero della
vita alla mobilità degli arti. In effetti la Parrocchia è prima di tutto una
Comunità di persone che credono in Cristo e che si sforzano di vivere il
Vangelo. E siccome il Vangelo rinvia all’attenzione agli altri, l’obbedienza
alla Carità sprona a servire Dio anche attraverso la trasmissione
dell’insegnamento di Gesù e l’attuazione di ciò che di più prezioso - insieme
alla sua Parola - ci ha lasciato, cioè i Sacramenti. Ecco dunque che la
Comunità si organizza per fare tutto questo massimamente nella celebrazione
Eucaristica (Messa) e in tutte le altre espressioni religiose, di
insegnamento e caritative. E’ chiaro poi che per far questo ha bisogno anche
delle strutture materiali, così come ha bisogno prima di tutto delle persone
che si rendano disponibili ai vari servizi, organizzandosi in modo coordinato
intorno al responsabile, il quale riceve l’autorità di servire non dagli
uomini ma da Dio stesso per mezzo dell’intera Comunità dei credenti, che è la
Chiesa, per mano di coloro che ne sono
le guide responsabili: i Vescovi uniti al Capo visibile che è il Papa. Ecco
dunque che la Parrocchia è uno degli strumenti mediante il quale il Signore
può raggiungere ogni uomo per esprimergli il suo Amore e donargli la
salvezza. In questo senso credo che sia pertanto evidente come non ci si
debba fermare a considerare solamente la struttura visibile della Parrocchia,
né tanto meno la sua più o meno marcata inadeguatezza di realtà umana nei
confronti della missione affidatale dal
Signore, ma vederla per quello che è cioè uno strumento di incontro dell’uomo
con l’Amore salvifico di Dio. Come già accennato, il funzionamento organico
di questa realtà necessità si delle strutture materiali ma l’attenzione va
soprattutto posta sul suo essere comunità di fede formata da famiglie la
quale, in rapporto alla Famiglia più grande che è la Chiesa, fa si che questa
fede, come sorgente di luce e sommo bene, si trasmetta di generazione in
generazione. Premesso tutto ciò credo non sia male fare chiarezza anche sul
funzionamento della Parrocchia nella sua realtà visibile, ma di questo ci
occuperemo nel prossimo numero. don Roberto
(febbraio 2003) |
Dopo il pallido tentativo di raccontare che
cos’è la Parrocchia, nel precedente numero di “Ali d’aquila”, provo - con
ancor meno pretese - a dire come funziona una Parrocchia. Insisto sulla
limitazione dell’informazione che vorrei dare anche perché non è certo mia
intenzione voler annoiare il lettore, bensì assolvere ad un dovere di
trasparenza informando sommariamente le persone su come funziona e si
sostiene la Comunità parrocchiale.
Nell’articoletto su accennato avevo cercato di delineare i compiti
spirituali preminenti che la
Parrocchia come comunità di fede è chiamata a svolgere per essere fedele al
suo mandato. Possiamo riassumere questi impegni in tre funzioni:
insegnamento, liturgia e carità. Nell’insegnamento c’è racchiusa tutta
l’attività di evangelizzazione, formazione e informazione religiosa che si
esplica in tante forme ( omelie, gruppi biblici, catechesi, ...), ma che ha
nella collaborazione interna alla famiglia cristiana il punto di forza
fondamentale. La liturgia si occupa di rendere favorevole ed massimamente
espressiva l’attività religiosa ( S.
Messa e gli altri atti di culto comunitario ). La carità si occupa di
sovvenire, per quanto possibile, alle necessità più urgenti materiali - e non
- dei vicini ( in particolare con i centri di ascolto ) e dei lontani: opere
missionarie. Fortunatamente per svolgere tutte queste attività il parroco non
è lasciato solo né a livello esecutivo, e questo è implicito nel tenore
stesso dell’impegno, né a livello “decisionale”, e anche questo è fondamentale
per mantenere una prossimità con le esigenze e il pensiero della gente.
L’organo fondamentale che aiuta a livello decisionale il parroco è il
Consiglio pastorale. Si riunisce periodicamente per discutere e decidere
sulle cose più importanti che via via si presentano nello sviluppo
dell’attività parrocchiale. E’ formato da un certo numero di persone elette,
o comunque approvate e riconosciute valide per questo scopo, da coloro che
partecipano più da vicino alla vita della Parrocchia. In second’ordine, ma per
certi versi altrettanto importante, c’è il problema pratico del sostegno
economico di tutta la suddetta attività. A proposito sono contento di aver
modo di poter chiarire che la partecipazione delle persone si regge tutta
sul volontariato: dal catechismo alla pulizia della chiesa e dei locali
annessi. L’unico che ha uno “stipendio” prelevato dai fondi della Parrocchia
è il parroco. A me personalmente spettano 110 € al mese. Comunque anche nella
gestione economica il parroco è aiutato da un organo “ad hoc” : il Consiglio
per gli affari economici, il quale, oltre sollevare il parroco dagli impegni
che non gli sono propri, contribuisce, con un bilancio consuntivo che viene
reso pubblico ogni anno, a dare ancor più rilievo alla trasparenza della vita
economica della Parrocchia, la quale si regge esclusivamente – almeno
nel nostro caso – sulle libere offerte che le persone possono fare, e in
genere fanno, in certe occasioni. Però vorrei concludere questo articoletto
con un pensiero più spirituale. E’ vero che non “viaggiamo nell’oro”,
soprattutto in considerazione dei futuri impegni di ristrutturazione degli
ambienti, ma è pur vero e vivo nella ripetuta esperienza dei santi, quello
che Gesù proclama nel Vangelo: “Cercate prima il Regno di Dio e la sua
giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”. ( Mt 6,33 ) don Roberto
(maggio 2003) |
Vorrei condurre con il lettore una piccola riflessione
che non pretende di avere alcunché di arguto o di originale, ma solo lo scopo
di evidenziare, in maniera peraltro abbastanza superficiale, il gioco di
alcuni limiti che portiamo nella nostra natura umana. Che ognuno nel suo relazionarsi con gli
altri, e il mondo in genere, sia condizionato dalle proprie idee, gusti,
cultura, ecc. è un fatto di cui tutti facciamo esperienza anche perché è un
dato intrinseco alla progressività dello stesso processo di apprendimento.
Infatti nell‘approssimarsi alla “novità”, di qualunque tipo essa sia, e che
quotidianamente ci attende nell’esperienza stessa della vita, portiamo con
noi tutto quel bagaglio di conoscenze, esperienze, idee e anche ideali che forma la necessaria
base del giudizio umano. Il problema è che certe volte nascono degli
indurimenti o rigidezze categoriali dovute ad ignoranza, errori, prevenzioni
e altre motivazioni magari anche inconsce e spesso irragionevoli. Non si
potrebbe spiegare altrimenti il continuo ripetersi di tutte quelle devianze
indotte da falsi valori o ideali utopici che tormentano incessantemente e da
sempre la storia umana, creando situazioni gravide di penosissime
conseguenze. Dobbiamo riconoscere che in una qualche misura il pregiudizio fa
“capolino” nella debolezza della condizione umana in genere e non manca
certamente anche nel mondo religioso. Basta aprire i Vangeli per rendersi
facilmente conto che uno dei motivi della condanna del Cristo è stato il suo
essere così diverso dall’immagine che gli Ebrei del tempo e i loro capi si
erano fatta del Messia. Ma questo è un argomento troppo difficile e vasto per
la mia misura. Vorrei solo far notare che queste semplici e brevi
considerazioni ci possono aiutare ad intravedere meglio quante forme di
ingiustificata diffidenza vivono all’ombra di stantii pregiudizi. Accade
facilmente, per esempio, che un cristiano che si sforza di vivere al meglio
la fedeltà al suo Signore e Maestro che è Cristo, venga giudicato come minimo
bigotto forse da chi nemmeno conosce pallidamente il vero senso della vita
cristiana e che magari, come non raramente accade, è vittima di credenze e di
paure superstiziose combattute con scaramanzie, portafortuna, lettura di carte. maghi, ecc.
. Tutte cose queste che al di là dell’illecito morale, avviliscono davvero la
dignità della ragione umana e la paralizzano in forme devianti che le sono di
forte ostacolo nell’ aprirsi alla luce della Verità. Termino queste brevi e
sommarie considerazioni sul pregiudizio mentre mi scorre davanti alla mente
come un fiume di storie che si sentono di tante persone che sono andate a
conoscere Padre Pio con le motivazioni più svariate e pregiudiziali e che
pure, quando si sono trovati davanti a quest’uomo, nel quale viveva Cristo in
modo speciale, sono stati sconvolti cedendo il passo alla forza della
conversione. Si ripeteva in una qualche misura ciò che si era verificato in
modo mirabile e grandioso quando Cristo era in terra e che continua a
verificarsi, sempre in misura proporzionata, nella vita dei Santi - uomini
liberi - che hanno conosciuto e amato
quella Verità che li ha resi liberi davvero ( cf Gv 8,33-36 ). don Roberto
( settembre 2003) |
NATALE : LA DISCESA DIVINA
PER L’ASCESA UMANA Quando il cristiano si dimentica di Cristo
non solo perde la sua identità, ma dimentica anche il dono della grande
dignità che ha ricevuto già come creatura umana e per di più riscattata dal
sangue del Figlio di Dio. In effetti nessuna persona al mondo ha esaltato il
valore della vita dell’uomo come ha fatto Gesù. Proprio il Mistero del
Natale, che stiamo per celebrare, ci parla anche da solo sia del valore della
persona, sia della prospettiva di questo riscatto della condizione umana.
Infatti il Cristo è venuto in questo mondo per aprire gli orizzonti della
speranza alla dimensione nuova di una salvezza nella quale è vinta la morte e
le sue conseguenze mortificanti tutti gli aspetti, più o meno belli ovvero
dolorosi, dell’esistenza. Ma il Natale ci pone anche davanti agli occhi della
mente l’avverarsi in Maria del meraviglioso, quanto insondabile, mistero
dell’Incarnazione e quindi ci richiama a considerare con più attenzione
l’immenso valore della vita dell’uomo creato ad immagine di Dio. Quello che
appunto vediamo verificarsi in Maria, vergine immacolata e madre purissima,
cioè l’assunzione da parte del Verbo divino in Lei della natura umana, non
può che lasciarci davvero esterrefatti nel pensiero che tale evento sia
possibile e con tutto ciò che questo implica, ovvero che la natura umana sia
stata creata con una dignità tale da poter accogliere il suo Creatore. Ora,
questo solo la Rivelazione divina poteva svelarcelo. Certamente quella che ha assunto il Figlio di Dio è la natura umana perfetta e immacolata,
precedente al peccato originale, ma grazie al Sangue di Gesù, tutti quelli
che sono rinati mediante la Fede in Lui e il Battesimo, nella misura che si
impegniamo nella fedeltà e nell’amore, possono accedere alla grazia di poter
accogliere in se stessi il proprio Creatore e Redentore! IL mio augurio è che l’immagine tenera, ma
anche forte, del Figlio di Dio che si è fatto Bambino per noi, risvegli in
tutti, a partire da me, la consapevolezza di quanto Egli ci abbia amati. Il
profeta Isaia molti secoli prima della nascita di Gesù diceva: “...un bambino
è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della
sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per
sempre, Principe della pace; grande sarà il suo dominio e la pace
non avrà mai fine” (Is 9,5-6). Che la pace di Cristo, passando per i
cuori della gente, entri dunque con abbondanza nel mondo e infranga le trame
dell’odio e della violenza.
don
Roberto (dicembre 2003) |
IL “MODERATO” OTTIMISMO
CRISTIANO In occasione della Quaresima, periodo di
preparazione alla S.Pasqua, ho pensato di dedicare un breve articoletto ad
una caratteristica che dovrebbe essere propria del discepolo di Gesù Cristo
ed è quella del cauto ottimismo di chi è libero dalla schiavitù degli eccessi
dell’assillo. Anche se all’orizzonte, in questo momento, non sembrano levarsi
funeste nubi di grandi guerre, tuttavia esiste sempre la piccola o grande
lotta del quotidiano e mi sembra di poter rilevare segnali abbastanza forti
di inquietudine presenti in seno alla nostra società. Certo non è la fede in
Cristo che dà di per sé la dispensa dalle afflizioni della vita. Gesù ai suoi
discepoli non promise esenzioni speciali da prove e tribolazioni, cose queste
che fanno parte del retaggio più o meno grande di ogni creatura umana che
viene in questo mondo, ma tra le infinite cose importanti che il Signore ha
detto, mi sembra che ve ne sia una che risulta particolarmente incoraggiante:
“Voi avrete tribolazioni nel mondo, ma abbiate fiducia; Io ho vinto il mondo
( del male )!” ( Gv16,33 ). Di lì a poco il Cristo fece la sua Pasqua e
proprio dalla grande sofferenza della sua passione e morte doveva spuntare
l’alba del “nuovo giorno”: quello della sua Risurrezione. Inaugurò così il
tempo nuovo; il tempo che nessuna creatura può cancellare o invertire, il
tempo di una speranza grande più forte della morte. I primi ad essere
inondati da questa Luce furono i discepoli ed essi ne mostrarono apertamente
i suoi riflessi proprio nel fatto che la morte non faceva loro più paura.
Questo non perché fossero dei fanatici plagiati da un‘ideologia, bensì
perché, pur amando e rispettando la sacralità della vita, questa ormai
appariva loro, nella fede, quello che era: una piccola anticipazione e
partecipazione alla vera pienezza della Vita così come l’ avevano vista e
toccata nel Risorto. E se il ritorno nel mondo del Cristo glorioso sembrava
tardare a manifestarsi, ciò non fece alcun problema perché erano consapevoli
che sulla Parola di Gesù non “toccava a loro conoscere i tempi e i momenti”.
Gran parte della frenesia della vita, e dei mali della nostra società, viene
proprio dalla pretesa di salvarla con le proprie forze dalla sua evanescenza
e dal fallimento della morte. Ma se uno ha trovato il tesoro della vera fede
viva, anche se potrà, come tutti, essere sottoposto a prove e afflizioni,
queste non possono travolgerlo totalmente nella disperazione perché, come ci
ricorda S.Paolo, “nella speranza siamo stati salvati”; cioè nessuno può
togliergli - se costui non vuole - questo tesoro e, come insegnava
S.Francesco, “nella Sua volontà è la nostra pace”. Da qui quel cauto e sano
ottimismo di fondo. Certo la fede non è un rifugio per un disimpegno, bensì
una motivazione in più per spendersi per il bene di tutti nell’amore fraterno.
Da qui l’esigenza di uno sforzo per la coerenza anche esteriore che
manifesti, non solo con le parole ma anche con le opere, la bellezza e la
forza del Regno di Dio già presente in noi. don Roberto (febbraio
2004) |
Ognuno che abbia esperienza della preghiera
semplice che sgorga dal cuore, sa quanto aiuto e conforto venga dal pregare
la Santa Madre del Signore e quanto il Suo delicato farsi prossima si
trasformi in un “pregare con Lei” e quindi in un più facile aprirsi a Dio. La
Sua presenza infatti ci aiuta ad aumentare la confidenza fiduciosa e
rispettosa verso la Trascendenza Divina. Così accade che, anche quando
esaltiamo le prerogative di Maria, lo facciamo con quello spirito di chi
contempla in Lei per un verso le perfezioni della creazione di Dio e per un
altro la perfetta e totale risposta alla missione affidataLe dal Signore.
Infatti nessuna creatura fu fatta ad immagine tanto somigliante alla
Santissima Trinità quanto la Madonna e nessun’altra creatura conservò intatte
e fece fruttare tali prerogative, per il servizio a Dio e agli uomini, quanto
Lei. E’ questo quello che ci lascia intendere chiaramente l’Angelo
salutandola con parole che la Sacra Scrittura ci mostra come mai dette ad
altra persona. Pertanto tutte le volte che le ripetiamo: “Ti saluto ( ave )
Maria piena di grazia il Signore è con te”, intendiamo come rievocare in
qualche modo la grazia di quell’evento destinato a cambiare la storia
dell’umanità. D’altra parte se queste sono - e lo sono - le parole con le
quali l’Angelo Gabriele, che sta al cospetto di Dio ( Lc1,19 ), L’ha salutata
annunciando tale evento, come potremo noi povere creature che, come ci
ricorda S. Paolo, “nemmeno sappiamo ciò che sia conveniente domandare” (
Rm8,26 ), trovarne di migliori? Con altrettanta dignità e insieme gioiosa
serenità, la preghiera prosegue con le parole che S. Elisabetta, ripiena di
Spirito Santo, disse in risposta al saluto di Maria: “Benedetta tu fra le
donne e benedetto il Frutto del tuo grembo”. Infatti grande era la commozione
che aveva pervaso Elisabetta quando il saluto di Maria le aveva fatto
esultare di gioia il bambino che portava in seno. Non è anche questo un segno
del grande dono che è affidato alla Santa Madre di poter lenire i dolori e le
angosce che stringono il cuore umano? Dunque l’Ave Maria è una preghiera
biblica semplice, suggerita dallo Spirito Santo e, anche quando viene
ripetuta più volte, con la sua grazia è come una pioggia che ha il potere di
irrigare l’arida terra di questo mondo. Certo l’Ave Maria non è l’umica
preghiera con la quale la Cristianità si è rivolta alla Santa Madre di Dio
nei secoli, ma tutte sono pervase da quel medesimo spirito di cui si parlava
all’inizio e tutte nascono dall’esperienza diretta della preziosità della Sua
intercessione. Valgano come esempio di particolare incisività le parole che
il sommo poeta Dante Alighieri nella sua “Divina commedia” fa dire di Lei a
S. Bernardo: “Donna, se’ tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia ed a
te non ricorre, sua disianza vuol volar senz’ali.” don
Roberto (maggio
2004) |
IL
VANGELO NELLA STORIA PER OPERA DEI SANTI Non credo che la storia di come è nata la
nostra chiesa parrocchiale così, come l’ha voluta e curata S. Pio attraverso
la collaborazione del suo figlio spirituale Giovanni Bardazzi, sia nota a
tutti e comunque ho pensato che valesse la pena ricordarla brevemente anche
se far questo non è facile e certamente mortificante la densità dei fatti
perché , come accade spesso nelle opere dove entrano i Santi e in particolare
P. Pio, naturale e soprannaturale, umano e Divino, limite umano e grazia si
intrecciano formando un tutt’uno nel quale vi si può anche penetrare, ma
spesso solo con gradualità, si da poter cogliere qualche tratto di quei
disegni con i quali la Divina Misericordia conforta e sostiene il Popolo di
Dio. Però, considerando il fatto che quando le opere partono dai Santi,
docili servi del Signore, queste acquistano una potenzialità positiva per la
vita spirituale, mi sono deciso a provare a scrivere qualcosa nella speranza
di riuscire ad offrire qualche briciola di conoscenza di quell’incessante lavoro
della grazia con il quale il Divino Maestro ci soccorre in questo mondo. Se
tutto ciò è vero per le opere dei Santi in generale, lo è ancor più per S.
Pio dove troviamo una magnifica sintesi di santità, carismi e ministero.
Perciò ho pensato di rileggere sullo sfondo del brano evangelico della prima
moltiplicazione dei pani questa storia, come l’ho appresa dalla bocca di
“Giovanni da Prato”- così lo chiamava il Padre - in sei anni che gli sono
stato vicino prima che morisse il sette dicembre del 1997, alle ore 16, stessa
ora e stesso giorno nel quale 37 anni prima, vale a dire nel 1960, veniva
consacrata quella che sarebbe stata l’attuale chiesa parrocchiale. Ho scelto
questo brano come riferimento perché credo che vi siano in esso esaltate due
preziose caratteristiche del modo di agire del Signore che, in una qualche
misura, mi sembra di poter cogliere anche in questa piccola ma significativa
opera che S. Pio ha voluto attuare per mezzo dei suoi fedeli collaboratori.
La prima è il sovrabbondare della grazia e della grandezza delle opere divine
là dove più forte è la debolezza e la pochezza delle risorse umane ( con 5
pani e due pesci Gesù sfamò una moltitudine di persone ). La seconda è la
premura del Signore di sfamare, per mezzo dei suoi discepoli (Mt 14,16.19),
coloro che per cercare il Regno si erano dimenticati anche di mangiare.
Quest’ultima caratteristica ci rimanda immediatamente all’ansia di S. Pio,
perfetto discepolo di Cristo, di sfamare con il Pane della Parola e
dell’Eucarestia il maggior numero di persone attraverso anche la creazione
dei Gruppi di Preghiera. Premesso questo entriamo ora per rapidi flash nella
storia della nostra chiesa. Siamo alla metà degli anni cinquanta. Dopo la sua
conversione, per altro molto movimentata e condita di straordinario avvenuta
nei primi anni del suddetto decennio, Giovanni aveva iniziato a fare molti
viaggi a S. Giovanni Rotondo portandovi un gran numero di persone. Obbediente
al Padre aveva aggiustato molte cose della sua vita anche a caro prezzo e con
non poche rinunce e rischi, ma era in pace e contento di obbedire a P. Pio
che per lui era come Gesù in terra. Quella volta però fu messo a dura prova.
Con una nuova attività suggerita da P. Pio era riuscito a risparmiare un
cifra considerevole (circa 20 milioni ) e avrebbe voluto il consenso del
Padre per una sua certa idea di investimento, ma il Padre imprevedibilmente
gli disse “Figlio mio tu farai una chiesa e la casa ( per te )” . Era
davvero dura per il povero Giovanni che per obbedire al Padre non solo doveva
rinunciare a tutti i suoi progetti, ma doveva addossarsi anche tutti i tipi
di grane che sarebbero venuti fuori, soprattutto per la mancanza di denaro!
Ed era dura anche per i suoi familiari che oltre a doversi adattare ad
abitare in un posto allora abbastanza ameno, dovevano, per richiesta
esplicita del Santo, tenere la loro casa continuamente aperta
all’accoglienza. Ma è proprio qui che noi leggiamo quelle note tipiche delle
cose divine di cui parlavamo all’inizio. Infatti, chi spingeva il Santo a chiedere
una cosa del genere, cosa che in fondo
sapeva bene che anche egli avrebbe dovuto pagare con la sua
sofferenza, se non l’ansia di sfamare al servizio di Gesù tanta gente sullo
stile del Divino Maestro? Ed ecco
delinearsi subito anche l’altra nota: che cosa sono pochi milioni per
costruire una chiesa e la casa?! E che sono cinque pani e due pesci per
sfamare tanta gente ? ( cf Gv 6,9 ). E’ bastata a Gesù l’offerta di quel
ragazzo per procedere... . L’impegno la fatica e soprattutto la fiducia
incondizionata di Giovanni, unita alla buona volontà di tanta altra gente,
sortirono l’ effetto e la piccola chiesa fu consacrata l’11 novembre 1957 e
dedicata a S. Maria delle Grazie La cappella servì per riferimento al primo
piccolo gruppo di persone che vi si ritrovavano per pregare e anche di
servizio pastorale alle persone del luogo la cui chiesa parrocchiale era
distante. Ma come il miracolo della moltiplicazioni dei pani non fu
istantaneo bensì progressivo: di passo con la distribuzione, così anche
questa piccola opera doveva svolgersi per tappe successive. La seconda tappa
fu presto raggiunta quando il Padre, di li a poco la consacrazione prima
detta, esortò di nuovo Giovanni ad ingrandire la chiesa utilizzando lo spazio
interposto tra questa e la casa, spazio che era stato utilizzato dalla
famiglia per ricavarvi un orto. Così Giovanni si sentì dire da P. Pio ( senza
che alcuno avesse informato quest’ultimo sulla topografia del luogo ):”Cosa
ne fai di quei cavoli e pomodori!... Ingrandisci la chiesa!”. Povero Giovanni,
si era punto e daccapo... . La chiesa ingrandita fu consacrata come abbiamo
detto il 7 dicembre del 1960. Le tappe successive potremmo leggerle negli
abbellimenti, sistemazioni giuridiche (nel 1985 divenne chiesa parrocchiale),
ingrandimenti, ecc. Ma io credo che S. Pio abbia guardato piuttosto, come del
resto lui stesso ha dichiarato espressamente a Giovanni, al Gruppo di
preghiera, che si sarebbe sviluppato progressivamente fino a divenire uno dei
più grossi della Toscana, e al servizio pastorale che ormai questa chiesa
offre alla Parrocchia che ne ha preso il nome. Personalmente, e tante persone
con me, sentiamo di dover essere molto grati a questo Santo e a tutti i suoi
fedeli collaboratori, in particolare al nostro caro Giovanni e non solo per
l’opera materiale, già di per sé utile e pregevole, ma anche per la storia
stessa di una realtà che manifesta la premura di Dio per noi uomini.
don Roberto (settembre
2004) |
Nell’immaginario collettivo l’idea di
Chiesa è quella di un’entità astratta più o meno burocratica e, di
conseguenza, generalmente poco amata non tanto nella sua realtà concreta
quanto appunto come idea. Nei limiti di un articoletto e delle mie modeste
capacità, vorrei proporre una piccola riflessione che possa servire anche
minimamente ad approfondire questo fondamentale tema. E’ innata in ciascun
uomo una tendenza a fare del fatto religioso un fatto prevalentemente
privato, cioè una relazione che tende ad impostarsi facilmente, se non quasi
esclusivamente, nell’ambito dello stretto rapporto personale con Dio. Senza
dubbio chiunque riconosce che questa è una componente fondamentale
dell’espressione religiosa, ma è anche vero che da sola è facile preda
dell’individualismo e del soggettivismo religioso, cosa notoriamente molto
diffusa oggi anche nei paesi di tradizione cristiana. Un rapporto puramente
soggettivo, qualora fosse anche avvalorato da atteggiamenti concreti di fede
fiduciale, è ben lontano dalla giusta impostazione della vita cristiana.
Infatti la Religione cristiana è prima di tutto una Fede e una Fede non solo
nell’esistenza di Dio, ma anche nella rivelazione che Egli ha fatto di Sé a
partire già dall’ispirazione profetica, con la quale il Signore iniziò a
parlare agli uomini per mezzo dei Profeti molti secoli prima di Cristo.
Rivelazione che ha poi trovato la sua pienezza e compimento nel suo Figlio
fatto uomo. Gesù infatti è l’”Amen” di Dio ovvero la sua Parola definitiva.
Dunque il cristiano non crede solo in Dio (che E’), ma anche a Dio che si
rivela. Ciò significa che per lui non esiste solo un aspetto personale,
soggettivo, della vita di Fede quasi scisso da ciò che di Dio è manifesto e
che come tale è oggetto di ammirazione e base dirimente nella formazione
della propria coscienza. Anzi proprio la coscienza religiosa ben formata
sente il dovere di porsi nel giusto atteggiamento di obbedienza riverente al
proprio Creatore e Salvatore. Come cattolici siamo poi convinti che non solo
Dio, ovviamente, non si inganna, ma anche che fornisce agli uomini quelli
strumenti adatti affinché essi stessi non si ingannino bensì, al contrario,
procedano come Popolo di Dio verso la pienezza della Verità. Per cui accanto
alla Sacra Scrittura, in ossequio a quanto predisposto da Gesù stesso, poniamo
fiducia nell’autorevole quanto prezioso insegnamento che scaturisce dalla
presenza dello Spirito nella vita della Chiesa. E’ infatti lo Spirito Santo
che la guida appunto nel tempo attraverso il suo stesso necessario
strutturarsi nel mondo in modo organico e coordinato ( Magistero ). In poche
parole il “fai da te” nel campo della fede non solo non è cristiano ma
neanche ragionevole, perché l’aspetto oggettivo della Fede ( dottrina,
sacramenti, ... ) non sono una scoperta personale ma un dono che Dio ci fa
attraverso proprio la Chiesa. Del resto chi si abbandona al proprio
soggettivismo fa più o meno presto l’esperienza dell’incertezza, della
labilità e dell’evanescenza del suo presunto rapporto con Dio. Ecco perché
nel cuore del vero credente c’è sempre, in maniera più o meno esplicita, il
senso positivo e la necessità di sentirsi in cammino insieme con altri uniti
da una medesima forte identità di fede, in tensione verso una quanto mai
preziosa unità nella carità e verità, insomma c’è il bisogno di sentirsi
“Chiesa”. don Roberto (dicembre
2004) |
“Io
sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in
eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6,51). Avevano
ragione coloro che dicevano: mai nessun uomo ha parlato come quest’uomo (Gv
7,46); benché oppositori non poterono fare a meno di riconoscere l’assoluta
novità e il singolare fascino espresso dalle parole di Gesù. Ma ciò che è di
maggior stupore e conforto è che di lì a poco, lo stesso Gesù Cristo, mentre
celebrava la sua Ultima Cena nella cena pasquale ebraica, dopo avere preso
del pane e reso grazie , disse ancora: “Questo
è il mio corpo che è per voi; fate questo in memoria di me”. Analogamente
per il calice del vino disse: “Questo
calice è la nuova alleanza nel mio sangue ... fate questo in memoria di me”
(1Cor 11,24-25).Ormai il rituale della Pasqua ebraica ordinato a far memoria
viva (memoriale) dello evento della liberazione del Popolo ebreo dalla
schiavitù egiziana, attualizzandone in qualche modo la potenza e la grazia,
lasciava evidentemente il posto ad una altro memoriale infinitamente più
perfetto e potente stabilito dalla Pasqua del Signore. Con il sacrificio
totale di sé, Cristo operava un’altra ben più grande liberazione dell’uomo,
il quale dalla schiavitù del peccato ora poteva passare alla libertà dei
figli di Dio nella vera terra promessa, ultimo e più profondo anelito di ogni
cuore umano. Che dire dunque di questo grande mistero? Non può certo la
povera parola umana esprimere e - tanto meno - pensare di racchiudere tale
mistero. Tuttavia anche dal mio piccolo angolo visuale penso sia bello poter ricordare che l’Eucarestia, grazie
alla mediazione del Cristo nella sua Umanità sacrificata, secondo le stesse
parole di Gesù, appare come il vertice della discesa di Dio nel cuore
dell’uomo e nel contempo il vertice della possibilità di ascesa del cuore
umano verso Dio: “Chi mangia la mia
carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui” (Gv 6,56). Certo
tutto ciò va inteso sempre in linea con la responsabilità e la partecipazione
umana, il che significa consapevolezza ( per quanto possibile alla nostra
misura ) e adeguata preparazione interiore. Come certamente il lettore saprà
l’anno in corso è stato dedicato dal Santo Padre all’Eucarestia e mi è
sembrato giusto esprimere anche con questo breve articoletto un pensiero che
fosse di stimolo per tutti - a partire da me che scrivo naturalmente - a
riscoprire il valore grande di questo Sacramento. Per chi partecipa
all’Eucarestia domenicale vuol essere un piccolo incentivo a riconsiderare il
bene prezioso che riceve e a tutto ciò che implica poi come “ricaduta”
nell’impegno di vita personale. Per chi invece non partecipa, un invito a non
aver paura di “perdere” un’ora alla settimana dedicandola a Colui cui
appartiene il tempo e la vita e che tutto ha dato di Sé per noi.
don Roberto (febbraio
2005) |
Tra le tante lodi che la devozione del
Popolo cristiano ha tributato alla Beata Vergine Maria in questi venti secoli
di storia forse non abbondano quelle che fanno riferimento diretto al modo
semplice e umile con il quale la Madonna ha vissuto il suo ruolo di madre di
famiglia in un piccolo paese della
Galilea ( Nazareth ). Sembra che ciò
sia dovuto all’apparente contrasto che avvertiamo nel nostro naturale modo di
pensare tra la singolarità dello stato di grazia, connesso con il ruolo
stesso che la S. Vergine ha avuto nell’Opera salvifica di Dio, e la semplice
vita comune che caratterizzò la sua esistenza. E’ normale e giusto che
contemplando quelle “grandi cose che ha fatto in Lei l’Onnipotente” (
cf. Lc 1,49 ) l’animo sia trasportato ad esaltare ciò che riesce ad
intravedere in quell’umile “sua serva”. Il rischio, dovuto se non
altro al limite della mente e della espressività umana, è quello di
trascurare però il luogo privilegiato dell’esercizio della santità eroica di
Maria, luogo che fu proprio l’umile quotidiano, il quale - già per quello che
ci è dato di conoscere dai Vangeli – non fu certo esente da forti sofferenze
e contraddizioni. E’ infatti proprio così che la B. V. Maria ha consumato,
insieme al suo santo Sposo, la sua esistenza, nascondendo agli occhi del
mondo la grandezza del suo ruolo dietro la consuetudine dell’irrilevante
trascorrere della vita di una comune famiglia di operai, con le fatiche, le
sofferenze e le piccole rare gioie che questa comporta. Del resto queste
semplici e note considerazioni sono avallate dal Vangelo stesso. Infatti
quando l’Angelo Gabriele “entrò da Lei”, non solo la chiamò “Piena di
grazia” , ma le disse anche che aveva “trovato grazia presso Dio”
( cf Lc 1,28-30 ). Eppure che cosa poteva aver fatto di straordinario questa
donna ebrea poco più che fanciulla? L’annuncio angelico ha colto la S.
Vergine nella vita semplice ordinaria tipica della donna nella cultura
orientale di quel tempo. Ora se così L’ha trovata e approvata il Messaggero
celeste è più che normale che così Maria abbia continuato a impostare il
resto della sua vita in questo mondo. Vorrei solo concludere che se il
fissare gli occhi sulla magnificenza delle prerogative di grazia e santità di
Maria ci facesse dimenticare quanto ora detto, rischierebbe di allontanarci
la figura della Madonna e, io penso, non Le sarebbe nemmeno gradito perché La
staccherebbe dal suo ruolo di Madre nostra, cioè di persona tutta dedita alla
vicinanza ai suoi bisognosi figli. E’ invece proprio con la sua vita che
Maria ci dà l’insegnamento più prezioso per la nostra esistenza. Ed è appunto
come Madre premurosa di quest’umanità, rigenerata dal Sangue del suo Figlio,
che parla in particolare al cuore delle mamme e dei papà delle famiglie
cristiane per far comprendere quanto è prezioso il loro ruolo di genitori
soprattutto nell’impegno, spesso faticoso e apparentemente irrilevante, di
far crescere ed educare i loro figli ai valori evangelici come la modestia,
l’obbedienza, la moderazione, la purezza, l’accoglienza, l’ascolto, la pazienza,
il rispetto, l’altruismo, il perdono, l’onestà, l’amore alla verità, insieme
al senso del sacro rispetto di Dio e alla visione della vita che non si ferma
solo ai contorni naturali ma che sa cogliere, al di là di questi, la Presenza
e la Provvidenza divina. Tutti valori questi che come tali sono immutabili e
che Lei ha vissuto in perfetta simbiosi con il Suo Figlio divino e il suo
amato Sposo, eppure spesso anche tanto dimenticati contrastati dalla
mentalità mondana.
don Roberto (maggio
2005) |
Il
Natale di Gesù, come la sua Pasqua, sono richiamo per la Cristianità perché
senta e viva la sua identità di comunità formata da figli di Dio rigenerati
dal Sangue di Gesù sulla Croce mediante la fede nella sua Risurrezione. In
questo senso il cristiano è chiamato già in questo mondo ad essere cittadino
del Regno di Dio che è Regno di amore, di pace di giustizia e a questo
proposito vorrei proporvi un brevissimo pensiero riguardo al realismo del
modo di agire di Dio nei confronti dell’umanità, realismo che peraltro si
manifesta in modo chiaro e sovrabbondante nei Vangeli. Se ci accostiamo al
mistero del Natale da questo angolo visuale, ci accorgiamo che questo modo
inusitato e del tutto inatteso con il quale Dio entra nella storia dell’uomo,
creando con l’Incarnazione un legame irreversibile con tutta l’umanità,
rispetta lo stile di quel realismo nei riguardi dell’uomo a cui accennavamo
prima. Infatti la grandezza incommensurabile dell’evento non concede nulla
alla fantasticheria fiabesca dell’immaginazione umana, così come sarebbe
certamente avvenuto se questa fosse alla sua origine. Di straordinario c’è
solo il brillio angelico a dei testimoni che per il mondo sono inattendibili
( i pastori ), per il resto sobrietà, difficoltà, indifferenza e rigetto, se
non ostilità: forse fu l’accento galileo che procurò la non accoglienza alla
locanda. Eppure entrava nel mondo l’Atteso delle genti, il Principe della
pace … . Ma proprio qui sta l’ennesima riprova del realismo di Dio: quale
spazio ha veramente il Signore nel cuore umano? Non appare Egli troppo
ingombrante alla superbia, all’alterigia e alla ribellione umana? Eppure è
proprio con la sua povertà e “debolezza” che il Cristo è venuto ad abbattere
questi bastioni per instaurare un amore più forte dell’odio e della morte
distruggendo in se stesso questo male, insieme all’inimicizia del peccato,
sul legno della Croce. Ed è proprio dal Sangue del Crocifisso che, come ci
dice S. Paolo, ha rappacificato il cielo e la terra, che si sprigiona quella
potenza riconciliatrice destinata a restituire all’uomo quella pace che
“supera ogni intelligenza”. Ecco dunque il mio augurio natalizio: che questa
pace, mediante la fede in Gesù, regni sempre nei vostri cuori.
don Roberto (dicembre
2005) |
Per noi credenti la Vita precede la
creazione stessa ( cf Gv1,1.4 ) ed è
data in modo speciale all’uomo ( Gen 2,7 ). Ci stiamo avvicinando alla Pasqua
che segna la vittoria di Cristo sulla morte, vittoria che egli estenderà a
tutti quelli che hanno confidato come veri discepoli in Lui, e mi è sembrato
positivo offrire un breve pensiero sul meraviglioso dono della vita umana,
visto alla luce della fede. Come sempre questo articoletto non può né vuol
essere uno scritto impegnativo, forbito di citazioni bibliche e di altri
autorevoli documenti, ma un semplice pensiero che scorra il più possibile
leggero, alla luce di quanto prima detto sul tema tanto affascinante, quanto
tremendamente importante, come quello della vita umana intesa per quello che
è e cioè chiamata divina ad esistere come persona per sempre. La Fede
cristiana ci dice che Dio crea “chiamando” le cose ad essere dal nulla; nulla
nel quale ripiomberebbero se Lui stesso non le volesse e sostenesse. Tutto
ciò vale per ogni realtà e dunque anche per la vita umana per la quale il
processo creativo diretto dell’anima ( o spirito che dir si voglia ) da parte
di Dio è associato all’evento biologico corporeo della fecondazione, cosicché
generazione umana e creazione divina formano come un tutt’uno indissolubile.
Dunque quando ciò avviene ha luogo un processo umano-divino e un meraviglioso
universo, unico e irripetibile che è appunto una nuova creatura umana, è
posto nell’esistenza eterna. Pertanto
quella realtà, che l’occhio umano percepisce come tanto piccola, fragile e
dipendente, è vita umana destinata a
svilupparsi e ad arricchirsi di specificazioni e proprio per la sua origine -
che è come abbiamo visto mano-divina - non solo è irripetibile ma
anche sacra e irreversibile. Infatti come sappiamo in Dio non ci sono
né ci possono essere contraddizioni o cambiamenti in Sé e anche in tutto
quello che fa. E’ pur vero che data la condizione dell’uomo in questo mondo
la vita, fin nel suo sorgere, appare mortificata da una natura imperfetta e
quindi posta sotto il segno della fragilità e della debolezza, per cui può
accadere che il processo biologico di sussistenza nel seno materno si
interrompa o che infinite altre cause ne sviliscano lo sviluppo e la
pienezza. Ma questa precarietà, contro la quale dobbiamo combattere con ogni
diligenza, non ne autorizza assolutamente la soppressione. Basterebbe
ricordare le parole di Gesù a proposito del matrimonio. Se già all’uomo non è
lecito separare ciò che Dio ha unito, appunto per il carattere
meravigliosamente grande dell’intervento di Dio nel fissare quell’unione,
quanto meno sarà consentito all’uomo arrestare lo sviluppo e la crescita di
quella vita che Dio ha posto in essere e chiamato ad una pienezza di
sviluppo ed espressione di esistenza. don Roberto (febbraio
2006) |
LE RADICI DELLA
NOSTRA IDENTITA’ Il fenomeno della immigrazione di tanta
gente da Paesi culturalmente e religiosamente lontani dalla nostra cultura ha
determinato nei paesi europei in genere, e particolarmente in Italia, una
situazione nuova che si può dire, almeno dal medioevo in poi, unica. E’ vero
che i mezzi di comunicazione sviluppatisi in maniera esponenziale negli
ultimi cinquanta anni ci avevano un po’ preparato a questo, ma una cosa è il
contatto “virtuale” un’altra quello diretto. E’ sotto gli occhi di tutti come
questa situazione abbia creato e crei non pochi problemi. Ed è anche vero che
ci sono certamente in questo evento lati positivi, fra i quali la percezione
più forte del senso della mondialità della “famiglia umana”. Ad ogni modo è
fuori dubbio che la rapidità e la dimensione del fenomeno ha trovato anche
coscienze non opportunamente preparate a vivere con serenità questo rapporto
interculturale anche a livello religioso, rapporto che peraltro di per sé
appartiene all’intima coscienza della Chiesa nel suo essere cattolica (
universale ) e missionaria. In questa situazione si è parlato e si parla
dell’emergente bisogno, che nasce anche appunto dal confronto culturale, di
riscoprire e approfondire la nostra identità culturale e religiosa, di
tornare, come si dice, alle “radici cristiane”. Confermo da parte mia questa
necessità che del resto è implicita nel concetto stesso di dialogo e rispetto
reciproco. Non sono certo in grado di presentare un problema così arduo e
delicato come il dialogo interreligioso e quindi tanto meno di trattarlo.
Peraltro i principi del dialogo sono stati ribaditi dallo stesso Pontefice (
rispetto reciproco, preparazione adeguata, base comune di confronto sulla
retta ragione, ... ). Ma nell’ambito dell’auspicabile movimento di un sano
ritorno alle radice della nostra Fede, mi permetto di fare qualche
considerazione generale e generica forse non sempre del tutto scontata. Se è
vero che questa ricerca può e deve avvalersi sempre di tutti quegli strumenti
che la Provvidenza divina ci ha messo a disposizione, quali: la Sacra
Scrittura, la tradizione bimillenaria di una storia che, soprattutto nella
vita di migliaia di Santi, risplende per la carità eroica, ecc. , è pur vero
che, se non vuol ripetere l’errore lamentato da S. Agostino riguardo alla sua
ricerca precedente la sua conversione: “Tardi ti ho amato, bellezza tanto
antica e tanto nuova, tardi ti ho amato; ed ecco tu stavi dentro di me e io
ero fuori e là ti cercavo”, non può prescindere da un autentico e
profondo sviluppo di vita interiore. Insomma per conoscere veramente le
radici della pianta non ci si può limitare ad osservarle meglio dall’esterno,
come si fa nelle scienze empiriche, ma occorre soprattutto vivere più
intensamente come parte viva della pianta stessa, cogliendone l’essenza
attraverso la linfa che da esse fluisce. Così, e solo così, si acuisce il
senso della sana ricerca senza incorrere negli errori, tanto frequenti nella
società odierna, del soggettivismo religioso. Infatti proprio alle radici
storiche dell’esperienza cristiana troviamo il bisogno che i primi discepoli
di Gesù avevano di sentirsi in comunione tra di loro alla scuola degli
Apostoli ( “erano un cuor solo e un’anima sola”At 5,32 ) per poter
ricevere, vivere e trasmettere la Verità che il Divino Maestro aveva loro
annunziato ed è questa un’esigenza di essere e formare Chiesa voluta da Dio,
stampata nella storia e intrinseca alla condizione umana. don Roberto (ottobre
2006) |
IL NATALE DI GESU’
E L’INTEGRALISMO DELL’AMORE Siamo ormai a pochi giorni dalla solennità
del Natale del Signore, solennità tanto cara alla tradizione della nostra
Religione Cristiana, e nell’occasione dell’approssimarsi di questa
celebrazione mi permetto di parteciparvi una piccola riflessione. Si tratta
di un pensiero, come al solito molto semplice, che vorrebbe essere magari
anche di stimolo per un approfondimento personale, forse non del tutto
inutile in questo nostro tempo piuttosto travagliato, nel quale sembra che un
oscuro spirito del male voglia creare odi, divisioni, violenze e perfino
guerre in nome di Dio. In realtà l’incanto del Presepe, nella nostra Fede,
nasconde un abissale mistero di salvezza nel quale, a detta di S. Pietro,
“gli angeli stessi desiderano fissare
lo sguardo” ( 1Pt1,12 ). L’infinito ed eterno Iddio, Verbo del Padre, ha
preso dimora tra gli uomini nell’ umanità di Gesù di Nazareth per vivere in
mezzo a loro, nel tempo e in modo integrale, la stessa esperienza umana. Lui,
che è la Luce del mondo, adesso lo contempliamo venire alla povera luce di
questo mondo. Il contemplarLo poi come neonato ci sconcerta ancor più a causa
dell’assunzione addirittura del pesante limite della progressività nello
sviluppo della stessa natura umana. Dobbiamo riconoscere che se è
sconvolgente il mistero dell’Incarnazione in sé, non lo è di meno il modo con
cui Dio lo ha voluto e attuato. Come non chiedersi il perché riguardo a
questa via di annichilimento radicale, via che in qualche modo è già preludio
a quella della croce? Confesso che non lo so, ma intuisco solo che nella
famosa frase di Gesù: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il
suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la
vita eterna” ( Gv3,16 ), questo mistero è come collocato fra questi due
verbi: amare – dare, dove ognuno di essi trova espressione e profondità nel
rinvio all’altro. Dio, per dimostrare ad ogni uomo che lo ama sul serio, si è
annichilito in una umiltà e sofferenza infinita! Viceversa il dare di Dio,
che è Amore, non può trovar significato che come espressione dell’Amore, come
appunto lo è l’Amore salvante. Accade così che in Gesù si ha la piena
manifestazione dello “stile” dell’Amore divino uno stile che indubbiamente si
è dimostrato radicale e totalitario ( Gesù, apparendo piagato ad una Santa toscana,
la Beata Angela da Foligno, le diceva:”non ti ho amato per scherzo” ) tanto
che potremmo definirlo, secondo una categoria attuale, “integralista”. E di
fatto si tratta davvero di un integralismo si, ma dell’Amore. Comprendiamo
dunque come quando dei grandi Santi, come Francesco d’Assisi, entrano
nell’orbita di questo amore, vadano gridando ai quattro venti: “l’Amore non è
amato”. Auguro a tutti un Natale pieno di serenità e di pace.
don Roberto (dicembre
2006) |
Stiamo per entrare nella Quaresima tempo di
preparazione alla più grande festa della Cristianità: la Pasqua, memoriale
della passione, morte e risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo. Per
l’occasione desidero farvi partecipi di una piccola riflessione che, come di
consueto, cerca di avere un qualche riferimento a questo grande evento di
grazia. Nel periodo dell’ultimo Concilio, il Papa Beato Giovani XXIII ( il
“Papa Buono” ), interpretando le parole di Gesù ( Lc12,54-57 ), in un momento
che segnava per certi versi una svolta epocale della nostra società, invitava
la Chiesa a saper guardare ai “segni dei tempi”. Quell’appello rimane
sempre valido non solo a livello universale ma anche a livello più piccolo,
locale, e addirittura personale: di ogni singolo fedele. Per questo mi
permetto di condividere con voi una breve e semplice considerazione, che
peraltro non ha nessuna pretesa di particolare acutezza e oggettività, ma
vuol essere piuttosto un incoraggiamento a credere fortemente nel valore e
nella grandezza della vita di ogni persona. Non credo di sbagliare nel
percepire un segno significativo, purtroppo negativo, di questo tempo nel
fatto che l’uomo di oggi, distratto dai valori fondamentali dell’esistenza
umana, rischi di penetrare sempre più
in una progressiva eclissi del vero senso del proprio vivere. Tra le cause di
questa crisi di valori, che si manifesta anche nel relativismo etico e nel
conseguente disagio sociale, mi sembra di poterne cogliere una nella forte
componente di quel condizionamento culturale che induce ad un intenso agire,
magari spesso anche solo per
sopravvivere. Dobbiamo però riconoscere che vi è pure tutto un meccanismo
dispersivo che condiziona a consumare di più e non per un reale bisogno di
avere di più. Inoltre certe volte, a parte gli effetti di questa arte di
indurre falsi bisogni, tra le cause che spingono nella frenesia di questa
corsa, appare anche il desiderio di un “essere di più”, ma non per gli
altri bensì di fronte agli
altri. Una delle conseguenze di tutto ciò e che l’uomo rischia di vivere in una specie di stordimento
che gli impedisce di mantenere ferma la gerarchia dei valori della vita e ne
fanno le spese soprattutto quelli fondamentali, come la cura della famiglia,
che sono alla base dell’esistenza umana. Inoltre, se manca una attenta
vigilanza, dimentica facilmente il valore del suo rapporto personale con Dio
con la conseguenza della perdita del senso dell’Assoluto, fattore questo
essenziale nel riferimento della propria coscienza. Infatti l’uomo, creato ad
immagine e somiglianza di Dio, ritrova se stesso solo se si “specchia”
nell’Immagine perfetta di Lui: Gesù Cristo ( cf Col1,15 ) unico e vero
fondamento della sua labile esistenza. Ma quando l’individuo procede senza
quei riferimenti che gli danno la giusta “rotta” nell’attraversare l’oceano
della vita, rischia di perdersi e di fare disastrosi naufragi. Spesso sono
proprio quelle eccessive attese riposte nelle sole mète mondane che lo
tradiscono con le inevitabili delusioni, le quali poi facilmente ingenerano,
come conseguenza, amarezza e disprezzo per il significato stesso del vivere
umano. Questi semplici considerazioni però non sono, né vogliono essere, un
messaggio pessimista e negativo, tutt’altro vogliono essere semplicemente un
appello perché, là dove ce ne fosse bisogno, ognuno di noi vigili per
mantenersi saldamente ancorato al Vangelo della Vita. Ed è questo
anche il mio sincero augurio, perché il nostro Dio è il Dio della Vita e la
vicinanza di Lui non può essere che portatrice di pace. d. Roberto (febbraio
2007) |
UN CARO RICORDO DI GIOVANNI
A dieci anni dalla morte di Giovanni Bardazzi
ho pensato che fosse doveroso esprimere non solo la mia riconoscenza
personale di uomo e di parroco, ma anche quella della Comunità che se ha una
chiesa nella quale ritrovarsi, e per di più benedetta da S. Pio, lo deve
anche, e in gran parte, a lui. Per questo spero di riuscire nell’intento
offrendo un’ immagine ricordo di questa persona semplice ma genuina, secondo
appunto quel suo stile caratteristico che gli era proprio. Del resto lo
spazio a disposizione è ben esiguo e non voglio certo tediare nessuno. Eccomi
quindi a cercare di tracciare le linee fondamentali di questa personalità
secondo come io l’ho conosciuta senza indulgere in forme di adulazione, ma
dando a Dio ciò che è di Dio e all’uomo ciò che dell’uomo. Già, perché se
vogliamo penetrare un po’ nella storia delle persone che si lasciano
sconvolgere dal Signore, dobbiamo vedere sempre sullo sfondo la Sua mano
misericordiosa e provvidente. Ora penso che sia noto a molti come ad un certo
punto della vita personale di Giovanni questa mano lo abbia scosso, in
maniera a dir poco decisa, tramite S. Pio. Dall’uomo nuovo rinato dalla
conversione nacquero quei buoni frutti di cui parla il Vangelo e Giovanni,
proprio per la sua generosità, ne ha fatti molti. Ma nemmeno di questo voglio
parlare, anche perché non credo che potrei aggiungere qualcosa a ciò che è
stato detto e scritto. Per le ragioni cui accennavo sopra, preferisco
descrivere quei tratti della sua personalità che più mi hanno colpito
nell’essergli stato vicino per più di sei anni, in un rapporto cordiale e
franco da entrambe le parti. Ricordo ancora il primo incontro che ebbi con
lui nell’estate del 1991 alla presenza dell’allora Arcivescovo di Firenze
mons. Piovanelli. Per me fu, a dir poco, tanto promettente quanto fuori dalle
regole e dall’immagine che, per semplice congettura, mi ero fatta di questa
persona. Infatti prima di incontrarlo mi avevano parlato di lui come un
figlio spirituale di S. Pio molto conosciuto, quindi mi aspettavo di
incontrare una persona dagli atteggiamenti molto compiti e “seriosi”. Ebbene
mi trovai davanti un uomo che, sebbene ormai anziano, era pieno di vitalità,
pronto alla battuta nel contraddittorio scherzoso caratteristico del
linguaggio toscano. Man mano che imparai a conoscerlo meglio mi accorsi che
sotto quell’aspetto bonario, ma raramente anche, in certe situazioni,
inaspettatamente brusco, c’era un grosso bagaglio formatosi in una vasta
esperienza nel campo delle “cose dello spirito” che egli si era fatto alla
scuola di S. Pio come suo docile figlio. Certamente al di là del Santo era
Dio che gli aveva sconvolto la vita servendosi dello Strumento umano. Ma
Giovanni, da uomo semplice quale era, non si faceva troppe domande
teologiche. Come ebbi a dire nell’omelia della Messa delle esequie, per lui
ubbidire a Padre Pio era servire Dio. Al cambiamento radicale interiore,
vissuto come una rinascita - evento questo al quale faceva abbastanza spesso
riferimento nei suoi racconti -, aveva fatto seguito naturalmente quello
della vita esterna. Però, secondo lo stile proprio dell’azione Divina, il
Buon Dio gli aveva lasciato intatti i tratti caratteriali della sua
personalità, peraltro già matura al momento della conversione. E così
attraverso questa personalità semplice e schietta, nella freschezza di un
linguaggio quanto mai espressivo e dalla ricchezza di una memoria
misteriosamente intatta e precisa, io ebbi, come del resto tanti, la fortuna
di accedere ad una conoscenza inedita e viva di S. Pio, conoscenza
difficilmente trasmissibile con la sola scrittura. Del resto per me fu un
passo importante perché - lo confesso candidamente -, pur avendo avuto sempre
stima di questo grande Santo, ne avevo avuto anche un po’ di timore
specialmente per quel cliché con cui normalmente veniva presentato di uomo di
Dio si, ma severo e intransigente. Ebbene ora, grazie a Giovanni, conoscevo
di S. Pio come un nuovo volto: quello di un uomo stretto è vero dall’esigenza
di perfezione dell’Amore di Dio, ma animato anche da un cuore tenerissimo
pronto a sacrificarsi non solo - e prima di tutto - per il bene eterno di
quelli che il Signore gli affidava, ma anche per il sollievo delle loro
sofferenze e difficoltà temporali. Grazie dunque caro Giovanni: a te la
ricompensa eterna per tutto il bene che hai fatto, ma continua a vegliare su
questa opera che il buon Padre Pio ti affidò perché grande responsabilità
sento pure nelle mie povere mani!
don Roberto (ottobre
2007) |
NATALE: Dio che si fa “concreto” Una caratteristica del nostro tempo è senza
dubbio la forte valorizzazione del pragmatico. Non sono certo un esperto che
può esprimere giudizi sulla nostra cultura occidentale, ma mi permetto di
fare solo qualche considerazione elementare, che del resto è ben nota a
tutti, al fine di trarre spunto per un semplice pensiero da condividere nella
Fede cristiana, in vista della grande
festa del Natale. Questa caratteristica peculiare della nostra età, di cui
dicevamo sopra, non ha in sé ovviamente niente di male se non sconfinasse di
fatto spesso nel pragmatismo. Il confine tra queste due realtà è sottile e il
pericolo incombe facilmente su tutti, ovviamente anche su me che scrivo.
Infatti è normale che, in una vita sociale ripiena di tecnologia, tecnologia
che peraltro è promotrice dello sviluppo economico e da cui dipende pure la
“benedetta” qualità di vita, l’uomo, alfine di rimanere a passo con questo
veloce movimento del mondo che gira attorno a lui, sia preso da un meccanismo
che lo tiene come allertato e proteso verso l’esterno. Ma qui si può inserire
pure la tentazione che è quella di rinunciare poi a ritrovare se stesso
proprio perché preso eccessivamente da questo laccio evasivo e dispersivo,
con la conseguenza di divenire sconosciuto e anonimo nel rapporto con gli
altri e, infine, anche distratto da se medesimo. Non parliamo poi delle
situazioni nelle quali questa mentalità inquina anche il giudizio di valore
etico o sociale che regola la vita. Il caso estremo si ha quando una cosa
diventa “valida” tanto quanto produce un bene e ciò indipendentemente dalla
giustizia dei mezzi e dall’analisi degli effetti collaterali. Quanti errori
si sono fatti nel passato! Basta guardare allo sfruttamento disordinato delle
risorse naturali, ovvero alle “fughe ideologiche” della speranza verso il
benessere come un fatto sostanzialmente economico... . Il Natale per noi
cristiani risuona invece come un richiamo ad una certezza: o uomo, la tua
salvezza, che sulla terra acquista il sapore della speranza, non te la
costruisci ( fortunatamente ) con le tue mani, ma ti è donata dall’Alto. A te accoglierla sempre più
profondamente e concretamente nella tua vita. Eppure è bello considerare come
il Buon Dio abbia tenuto anche in giusto conto questo nostro stare
concretamente nel mondo assumendolo interamente, senza sconti per Sé.
Possiamo nel Natale gustare questa concretezza di un Dio che scende a
condividere il dramma dell’esistenza umana quasi a volerne sperimentare il
peso. Nel Natale di Gesù infatti vi si legge la sconcertante assunzione del
limite della misura umana, del disagio del povero, dell‘angoscia del profugo,
della fatica del lavoro,... . Concretezza impervia al pensiero filosofico e
sconosciuta alle altre Religioni monoteiste, eppure così bella perché reclama
il realismo del vero Amore che, per essere creduto e accolto, non si avvicina
in maniera “asettica” alla condizione umana, ma ne condivide in radice
l’esperienza fino al dolore totale e alla morte di Croce. Mistero troppo
alto, ma vero e affascinante che non finirà mai di stupire chi si pone senza
pregiudizi in seria contemplazione. Il vero Dio non avvolge dunque di
fatalismo la vita umana: se Lui stesso se ne è fatto carico a pieno, vuol
dire che questa vita ha in tutte le sue espressioni, anche quelle meno gradevoli
( forse ancor più proprio in esse ), un potenziale positivo, potenziale che
l’uomo, illuminato dalla “Luce vera che viene nel mondo”, può e deve
sviluppare ed esprimere in un sereno impegno per il bene comune. Anche questo
fa parte di quel frutto che Dio si aspetta da quegli uomini che, come dicono
gli angeli nella Notte Santa, “Egli ama” e che per questo sono benedetti
dalla sua pace. Questo
è anche il mio sincero augurio ad ogni persona, famiglia e quant’altro operi
il bene nella nostra Comunità parrocchiale. don Roberto (dicembre
2007) |
CHIAMATI PER NOME Tra
le verità più belle rivelateci da Dio nella Sacra Scrittura, e che sono parte
viva della nostra Fede cristiana, c’è quella che riguarda la nostra personale
“vocazione”. S. Paolo ritorna diverse volte sul fatto che ogni credente è un
“vocato”, un chiamato alla salvezza per mezzo del Vangelo. Ed è proprio nei
Vangeli che si può osservare come questa vocazione è tutt’altro che anonima:
Gesù chiamò per nome coloro che aveva scelto, anzi cambiò addirittura il nome
a qualcuno di loro come a Simone, che chiamò Pietro. Del resto lo stesso S.
Paolo portava viva nel cuore l’esperienza della sua conversione, da
persecutore ad apostolo, quando il Signore, apparendogli sulla via di
Damasco, lo aveva chiamato per nome ( Saulo, Saulo perché mi
perseguiti... ). Più tardi riconobbe che quella vocazione–elezione era una
chiamata che lo aveva misteriosamente attraversato nelle fibre più intime del
suo essere fin dal seno materno. Sappiamo tutti, ma in particolare lo sanno
bene i maestri e in generale gli educatori, come i bambini amino essere
ricordati e chiamati per nome perché, giustamente, essi riconoscono in questa
attenzione di avere come uno spazio nel cuore di chi deve avere premura per
loro. Nel crescere poi l’essere chiamato per nome è un fatto delicato e
riservato a persone che entrano nella cerchia della discreta confidenza
fiduciale. Ebbene il Buon Dio, creatore e provvidente tutore della nostra
vita, rivelando il suo Amore per noi, ha voluto che avessimo coscienza che
non si trattava di un amore di massa anonimo, bensì di un
delicatissimo appello personale affinché ogni uomo, ma ancor più colui che
vive nel torpore di una vita assorbita dalla frenesia di una logica solo
materiale, potesse riscoprire il senso profondo del valore del proprio
esistere. La storia dei santi poi ci racconta che chi fa questa esperienza in
modo singolare e forte vive come un risveglio ad una realtà bella,
incredibile quanto vera, di un Amore che lo considera, lo rispetta ed attende
solo di essere “compreso” per quello che E’ e capace di fare: restituire ogni
uomo a se stesso e alla sua piena dignità regale. Tra le figure più belle che
Gesù dà di sé nel Vangelo di S. Giovanni,
c’è quella del “buon pastore” che conosce le sue pecorelle e di esse
dice che questo buon pastore le chiama una per una ( Gv10,3 ). Sembra
quasi voglia rassicurarci che, nonostante lo sterminato numero, non siamo
affatto anonimi davanti a Dio. Tutt’altro, a tal proposito, sempre con le sue
parole nel Vangelo di S. Giovanni ( Gv14,2-3 ), Gesù ci fa capire che abbiamo
un posto particolare nell’infinito cuore di Dio, l’unico nel quale siamo
veramente insostituibili. Siamo così preziosi ai suoi occhi che Egli non si
comporta come il pastore mercenario, il quale davanti al lupo scappa, ma, al
contrario, Egli dà la vita per salvarci. Queste semplici e brevi
considerazioni vorrebbero stimolare ciascuno di noi, a partire da me, a fare
ancora più nostra la verità della Pasqua di Cristo. Al di là dell’evento
storico che nella fede celebriamo: la vittoria del Signore sul peccato e
sulla morte in favore di una speranza che nessuna disperazione può vincere,
c’è pure un messaggio esistenziale che raggiunge profondamente le attese più
vere del cuore umano. L’accoglienza di questo messaggio ha certamente dei
risvolti positivi per la vita comunitaria della Famiglia umana, ma il livello
prioritario e fondamentale è, e rimane, quello personale individuale. Il
mio più sincero augurio dunque è che ognuno di noi sia toccato nel suo intimo
ancor più profondamente dalla Verità che celebreremo nella Pasqua del
Signore. don
Roberto (febbraio
2008) |
A quaranta anni dalla morte di S. Pio e a
quarantotto dalla consacrazione della nostra chiesa parrocchiale, chiesa che
come certamente vi è noto è stata espressamente voluta da questo Santo, mi è
sembrato quantomeno opportuno proporre una breve riflessione sulle parole di
Gesù da Lui dette in merito ai suoi discepoli veramente fedeli: “Chi opera la verità viene alla luce,
perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio”(
Gv3,21 ). Questa manifestazione, di cui parla il Signore, naturalmente non è
un “moto proprio”, ma viene dall’Alto e solo Dio sa come e quando far
apparire la verità e la bontà delle opere fatte per amore dal suo servo
fedele. Spesso la grandezza di queste persone si rivela massimamente dopo la
morte. Ma per Padre Pio, grazie anche ai suoi numerosi carismi, ciò è
avvenuto in parte anche durante la sua vita terrena, magari sotto una fitta
pioggia di sofferenze di ogni tipo e di cui quelle morali non ebbero
sicuramente l’ultimo posto. Questo fluire di grazie speciali, che il Padre
impiegò a gloria di Dio e per la salvezza delle anime, spiega in qualche
misura la grande risonanza della sua figura quando era ancora in vita, ma con
la sua morte questa forte devozione non si è affatto spenta anzi si è
purificata e accresciuta. Qualche giorno prima della morte Giovanni Bardazzi
( il figlio spirituale al quale P. Pio affidò la costruzione della nostra
chiesa parrocchiale ) vedendo il Padre particolarmente prostrato: era a
sedere come sempre ma ancor più ricurvo e sofferente, gli chiese come stava.
P. Pio gli rispose: “E me lo domandi? Prega la Madonnina che mi prenda perché
non ne posso proprio più !” Giovanni, con il nodo alla gola, gli disse:”No
Padre, questo no! Che ne sarà di noi?” A queste parole il Padre riprese
vigore si raddrizzò e puntando l’indice contro Giovanni gli disse: “Tu dirai a tutti che dopo morto sarò più
vivo di prima; e a tutti quelli che verranno a chiedere nulla mi costerà
dare. Nessuno di coloro che saliranno questo monte tornerà a mani vuote”. In vita S. Pio, come tutti i fedeli
servitori del Signore, forse proprio a causa del suo spirito profetico, ebbe
molti avversari anche fra gli stessi uomini di Chiesa. Ora, dopo morto, tutti
si rallegrano nel vedere questa scia di luce lasciata da una esistenza
consumata nel dono di sé per gli altri come “sacrificio di soave odore”, per la salvezza delle anime e per
lenire le sofferenze portate dalla presenza del male nel mondo. Anche la
nostra “chiesetta”, come la chiamava lui, è un frammento di questa scia
luminosa e noi, fiduciosi nella promessa che il Padre ha fatto riguardo ad
una sua particolare cura per le persone che l’avrebbero frequentata, ci
rallegriamo di averla come chiesa parrocchiale nella quale appunto la
Comunità si raduna per le celebrazioni. Anzi, in omaggio a questo carisma
spirituale, è nata l’idea di dedicare a S. Pio la cappella laterale
attualmente in progetto, necessaria per la Messa feriale, come segno di
devozione e di riconoscenza ma soprattutto – il Buon Dio ci scuserà l’atto interessato
– per avere se possibile ancor più grazie per intercessione di questo grande
Santo. don
Roberto (dicembre
2008) |
La festa più grande della Cristianità, la
Pasqua, si sta avvicinando e stiamo appunto per iniziare la Quaresima che ne
è il periodo di preparazione. Siccome il frutto più bello di quell’Evento,
destinato a cambiare la storia del mondo, fu per i primi discepoli la pace
serena e gioiosa di chi ricupera la speranza della propria vita, mi sono
proposto di offrire un pensiero, come al solito molto semplice, sul valore
della pace e delle sue componenti essenziali. Il saluto francescano: “Pace e
bene” credo che esprima, in maniera efficace e concisa, l’augurio più bello
che gli uomini possano scambiarsi perché, come tutti sanno, senza la pace del
cuore non è possibile percepire pienamente alcun bene della vita. Dunque la
pace è di per sé un valore universale in quanto riguarda il bene di ogni uomo
e per noi cristiani, che vogliamo lasciarci guidare dal Vangelo, lo è in modo
speciale. Allo scopo basta ricordare, fra le tante citazioni, quella
evangelica nella quale Gesù pone la priorità del ricupero della concordia a
qualsiasi altra offerta da presentare all’altare (cfr Mt5,23-24). In questi
ultimi tempi diverse e autorevoli voci hanno ricordato ciò che la storia
stessa ci insegna, e cioè il profondo legame tra pace e giustizia. Sappiamo
bene infatti quanto l’ingiustizia sia all’origine di molte divisioni a tutti
i livelli della vita associata, da quello personale a quello internazionale,
e dei conseguenti conflitti e guerre di ogni tipo che da essa scaturiscono.
Per questo, in armonia con lo stesso Vangelo, che proclama “Beati gli operatori di pace”, una lode
grande va intessuta per tutti coloro che si adoperano con ogni sforzo per
facilitare o riguadagnare la pace combattendo per l’eliminazione, per quanto
possibile, di ogni forma di ingiustizia. Certamente non sfugge però a nessuno
come questo dramma sia ben profondo, non fosse altro che per il
condizionamento soggettivo del senso della giustizia. Basta vedere quello che
normalmente accade tra due contendenti, cioè come ognuno rivendichi la sua
giustizia. Inoltre questa sensibilità è facilmente vittima di ignoranza,
errore, ideologizzazione, ecc. E questo ci appare chiaro specialmente nei
conflitti più grandi come quelli etnici, nazionali interni ed esterni. Sono
cosciente che la questione è molto delicata e supera di molto sia le mie
capacità, sia l’interesse di questo piccolo articolo. Vorrei tuttavia
chiarire che queste ultime considerazioni non vogliono assolutamente sminuire
lo slancio e il valore della lotta contro l’ingiustizia, bensì evidenziare
come sia prezioso per noi cristiani rinnovare, anche in questo campo, il
riferimento al “solo Giusto” che, come ci ricorda S. Paolo, per riconciliare
il Cielo e la terra e gli uomini fra di loro ha “distrutto in Sé
l’inimicizia” nel Sacrificio della Croce (cfr Col1,20; Ef2,14-18) realizzando
così la promessa angelica del Natale “pace
in terra agli uomini amati da Dio”. In realtà si può dire che nessuna
vera pacificazione è gratuita. Si richiede spesso superamento di sé nel
perdono, lungimiranza e disinteresse in vista del bene prezioso della
concordia. Termino queste brevi considerazioni ricordando che vi è anche un
altro tipo di pace molto più semplice, ma pur esso necessario e da auspicare
di fronte agli “attacchi” delle preoccupazioni e della frenesia della vita
quotidiana in questo mondo. Infatti una esistenza più calma e più serena
permette di apprezzare e vivere meglio anche la dimensione della relazione
familiare e sociale. Nella visione cristiana, al di là degli sforzi umani, la
pace è prima di tutto dono di Dio, per questo il mio augurio pasquale è: che il Dio della pace, il Signore nostro
Gesù Cristo, vi ricolmi di ogni pace e bene nel suo Amore. don
Roberto (febbraio
2009) |
Anche se le feste natalizie non sono
vicinissime, abbiamo pensato di anticipare il recapito del giornalino
parrocchiale per un aggiornamento
sulla vita parrocchiale e, in particolare, in merito ai lavori di
ampliamento della chiesa con la costruzione di una cappellina, laterale alla
chiesa stessa, dedicata a S. Pio, il
Santo che come, certamente sapete, ha voluto fosse costruita quella che ora è
la nostra chiesa parrocchiale. Questi lavori finalmente, tra non poche
difficoltà e con molta carenza economica, sono iniziati e, confidando nella
Divina Provvidenza e nella vostra generosità, speriamo di portarli a termine
nel duemiladieci, anno nel quale ricorre il cinquantesimo anniversario della
dedicazione della chiesa parrocchiale. Colgo l’occasione anche per proporre
come al solito un semplice pensiero di fede sullo splendore della Verità
religiosa che, se è tale, deve ricondurre l’uomo non solo a Dio, ma anche a
se stesso, cioè deve fargli ritrovare il vero e pieno senso della propria
vita e della propria dignità, soprattutto nella relazione con agli altri e
con Dio, del quale ne porta l’immagine. Nella lettura della Sacra Scrittura
troviamo appunto tutto un movimento di segni e di indizi convergente in
questo grandioso fine. Naturalmente la massima visibilità di questo
misterioso disegno si ha nella pienezza dell’autotrasparenza che Dio da di sé
in Cristo Gesù. La vastità del tema da un lato e la ristrettezza dello
spazio, unita l’autocoscienza della mia piccola misura, dall’altro, mi
inducono a soffermarmi solo su quei momenti e atteggiamenti della vita di
Gesù che i Vangeli ci riferiscono come più critici; situazioni nelle quali
però emerge chiaramente il contrasto tra la logica del “potere” e la logica
dell’”Amore”, insomma, tra la spontaneità del comportamento umano di chi
desidera imporsi e quello invece di chi desidera solo, come buon samaritano,
curare le ferite dell’uomo incappato nei molti “briganti” detrattori della
sua vita. Mi riferisco a quei momenti di incredulità e di rigetto di coloro
che paradossalmente con più facilità avrebbero dovuto accogliere il Cristo,
anche nella novità del suo insegnamento (cfr ad es. Lc4,20-30; Mt12,9-14;
Gv6,22-66;…). La reazione di Gesù, non senza scandalo degli stessi discepoli
(cf Lc9,51-56), non è stata quella di imporsi, magari con la potenza del
miracolo o con quella della potenza distruttrice, bensì quella della semplice
“debolezza” chi non vuol ledere la libertà responsabile della coscienza
umana, rispettandone fino in fondo il mistero della sua dignità e alterità.
Il trionfo di Dio è convincere l’uomo dell’Amore che Egli ha per lui al di là
e al di sopra delle contraddizioni e della “ruvidità”, spesso anche marcata,
della vita in questo mondo. Il passo della Fede cristiana è sostanzialmente
questo: aprirsi e credere a questo Amore. Allora una grazia divina subentra a
sostenere il cammino della vita nella via del Signore e il vero discepolo di
Gesù ritrova progressivamente se stesso, anche come uomo, nelle intuizioni
delle ragioni della sua esistenza e
della speranza che motiva il suo amare, agire, soffrire e gioire. Avviene
allora come a quell’escursionista che impaurito e angosciato perché
perdutosi, ritrova le tracce del sentiero sicuro che lo guida alla mèta; il
vigore e la serenità ritornano in lui ancorché il cammino non sia finito. A
me sembra che il messaggio del Natale di Gesù, Luce di Verità, messaggio che
si rinnova ogni anno per questa umanità, come minimo distratta da tanti
disvalori, possa essere ancora più compreso se letto nella luce di questo modo
di amare divino. Questo, insieme alla serenità e la pace che solo il Signore
sa dare, è l’augurio che faccio a me e a ciascuno di voi come frutto di
questo Santo Natale.
don
Roberto (dicembre
2009 |
MARIA
MADRE DELLA SPERANZA Forse può sembrare
improprio proporre un pensiero sulla Madonna in prossimità della preparazione
alla Pasqua del Signore; il fatto è che si ricorre volentieri a Lei nei
momenti più delicati e difficili della vita. E proprio nella preparazione
alla festa, che è la sorgente della letizia cristiana, non possiamo non
pensare che una fetta consistente di umanità geme non solo sotto il peso
delle catastrofi naturali ma anche – e soprattutto - sotto le ferite che si
autoinfligge con tutte la varie forme di ingiustizia e di violenza, forme che
sembrano come perpetuarsi a causa di un ciclo malefico chiuso perché tendono
a generare povertà e ignoranza (specie
quella etica), che a loro volta formano quel triste focolaio destinato a
sviluppare, mantenere e accrescere appunto violenza e ingiustizia. Viene da
chiedersi: non c’è dunque speranza per un mondo migliore? Il cristiano non
solo può, ma deve, sperare in positivo e impegnarsi anche per questo.
Dobbiamo sempre avere presente le parole di Gesù: “Non temete io ho vinto il
mondo (del male)”. Fra non molto celebreremo la Pasqua di Cristo segno,
inizio e potenza realizzatrice di un’era nuova inaugurata dalla vittoria di
Cristo sul più grande dei fallimenti che incombe sulla vita di ciascun uomo
che è la morte. Questo fa si che la Pasqua oltre ad essere il fondamento
della nostra Fede sia, nel contempo, anche quello della speranza, perfino
nella sua piccola ma importante dimensione terrena. Infatti dalla vittoria
nella fede sul principale dei mali dell’uomo scaturisce la possibilità di
vincere, in una qualche misura, anche i mali terreni in una lotta che, se
vogliamo essere autentici discepoli di Cristo, dobbiamo combattere a tutti i
livelli con le armi della carità illuminata dalla Sapienza Divina e al
servizio del bene comune. Mi sembra bello notare che ad avvalorare questa
fiducia ci viene in soccorso proprio il pensiero di Colei che è la “prima”
tra tutti i credenti; prima non solo in ordine di tempo ma soprattutto
nell’ordine della grandezza e importanza nel piano salvifico di Dio. Proprio
Lei, che alla croce del Figlio ha saputo
“sperare contro ogni speranza”, ce ne dà garanzia. Infatti i Vangeli,
benché estremamente parchi delle parole dette dalla S. Vergine, ne riportano
quelle sufficienti a farci capire cose importanti sulla sua visione del mondo
con i suoi mali e della via della sua salvezza. A tale scopo è opportuno
considerare le parole ispirate e piene di speranza, dette da Maria in
occasione della visita all’anziana parente Elisabetta, riguardanti
l’intervento misericordioso di Dio in favore dell’umanità mediante l’invio
del Figlio nel mondo: “…ha disperso i
superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha
innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi
a mani vuote…” (Lc1,51-53), associandole a quelle dette sempre dalla S.
Vergine a Cana, in occasione della sua intercessione perché Gesù facesse un
miracolo in favore degli sposi rimasti senza vino (coefficiente importante
per la festa di quel tempo). Maria disse ai servi: “Fate quello che vi dirà”. Queste parole si rivestono di
particolare solennità quando pensiamo che lo Spirito Santo, ispiratore della
Sacre Scritture, ha voluto che rimanessero le ultime parole dette dalla S.
Vergine. Senza forzature possiamo leggerle come invito e, nello stesso
momento, espressione della condizione perché si possano realizzare anche
quelle speranze, da Lei stessa profetizzate ad Elisabetta. Possiamo ritenerle
come un appello accorato in favore di questa povera umanità, di cui Ella si
sente appassionata madre, che attraverso la storia invita a fidarsi del
Figlio perché Egli possa agire come salvatore di tutto l’uomo: prima di tutto
nella dimensione spirituale eterna, ma anche a sollievo della sofferenza
portata da molti dei mali che affliggono la sua vita. Termino con l’augurio che la Pasqua di
Cristo segni anche per ciascuno di noi una maggiore consapevolezza del dono
della fede e della speranza cristiana, cosicché, nell’impegno nella coerenza
della vita, l’abbondanza delle
Benedizioni Divine riempia le vostre famiglie. don
Roberto (febbraio
2010) |
IDENTITA’
CRISTIANA: un tesoro geloso da custodire e approfondire In occasione della S. Pasqua vorrei offrire
un piccolo e semplice spunto di riflessione sulla bellezza e il valore delle
radici della nostra identità cristiana. Abbiamo imparato a conoscerci per
nome quando abbiamo iniziato a sentire e a comprendere la voce dei genitori
che amorevolmente ci chiamavano, così pian piano ci siamo in qualche modo
“identificati” con il nostro nome. Questa esperienza elementare, eppure
fondamentale, ci aiuta ad avere nozione di un’altra altrettanto intima, ma
ancor più profonda, che riguarda il nostro essere cristiani. In un documento
molto importante dell’ultimo Concilio leggiamo: “Cristo (…) rivelando il
mistero del Padre e del Suo Amore svela anche l’uomo all’uomo e gli fa nota
la su altissima vocazione”. Si,
Colui che riunisce in Sé infinita maestà e infinito Amore, ci ha chiamati per
nome fin dal seno materno, e l’accoglienza di ciò dischiude ai nostri stessi
occhi la consapevolezza di quanto sia importante la nostra personale
esistenza proprio perché così è stata da Lui voluta e costituita tale. Chi
non è più tanto giovane, e guarda con realismo la vita umana, credo che possa
dire che, se è vero che vi sono momenti di gioia e di speranza, è pur vero
che sono molti più quelli di fatica e anche di delusione, senza contare che compaiono
anche quelli di tribolazione e, purtroppo avvolte, neanche troppo raramente.
Dico questo non per gettare un’ombra di pessimismo sul valore della vita in
questo mondo, ma per evidenziare semplicemente come la consapevolezza di cui
si parlava all’inizio sia capace di completare a pieno il senso
dell’esistenza umana, integrandone armonicamente la dimensione trascendente
ed eterna con quella immanente e responsabile dell’impegno nel mondo, senza
naturalmente escludere quelle piccole e semplici gioie che la vita può dare.
Quel nome pronunciato dall’eternità, che mi invita - unica tra tutte le
creature corporee – ad entrare in una pienezza di Vita eterna, mentre da un
lato mi dà una speranza più forte di tutte le disperazioni, compresa la
morte, dall’altra non mi distrae, anzi vincola l’autenticità della mia
risposta all’impegno molto serio e responsabile a spendermi nella via della
carità fraterna per il bene comune e in modo ordinato, partendo proprio dal
bene della vita familiare. Certo dobbiamo riconoscere che il Vangelo, con il
suo crudo realismo e la perentoria determinazione alla conversione per lo
sradicamento del male dal cuore umano, sembra
non rispondere alle esigenze di questa povera natura umana malata, debole e
fragile e che in questo senso appare, come ci dice S. Paolo, “non modellato
sull’uomo”. Ma questa impressione non è reale perché la Parola Divina,
insieme alla scossa di severità, necessaria per raddrizzare ciò che è storto
e richiamare a si grande consapevolezza del bisogno di salvezza dal pericolo
di un fallimento eterno, rende noto - e operante per chi vi aderisce – anche
l’azione positiva di un grande Amore misericordioso, capace di curare in modo
appropriato, come nessun altro medico può fare, le ferite del cuore umano
purificandolo e rendendolo capace di quel Infinito di cui ha insaziabile
nostalgia (“beati i puri di cuore perché vedranno Dio”) e senza del Quale,
come ci insegna S. Agostino, è perennemente inquieto. Per questo Dio ha
mandato nel mondo il Suo Figlio; per questo Gesù Cristo è morto e risorto per
noi. Nell’occasione della rinnovata celebrazione della S. Pasqua, l’augurio
che faccio a me, e al benevolo lettore di questo piccolo pensiero, è che
teniamo sempre alto il senso della grandezza del dono della Verità rivelataci
da Cristo e per la quale è morto sulla croce, essenza appunto della nostra
identità cristiana. don
Roberto (febbraio 2011) |
LA PREMURA
DELLA BEATA VERGINE MARIA PER I SUOI FIGLI Nel “raggio” della Croce, per usare
un’espressione cara al Beato Giovanni Paolo II, tutto si riveste di
significato e di potenza grande perché siamo nel cuore della Redenzione. Così
a nostro conforto possiamo sondare la grandezza della Misericordia Divina per
chi, anche all’ultimo minuto – pur nella contraddizione della sofferenza -,
si sa rinnegare e trova la forza di riconoscersi ingiusto per chiedere
perdono e aiuto al Salvatore, come appunto ha fatto il “buon” ladrone
crocifisso accanto a Gesù sul Calvario. In questa prospettiva acquistano
particolare grandezza di significato le ultime parole di Gesù riguardanti il
suo testamento. Infatti il Cristo, nudo sulla Croce, non aveva altro da
lasciare se non la Madre ed Egli la consegna al suo discepolo prediletto, ma
consegna anche a Lei questo suo discepolo. Per le ragioni che dicevamo prima,
da sempre la fede della Chiesa ha visto nell’intenzione del Redentore morente
una disposizione benedetta che va ben al di là della protezione di Giovanni,
giovane apostolo di Gesù, per estendersi a beneficio della vita dell’intero
Popolo di Dio. Questa disposizione per la S. Vergine è stata come un nuova
missione, datale con solennità dal Figlio, missione che ha caratterizzato per
sempre la sua singolarissima esistenza di “benedetta fra tutte le donne”.
Sulla scia di queste considerazioni, non appare certo un caso che il Nuovo
Testamento citi, subito dopo la risurrezione di Gesù, la sua presenza –
certamente particolarmente viva, desiderata e gradita - nella prima Comunità
come la “Madre del Signore”. Con l’assunzione al Cielo, questa missione della
Beata Vergine Maria prende una dimensione cosmica: entrando nella gloria di
Dio, Ella è in grado di prendersi cura di ogni creatura umana che, concepita
sulla terra, è chiamata ad essere - per i meriti di Cristo - partorita al Regno
della Vita eterna. E così avviene che la Madonna riversa una premura tutta
speciale sulla Chiesa di cui Ella stessa è madre. La traccia storica di
questo fatto ce l’abbiamo nella devozione che tutte le generazioni cristiane,
per quanto è accertato a partire dal secondo secolo, hanno riservato alla S.
Vergine. In tempi relativamente più recenti questa visibilità è attestata
anche dalla moltitudine di santuari mariani che punteggiano la geografia di
questo mondo. Alcuni di essi sono grandi e noti perché la Madre Celeste ha
dato, e dà, segni di questa sua particolare premura con miracoli, prodigi e
anche messaggi. Molti altri sono meno noti e anche meno “certi”, ma anche
essi conservano, insieme ai primi, tracce di questa premura materna per i
suoi figli rigenerati dal Sangue di Cristo, eppure in pericolo di morte
eterna o comunque di astenia spirituale e di sbandamento portato dalle
suggestioni dei venti di questo mondo. Una cosa è certa: in sintonia con un
Cuore Immacolato e pieno di misericordia materna qual è il suo, questa
premura si fa più intensa nei tempi storici più pericolosi e difficili per la
cristianità e per il mondo intero, mediante accorati inviti a ritrovare e a
mantenere la via tracciata dal suo Figlio Gesù. E’ la via della Parola Divina
che risuona nella Chiesa, arricchita della grazia dei Sacramenti, specie
della Riconciliazione e dell’Eucaristia. La nostra Parrocchia ha avuto il
buon auspicio di avere la sua chiesa intitolata, per volere di S. Pio,
proprio a Lei come per contare su una sua particolare cura e protezione.
Nell’occasione dell’Anno Santo del 2000 abbiamo avuto la possibilità – grazie
anche ad una gentile concessione del Comune di Calenzano – di poter
realizzare un tabernacolo, a Lei dedicato
come Regina della Pace, ubicato in una posizione più centrale, rispetto alla
zona abitata, di quanto lo sia la chiesa. Ora sentiamo il bisogno di
approfondire il tema di questa presenza premurosa della S. Vergine allo scopo
di sentirci più incoraggiati nel credere alla Persona di Gesù e a vivere in
riferimento al suo insegnamento evangelico. Tutto ciò ci aiuterà anche a
tenere alti e fermi i conseguenti valori fondamentali che ne scaturiscono
riguardo alla vita umana, familiare e sociale. Per questo ogni primo giovedì del mese alle ore
21.15 ci troviamo in Parrocchia per iniziative che verranno via, via
comunicate aventi di mira lo scopo detto. don Roberto (dicembre 2011) |
LA
RISURREZIONE DI GESU’ CRISTO POTENZA RINNOVATRICE DELLA CRISTIANITA’ Sta per iniziare la Quaresima, tempo
propizio per la preparazione alla grande festa della Cristianità che è la
Pasqua, e se è vero che questa festa è abbastanza cronologicamente distante
(8 Aprile) è pur vero che il mistero pasquale della passione, morte e
risurrezione di Cristo pervade l’intera vita del credente. Per questo ho
pensato che non fosse fuori luogo motivare i miei auguri pasquali alla
Comunità parrocchiale con due semplici righe sul grande tema della
risurrezione di Gesù, evento unico e traboccante di una grazia rinnovatrice
della Cristianità e, attraverso di questa, dell’intera umanità. Premetto che
nella coscienza della mia limitata erudizione, e della ben ristretta brevità
di spazio, non presumo altro se non di esporre alcune considerazioni molto
semplici, dettate più dal cuore che dalla speculazione intellettuale. Credo
che sia sotto gli occhi di tutti la presenza nella storia dell’umanità di due
tendenze contrapposte, tendenze che se estremizzate inducono processi
involutivi nel suo sviluppo quanto mai dannosi alla convivenza umana. Mi
riferisco a quegli atteggiamenti, che come sempre hanno radice nell’animo
umano, e che corrispondono da una parte alla tendenza a volgersi in dietro,
per guardare con predilezione nostalgica al passato come luogo di attuazione
del “meglio”; dall’altra alla tendenza alla fuga in avanti con la presunzione
di attuare questo “meglio” solo perché rivoluzionario e frutto del “nuovo”, a
prescindere dalla esperienza del passato, anzi non raramente anche in
contrapposizione con essa. Ora si capisce bene che la prima via, con la sua
illusione nostalgica porta a stazionare su un ideale immaginario, tende ad
impedire l’evoluzione positiva del pensiero. E la seconda, con la presunzione
di una ottimistica novità sorgiva, finisce per ripetere, magari in forme
diverse, gli stessi errori del passato. Per cui alla fine questi
atteggiamenti presi come categorici risultano essere evasioni idealiste e
dispersive dal reale. Reale invece, che per essere vissuto in modo
costruttivo, richiede il quotidiano farsi carico della responsabilità più o
meno gravosa del presente. Per noi cristiani il Maestro è – e deve continuare
sempre ad essere in tutto - il Cristo. Egli venendo nel mondo non ha
enfatizzato il valore del passato, ma non lo ha nemmeno annullato in quanto
ne ha mostrato il significato attraverso l’importanza di una storia di salvezza. Storia alla quale
Egli stesso ha dato compimento e perfezione, proprio in quanto trova in Lui
la sua pienezza e la sua chiave di lettura. Altresì non ha enfatizzato il
futuro - proprio a causa della debolezza umana che accompagna la storia della
Chiesa e dell’Umanità, storia nella quale si prolunga l’eterna lotta tra la
luce del bene e le tenebre del male - ma lo ha sottratto al pessimismo del
vano non senso di una inutile ciclicità, riempiendolo della speranza della
mèta alla quale questo futuro, sotto la Regalità Divina, tende. Penso di
poter dire che da un punto di vista cristiano il credente deve dunque
superare sia la tentazione della vuota nostalgia tradizionalista, che non sa
accogliere l’azione rinnovatrice dello Spirito Santo nel laborioso e sofferto
travaglio della storia; sia la tentazione avventuriera che presume di poter
fare a meno dell’intelligenza e dell’esperienza di fede del passato, quasi
negando nella medesima la presenza operante dello Spirito. Termino osservando
che quanto ora detto confluisce in modo mirabile nel grande Mistero pasquale,
dove il passato è presente come base propedeutica fondamentalmente alla
Pasqua di Cristo. E il futuro è presente nel frutto della risurrezione del “Seme che muore” per dare vita ad
un’era nuova. Infatti se la passione e morte dell’Uomo-Dio ha un valore
infinito, ed è in qualche modo uscita dal tempo per entrare nell’eternità,
pure la sua risurrezione, evento unico e trascendente, sta al di sopra della
storia e la trascina motivandola per mezzo della Speranza cristiana, Speranza
che essendo fondata sulla vittoria della morte, è più forte di qualunque
disperazione. Ecco dunque il mio augurio: che questa medesima Speranza sia
lampada sempre accesa nel cuore di tutti noi, credenti in Cristo. don Roberto (febbraio 2012) |
NATALE 2012
ANNO «0» DELLA FEDE Ho dato questo titolo dal sapore un po’
provocatorio a questo articoletto con lo scopo di evidenziare la circostanza
particolarmente significativa che questo prossimo Natale viene a cadere nell’
“Anno della Fede”, indetto dal santo Padre Benedetto XVI, e che ciò significa
che celebreremo la nascita di Gesù in un contesto di particolare grazia.
Nella visione cristiana, la storia non è un vano ripetersi ciclico di eventi
aleatori, ma il luogo dove è sceso il Creatore del mondo per richiamare a Sé
quell’uomo che senza di Lui non può trovare il significato vero e profondo
della sua esistenza individuale e collettiva. Gesù Cristo, con la sua vita,
passione, morte e risurrezione, chiamando alla salvezza ogni uomo, gli
restituisce il senso della sua dignità e della sua regalità sull’intero
Cosmo, valorizzando a pieno anche la sua esistenza in questo mondo. Ora se
ciò vale per lo sviluppo della storia “profana”, tanto più questo vale per il
ripetersi ogni anno della celebrazione religiosa degli eventi fondamentali della
nostra salvezza, come appunto il Natale. Per noi credenti celebrare ogni anno
la nascita di Cristo non è il monotono ripetersi di una memoria di un fatto
passato, ma il rinnovato misterioso avverarsi della grazia che accompagnò
l’attuazione storica dell’inconcepibile, quanto sublime, evento della
Incarnazione e nascita del Salvatore del mondo, fatto questo che, come
abbiamo detto prima, contiene in sé la capacità di rinnovare tutte le cose e
ridare significato alla storia umana. Questo evento fu talmente avvertito
agli albori della nascente cultura cristiana che si sentì il bisogno di
datare il tempo a partire appunto (prescindendo dagli errori di datazione)
dalla nascita del Cristo. Da qui il senso provocatorio del titolo, cui
accennavo all’inizio, come invito a ciascuno di noi nella disponibilità,
proprio nell’occasione del Natale di questo anno dedicato alla fede, ad un
ripensamento e una riscoperta della propria fede cristiana a partire dalle
sue radici, perché – e questo è bene non dimenticarlo – la sua origine non è
un fatto storicamente evanescente o un mito, bensì una figura storica: Gesù
di Nazaret, vissuto in un contesto storico ben definito (nato a Betlemme di
Giudea quando era in atto il censimento voluto da Cesare Augusto ed era
governatore della Siria Quirinio…). Certo non è questo l’aspetto che
direttamente, o comunque principalmente, ci tocca, quanto piuttosto ritornare
alla purezza delle sorgenti della fede per rinsaldare e approfondire, sia le
motivazioni che ci spingono a credere, sia il contenuto stesso della nostra
fede. Se un tempo non troppo lontano, per lo meno in diversi paesi
dell’Europa, la cultura locale esercitava per così dire un influsso positivo
nei riguardi dell’accostamento alla fede cristiana, adesso non è più così e
ciascuno deve farsi carico, almeno a livello di convincimento interiore, del
perché si sente cristiano cattolico e ciò che questo comporta
nell’impostazione della propria vita. Stante l’enorme, per non dire
rivoluzionario, sviluppo dei mezzi di comunicazione oggi è facile aver
accesso, sia per via telematica, sia per mezzo della stampa, a strumenti di
informazione e formazione cristiana, ma la via privilegiata è naturalmente la
Comunità di fede di riferimento, specie quando questa si riunisce nel nome
del Signore per celebrare il mistero dell’evento fondamentale della nostra
salvezza: la Pasqua del Cristo, evento che si avvera per via soprannaturale
nella Santa Messa. Con l’alimento divino dell’Eucaristia e della Parola di
vita, la fede ne esce corroborata e capace di reggere gli urti del mondo.
L’augurio che faccio a me stesso e a ciascun credente è che questo Natale ci
aiuti a rinnovarci, ripartendo come da zero nel prendere sul serio la nostra
impostazione di fede, così come Dio ha preso sul serio la nostra salvezza che
“…ha tanto amato il mondo da dare il
suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la
vita eterna.”(Gv3,16) don Roberto (dicembre
2012) |
“Il
giusto vivrà mediante la fede”(Rm1,17) L’occasione della benedizione delle
famiglie, mi offre ogni anno l’opportunità di scrivere un articoletto,
articoletto che cerco sempre di collocare sullo sfondo dell’approssimarsi
della festa più importante della Cristianità che è la S. Pasqua. Per rimanere
in sintonia con l’evento di grazia della celebrazione dell’“anno della fede”, quest’anno ho
pensato di dedicarlo - pur nella consapevolezza della sua piccola misura -
appunto a questo tema così importante. In particolare ho creduto fosse
positivo offrire uno spunto di riflessione sul fatto che, oggi più che
mai, ogni cristiano sia chiamato a
vivere una fede matura e adulta. Infatti il substrato culturale di una
società che in qualche modo tramandava
per tradizione i valori dottrinali ed etici cristiani, per varie ragioni,
viene sempre più a mancare e ognuno, che oggi si pensi cristiano, non può non
aver una coscienza che sia opportunamente formata alla consapevolezza di ciò
che questo significa. Una fede adulta e matura poi non vuol dire affatto una
fede incline all’integralismo o al fondamentalismo irragionevole e
aggressivo. La fede cristiana non è, né può essere, dissociata dalla carità
perché al suo centro e vertice c’è Dio – Amore; un Dio che si è rivelato
massimamente proprio nel gesto di amore supremo di dare il proprio Figlio:
Gesù Cristo, venuto nel mondo a donare la vita per la salvezza di chi crede
in Lui (1Gv4,10). Detto questo però va aggiunto subito che la fede cristiana
non è nemmeno una “canna sbattuta al
vento” (Mt11,7) che si corrompe sotto la spinta delle ideologie e delle
mode del tempo. Fin dall’inizio, i primi discepoli di Gesù erano ben
consapevoli della preziosità e della bellezza della “lieta notizia” (Vangelo)
che la loro fede portava in seno; una Verità capace di riscattare l’uomo
dalla condizione di oscurità e non senso esistenziale nella quale normalmente
vive nella situazione “naturale”. Dunque una fede adulta e matura implica
avere la consapevolezza della necessità che questa fede ha di rigenerarsi, si può dire giorno per giorno,
nella luce della certezza del Mistero pasquale, cioè Cristo veramente morto,
ma anche veramente risorto quindi vivo e presente nella Chiesa e
nell’esperienza concreta di ogni fedele. Infatti Egli, come aveva promesso
(Gv14,23), continua a manifestare la sua presenza nell’intimo della coscienza
personale dei suoi discepoli di tutti i luoghi e di tutti i tempi attraverso
la preghiera, i Sacramenti e strade solo a Lui note. Ma una fede adulta e
matura significa anche avere la consapevolezza di dover sostenere una lotta
continua contro tutte le derive che lo spirito del male adombra nella vita di
ogni uomo e in particolare di coloro che, credendo, attraverso il Battesimo
sono diventati stirpe eletta,
sacerdozio regale, gente santa (1Pt2,9;Ap12,17). Ciò significa non solo
un impegno forte per la coerenza della propria vita in riferimento ai valori
evangelici, ma anche un necessario approfondimento dottrinale ed etico per la
formazione appunto della propria coscienza. Soprattutto significa che ogni
discepolo del Cristo, se vuol camminare nella luce della verità che porta
alla salvezza, deve camminare, come ci dice S. Giovanni, “in comunione” con gli altri
confratelli nella fede, cioè nella Chiesa. L’esercizio e la crescita nella
fede, poi, non è il luogo dove poter manifestare la propria genialità e
libera iniziativa creativa secondo le categorie del mondo, perché è il luogo
primario dell’accoglienza del dono di grazia nell’obbedienza della fede. Ciò non vuol dire affatto, come si
dimostra nella vita dei grandi Santi, la rinuncia alle prerogative e alle
attitudini umane, bensì vivere nell’umile riconoscimento della propria
piccolezza il proprio servizio a Dio e ai fratelli. E’ lo Spirito che dà la vita a far si che sia coniugata, in
maniera misteriosa, la sua azione graziosa con l’intera e integra qualità
dell’impegno umano attivo e responsabile. Credo che questo criterio già di
per sé basti a bandire ogni spazio al soggettivismo dall’idea della fede cristiana e a dare un criterio
di sicuro discernimento per saper distinguere la vera voce del Pastore grande delle pecore, che è
Cristo Signore, risuonante nella guida della Chiesa, dai falsi profeti.
Termino con l’augurio pasquale di una rinnovata fede che ci faccia tutti
avanzare nel cammino della luce per il bene individuale, della famiglia e del
mondo. don Roberto (febbraio 2013) |
“In Lui
era la Vita e la Vita era la luce
degli uomini” (Gv1,4) Eccomi con la mia piccola riflessione
annuale su una delle feste più care non tanto alla semplice “tradizione”
cristiana, quanto al cuore della nostra Fede: il Natale. Nello scrivere
queste righe mi piacerebbe riuscire a suscitare in me e nel lettore il senso
dello stupore e della bellezza del grande evento destinato a cambiare,
nolente o volente, la storia dell’umanità, ma questa è cosa che riguarda non
le nostre povere forze bensì la grazia dello Spirito. Già Zaccaria, il padre
di Giovanni Battista, aveva profetato riguardo all’imminente venuta nel mondo
della Messia indicandolo come il “Sole che sorge dall’Alto”. E il vecchio
Simeone nel Tempio, prendendo tra le braccia il bambino Gesù, lo aveva
definito “Luce per illuminare le genti”.
Di fatto con l’Incarnazione - avvenuta grazie al dono totale che Maria
ha fatto di sé nella fede a Dio - si è avverato qualcosa di immensamente
grande e inconcepibile, qualcosa che non era mai successo prima e né mai più
succederà, destinato a segnare un’era nuova nella storia dell’umanità: “Il Verbo (cioè la Sapienza Divina
espressa del Padre, la sua Parola) si è
fatta carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”Gv1,14). Gesù stesso
dirà di sé: “Io come luce sono venuto
nel mondo perché chi crede in me non rimanga nelle tenebre”(Gv12,46).
Ogni uomo, toccato dalla grazia, può scoprire questa meravigliosa luce capace
di dare un senso nuovo alla sua vita. E’ questo il lieto annunzio (vangelo)
dato dagli angeli ai pastori. E non poteva essere che così: il vangelo
superlativo, portatore di una grande gioia (Lc2,10) non poteva venire dagli
uomini, ma da Dio per mezzo dei suoi messaggeri, così come è avvenuto appunto
per la stessa annunciazione a Maria. Dunque con la nascita di Gesù è apparsa
nel mondo la luce vera quella che
illumina ogni uomo; ma questa luce non è simile alle luci della sapienza
di questo mondo. S. Agostino la descrive bene nelle sue “Confessioni”: “Entrai e vidi con l’occhio dell’anima mia,
qualunque esso possa essere, una luce inalterabile sopra il mio stesso sguardo
interiore e sopra la mia intelligenza. Non era una luce terrena e visibile
che splende dinanzi allo sguardo di ogni uomo(…) era un’altra luce, assai
diversa da tutte le luci del mondo creato. Non stava al di sopra della mia
intelligenza quasi come l’olio che galleggia sull’acqua, né come il cielo che
si stende sulla terra, ma una luce superiore. Era la luce che mi ha creato. E
se mi trovavo sotto di essa, era perché ero stato creato da essa. Chi conosce
la verità conosce questa luce”. Il Padre in Cristo ha pronunciato il suo
Amen di misericordia, ma anche di Verità. La sua parola è incorruttibile e
non è soggetta ai condizionamenti culturali né alle mode del tempo (“il cielo e la terra passeranno ma le mie
parole non passeranno” Lc21,33). Per questo il Signore mette in guardia
gli uomini dalla indifferenza alla sua parola: “..Io non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo.
Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola
che ho annunziato lo condannerà nell’ultimo giorno” (Gv12,47-48). Dunque
in Cristo è vinta ogni debolezza dell’uomo di buona volontà, quando costui si
apre alla potenza giustificante della sua grazia e la salvezza rimane
preclusa solo alla ostinata durezza di cuore che si chiude come tenebra alla
luce dell’Amore divino, Amore misericordioso che vuole salvare ogni uomo.
Termino con l’augurio che ciascuno di noi trovi nel Natale del Cristo quella
luce di speranza capace di mutare in meglio la propria vita aderendo ancor
più alla grazia del Vangelo di salvezza. don Roberto (dicembre 2013) |
PASQUA: UNA PACE CARICA DI SPERANZA Il primo dono che il Cristo risorto ha
fatto ai suoi discepoli è stato una pace ripiena di speranza e in occasione
dell’approssimarsi della S. Pasqua, vorrei proporre una riflessione, come
sempre molto semplice, sul tema importantissimo della pace. Sulla base
dell’esperienza storica degli equilibri sociali nazionali e internazionali, è
stato detto - e più volte riaffermato - che senza giustizia non vi può essere pace. Questa verità empirica ci
interroga tutti, ma per questo piccolo articolo è troppo ardua. Per questo mi
sono proposto uno spunto di riflessione più accessibile ma, a mio avviso, non
meno incisivo. Credo di poter affermare con certezza, perché è sotto gli
occhi di tutti, la constatazione di come la pace personale serena e duratura richieda, oltre ad un “clima” di giustizia,
che vi sia nell’animo speranza.
Infatti è proprio la speranza, come anelito verso uno o più beni desiderati,
che attiva e sostiene il nostro operare a tutti i livelli. La speranza poi
normalmente si compone appunto di diverse motivazioni, come: migliorie delle
condizioni di vita, mete ed eventi importanti, traguardi da raggiungere
ovvero difficoltà da superare, ecc.. Mi rendo conto che il tema è
delicatissimo, tanto quanto è forte l’incidenza della speranza sulla vita
dell’individuo e dell’intera comunità umana. La storia è lì a dimostrare come
i grandi “manipolatori” delle masse hanno sempre giocato con particolare
carisma e abilità su questo punto fondamentale dell’animo umano. Ma non vuol
essere certo questo il tema di questo articoletto. Piuttosto, proprio come
dicevo, in occasione della Pasqua, vorrei invece evidenziare come il realismo
del Vangelo sia di grande aiuto e riferimento per il giusto modo di
“comporre” questa realtà essenziale alla vita umana, che è appunto la
speranza. In proposito penso che molti
abbiano notato come una specie di contrasto tra l’esigenza esatta dal Cristo
nei Vangeli - esigenza che sembra quasi scarnificare mediante la fede la vita
terrena dell’uomo – e l’esperienza concreta della vita della Chiesa,
specialmente quella della prima Chiesa (esperienza della quale abbiamo
notizia storica diretta e indiretta dagli scritti del Nuovo Testamento).
Ebbene, dalle notizie che abbiamo vediamo come, specie nella prima comunità
dei credenti, nonostante le numerose tribolazioni, brilli una vitalità serena
e lieta. La spiegazione non si può trovare se non nel fatto che essa è “commossa” da una grande speranza.
Inoltre l’impatto storico testimonia anche che evidentemente si tratta di una
speranza che non è di fatto “deludente”. Il motivo di questa reale e incisiva
forza per noi credenti è semplice: non ha una radice ideologico-terrena, ma è
fondata sulla fede e l’esperienza della verità del Cristo vivo e attivo nella
vita personale e comunitaria dei fedeli. In questa vita non vi è traccia di
fanatismo integralista, né di fuga dalla realtà riguardo alle responsabilità
civili e, tanto meno, di attese rivoluzionarie. Al contrario al credente
viene raccomandato di farsi carico di una vita socialmente e politicamente
corretta, anche quando il regime lo perseguita. Una cosa sola deve
testimoniare, oltre naturalmente la coerenza evangelica, ed è proprio il dono della speranza. Non si tratta
però di una testimonianza artefatta o enfatica, bensì di una semplice
dichiarazione di verità - a chi ne fa domanda - sullo stato del proprio cuore
e questo specialmente nelle situazioni di sofferenza (cf 1Pt3,14-16). La fede
in Colui che vincendo la morte ha dato il sicuro motivo di credibilità nella
sua Identità e nella sua Parola, unita al dono del Consolatore, lo Spirito
Santo, apre ad un senso nuovo della vita nel quale domina una Speranza più
forte di tutte le disperazioni. Termino con l’augurio che la luce della
Pasqua, così bene interpretata nella sequenza pasquale dal grido di gioia di
Maria Maddalena: “Cristo, mia speranza, è risorto”, ci consoli e ci aiuti a
ricomporre sempre meglio il quadro della nostra speranza per affrontare più
serenamente l’impegno e le difficoltà della vita in questo mondo. don Roberto (febbraio 2014) |
“Il
Signore ha visitato e redento il suo Popolo” (Lc1,68) Ho scelto questo titolo, prendendolo da una
frase evangelica che preannunciava il Natale del Cristo, e quindi in tono con
il tempo che stiamo vivendo, ma soprattutto perché simile al titolo della
lettera di indizione della Visita Pastorale, visita che riceveremo con gioia
nella nostra Parrocchia ai primi del mese di Giugno e che inizierà per tutte
le Parrocchie di Sesto e Calenzano, in modo ufficiale, con una celebrazione
liturgica il 18 Gennaio alle ore 16 nella Parrocchia di S. Giuseppe Artigiano
a Sesto Fiorentino. Sulla grazia di questo evento ritornerò sul prossimo
giornalino che precede la Benedizione delle Famiglie. Adesso, proprio in
vista della grande festa cristiana del Natale, festa che ha al suo centro la
Sacra Famiglia, prevale la premura di annunciare e riannunciare il valore
grande della famiglia, secondo lo stesso spirito del Santo Padre, Papa
Francesco, il quale, nella linea costante dell’insegnamento della Chiesa, ne
ha più volte riaffermato con forza, la sua bellezza e la sua essenziale necessità
per la vita della Chiesa e della società. La sovrabbondanza della
Misericordia di Dio per l’umanità viene a rinnovare nella celebrazione del
Natale, in maniera misteriosa ma vera, la sua occasione di grazia
purificatrice e rinnovatrice del mondo. Ancora una volta, nel suo ripetersi
nell’accadimento celebrativo, il Natale si ripropone secondo il medesimo
stile del suo verificarsi storico. Infatti il Salvatore del mondo non chiede
molto spazio nell’intrigo delle vicende, delle relazioni e delle costruzioni
umane più o meno giuste; chiede solo che l’uomo gli apra le porte del suo
cuore perché egli (uomo) possa ritrovare pienamente se stesso nella sua
dignità e nella grandezza della propria vocazione. Fu questo l’appello con il
quale il grande Papa S. Giovanni Paolo II iniziò il suo ministero: “Aprite le
porte a Cristo…non abbiate paura di Cristo”: La Misericordia di Dio si è
manifestata pienamente nella Croce di nostro Signore, ma dopo la sua Pasqua
ha rivelato il suo fulgore anche nell’immenso e inconcepibile mistero
dell’Incarnazione. Nel Natale contempliamo questa Misericordia che viene a
risanarci dall’errore, dal peccato e dalle ferite più profonde della vita
sociale. Tra le ferite più letali vi sono appunto quelle inferte alla
famiglia attaccata a livello mondiale e in modo singolare in molte culture.
La famiglia cristiana si costituisce come tale nel vincolo sacro del
matrimonio tra l’uomo e la donna ed essendo questo legame un patto d’amore
davanti a Dio, è per sua natura irreversibile. Con tutto il rispetto per le
coppie che convivono in situazione di irregolarità matrimoniale più o meno
sofferta, come minimo ministro del Signore, tengo a precisare che, là dove
sia possibile, sono tenute a regolarizzare la loro posizione pena l’aver
scelto la via dell’indifferenza rispetto all’azione misericordiosa di Dio. La
Misericordia Divina è prontissima a risanare e sostenere ogni più piccolo
passo verso la giustizia, ma si ritira di fronte all’opposizione del libero
arbitrio dell’uomo. La grazia di Dio, che non manca di visitarci in modo speciale nella solennità del Natale del Cristo, ci
spinga a rinnovarci in questo lavacro di Amore misericordioso per farci
risplendere di quella luce di amore e verità che non si compiace delle
approvazioni del mondo, ma neanche si deprime per le incomprensioni. Buon Natale nel
Signore. Don Roberto. (dicembre 2014) |
LA VISITA PASTORALE : EVENTO DI GRAZIA Tra qualche mese, esattamente mercoledì 3 e
sabato 6 giugno, l’Arcivescovo di Firenze, il Cardinale Giuseppe Betori, come
nostro pastore e guida, verrà a visitare la nostra Parrocchia. E’ questo un
momento privilegiato che la nostra comunità è chiamata a vivere a vent’anni
dalla precedente Visita pastorale del Cardinale Piovanelli, ed è una grazia,
che in qualche modo già si sta vivendo in unione con le altre Parrocchie del
Vicariato, dal momento dell’apertura della visita stessa il 18 gennaio. Nel
suo protrarsi fino alla chiusura, prevista per il 21 giugno, sono programmati
diversi importanti incontri specifici che il Vescovo avrà con i vari settori
della vita del vicariato (lavoro, scuola,..), ma che per noi diventerà
particolarmente partecipata nella sua presenza in Parrocchia. Non ho certo la
presunzione di poter racchiudere nelle poche righe di questo articoletto il
significato di questo evento di grazia per la vita di fede della nostra
comunità che considera come inviato stesso del Signore il suo Pastore che
viene a visitarci. Tuttavia cercherò di presentarne alcuni aspetti
fondamentali, con l’intento di rimanere nello spirito stesso della Lettera di
Indizione con la quale il Vescovo ha annunciato la Visita. In questa lettera
il Vescovo ricorda che fin dall’inizio, cioè fin dal tempo della prima
Chiesa, gli Apostoli stessi hanno sentito il bisogno di visitare le prime
comunità da loro stesse fondate. E’ quindi con questa medesima premura che
anch’egli, nella scia dei suoi predecessori, sarà in visita nelle nostre
parrocchie. La sua presenza in mezzo a noi è dunque segno vivo della presenza
di Gesù Cristo, sommo e unico Pastore della Chiesa, che viene a visitarci. Lo
scopo principale della visita è quello
di ravvivare e rinsaldare nelle nostre comunità la fede in Cristo, unico
rivelatore del Padre e unico salvatore del mondo, consolidando in esse la
consapevolezza dell’infinito Amore misericordioso di Dio per ogni uomo.
Rafforzati così nell’autocoscienza della capacità intrinseca che il Vangelo
ha di rinnovare l’uomo, guarendolo dalle sue fragilità – e di rinnovare di
conseguenza anche la società -, siamo chiamati a testimoniare con la parola,
ma soprattutto con l’impegno nella nostra vita, questa premura che l’amore di
Dio ha per ogni uomo; un amore che si manifesta nell’incontro con Cristo
risorto e vivo presente nella Chiesa. Tutto ciò ci deve rendere maggiormente
consapevoli del valore della testimonianza della fede, non tanto in semplici
formulazioni astratte, quanto nel farsi sensibili e nel farsi carico dei
problemi concreti dell’esistenza umana in tutte le sue dimensioni, a partire
dalla famiglia, dal lavoro, ecc. Questo non solo a livello personale, ma
anche come comunità unita e compatta al servizio del Signore che testimonia
appunto con il suo impegno, particolarmente attento ai più deboli e
bisognosi, la speranza del rinnovamento dell’uomo e della società per mezzo
di Cristo e del suo Vangelo. Infine il Vescovo ci ricorda che questo
rinnovato slancio missionario di ogni Comunità deve sempre partire
dall’autocoscienza che la forza della sua coerenza e la luce del suo agire
hanno la sorgente nella Parola Divina e nell’Eucaristia, centro motore della
vita della Chiesa. Termino ricordando che siamo ormai prossimi alla
Quaresima, tempo prezioso per riflettere su come il Signore ci offre una
sempre rinnovata possibilità di valorizzare al massimo la nostra vita con
l’amore verso di Lui e i fratelli. Il mio augurio è dunque che la Pasqua del
Cristo, con la luce della sua Risurrezione, ravvivi in noi il vigore della
speranza e ci renda più consapevoli della altezza e della bellezza della
nostra vocazione cristiana. Santa Pasqua a
tutti. Don Roberto. (febbraio 2015) |
NATALE: AURORA DELLA GRANDE MISERICORDIA Anche quest’anno, in sintonia con l’anno
giubilare indetto da Papa Francesco, desidero dedicare due righe per un
piccolo contributo di pensiero nella direzione della speranza. Credo che sia
opinione quasi comune che non sono né le tecnologie, né le scienze in quanto
tali a “salvarci”; nel senso che queste attività umane, pur nella loro
importanza e bellezza, non hanno in sé la capacità di rispondere alle domande
più profonde del cuore umano. E nemmeno da sole possono migliorare la
“qualità” delle relazioni umane, che pure sono elementi preziosi e
fondamentali della costituzione dell’edificio familiare, sociale, nazionale e
internazionale, edificio quest’ultimo che è alla base dello stesso equilibrio
mondiale. Infatti non si può pensare di realizzare una costruzione piccola o
grande che sia con del materiale incoerente (che non sta insieme). Il Natale
ci ripropone il microcosmo del Presepe allargato all’infanzia di Gesù; in
questo microcosmo ritroviamo in nuce tutte quelle ferite che da sempre
segnano l’umanità: povertà, emarginazione, oppressione-terrorismo (Erode),
disagio, trasmigrazione, ferite che hanno segnato lo stesso Cristo fin dal
suo ingresso nel mondo. Però la garanzia che ci viene dalla nostra Fede
Cristiana sull’identità di quel Bambino, ci apre ad una grande speranza
perché proprio quelle ferite diventano espressione visibile dell’immenso
Amore misericordioso di Dio. Infatti il Padre, mandando suo Figlio nel mondo,
ha voluto consegnarci una icona vivente di questo Amore, icona che si esprime
con tutta l’esistenza del Cristo: dalla sua nascita alla sua morte in croce.
Su questo sfondo prende singolare valore l’affermazione evangelica “l’avete fatto a Me” come centro di
unità dell’Amore divino e fraterno. Infatti, fin dall’inizio è come se il
Signore ci dicesse: Io, che ho il potere di dare e togliere la vita, mi
lascio crocifiggere con voi, in voi e per voi e lascio che queste
stigmate si ingigantiscano a misura divina sulla croce fino a
togliermi la vita per darvi la vita. Perché, come Lui stesso ci dice: “E’
lo Spirito che dà la vita”, e se Gesù con la sua vita e il suo
insegnamento è stato il Maestro, con la sua morte ci ha donato lo Spirito il
quale, mediante la Fede, ci rende capaci di ascoltare e mettere in pratica il
suo insegnamento, ovvero ci riabilita alla dignità di figli e cittadini del
Regno; di quel Regno che attraverso i suoi discepoli è già presente nel mondo
come lievito di giustizia, di pace e di Amore. Questo è il progetto di Dio
per attirare a se i cuori e risanarli dalle ferite del peccato e
dell’ignoranza. Siccome questa opera è voluta e sostenuta da Lui, il male
della crudeltà, dell’ingiustizia e della violenza, farà paura, ma non
prevarrà. Concludo dicendo che, se la croce del Cristo ci incute timore,
perché denuncia in modo cruento e doloroso il grande dramma della salvezza
umana, la tenerezza del Presepe operi
in noi il convincimento che quella croce, che pure è già presente nel
Presepe, è espressione di tutta la tenerezza dell’Amore misericordioso di
Dio, il quale per donarci la salvezza, altro non chiede che il nostro amore
fiducioso e fedele. Auguro a tutti un buon Natale, come rinascita con Cristo
nel suo Amore. Buon Natale nel
Signore. Don Roberto. (novembre 2015) |
La Misericordia di Dio: mistero di gaudio Grazie all’Anno Giubilare indetto da Papa Francesco, la parola divina
che più risuona quest’anno nella vita della Chiesa è la parola misericordia. Sicuramente quello che
possiamo sperimentare tutti è che la Parola di Dio, specie quella evangelica,
nel contatto con la semplice vita di fede del credente - ma anche con la
stessa storia umana –ha il potere di rispondere alle esigenze sempre nuove,
sia personali, sia delle culture dove si incarna, per guidare e sorreggere il
cammino del Popolo di Dio fino alla sua mèta. Senza ovviamente pretendere di
aggiungere nulla a quanto hanno detto nel loro magistero i Papi S. Giovanni
Paolo II e Francesco, è bello riflettere su questa “incarnazione” variegata
della realtà della misericordia divina nella Chiesa vista attraverso la vita
dei Santi. Anche con un semplice flash in riferimento ai Santi più recenti,
appare subito la multiforme espressione dell’attuarsi storico di questa
realtà. Lo vediamo bene nella vita della B. Madre Teresa, che sarà
canonizzata quest’anno a Settembre; donna di estrema donazione nel servizio
caritatevole agli ultimi e pure anche donna di grande preghiera e sacrificio.
Nelle claustrali, come S. Teresina di Lisieux e S. Benedetta della Croce
(Edith Stein). Nei martiri della carità, come Padre S. Massimiliano Kolbe,
morto nel campo di sterminio di Auschwitz al posto di un padre di famiglia.
Nei mistici, come S. Faustina Kowalska “profetessa” del volto misericordioso
di Dio ed eletta dal Papa per l’anno giubilare proprio tra il numero dei
testimoni della misericordia di Dio. E, sempre tra questi, vogliamo ricordare
in modo speciale S. Pio da Pietrelcina, al quale ci sentiamo particolarmente
legati a causa del forte vincolo di grazia che unisce questo grande Santo
alla nostra Comunità parrocchiale. Infatti, non solo perché si deve a lui, e
ai suoi collaboratori, la realizzazione della nostra chiesa parrocchiale, ma
anche al fatto che ha voluto espressamente e deliberatamente associarsi
all’intercessione della Madonna per la cura provvidente della nostra Comunità.
In lui la misericordia di Dio si configura come luce di verità sulla realtà
della condizione umana nella “nudità” della propria coscienza da una parte e
nell’abbraccio paterno e amoroso di Dio dall’altra. Tutto ciò specialmente
nel sacramento della confessione, come sacramento della guarigione, ma anche
nella direzione spirituale delle anime. Inoltre il volto misericordioso di
Dio traspare in questo Santo in modo singolare nella generosa partecipazione
alle sofferenze del Cristo per la redenzione del mondo. Grandi conversioni a
non finire, a volte anche con non piccoli drammi di cammini faticosi per
uscire dalla schiavitù del peccato, ma che sempre si sono conclusi
nell’esultanza gioiosa di una vita nuova ritrovata. Questi alcuni dei tanti
volti impensati, e mai propriamente intesi e conosciuti, della medesima e
unica Misericordia divina che cerca ogni uomo per renderlo amorevolmente
consapevole del bisogno di essere salvato. Fatto questo purtroppo tanto
ostico alla mentalità moderna, che non si sente bisognosa di salvezza, o lo
sente solo quando sperimenta l’amarezza e la delusione della corsa verso mete
effimere, mete che finiscono per superficializzare e deteriorare
completamente o quasi la propria vita. E’ questo a mio avviso il pericolo più
forte della cultura moderna: il rischio di cancellare, con l’assenza di una
adeguata vita interiore, lo sviluppo della dimensione spirituale dell’uomo,
dimensione che pure è il costitutivo essenziale e specifico della stessa
natura umana. Con cuore sincero e riconoscente per la vostra accoglienza,
auguro a tutti una serena Pasqua di risurrezione nella luce del Cristo,
nostra speranza per un mondo nuovo. Santa Pasqua a
tutti. Don Roberto. (febbraio
2016) |
NATALE : un inno alla
speranza Siamo in Avvento, il tempo che per lunga tradizione
noi Cristiani viviamo come tempo dell’ “attesa”, attesa di un evento
destinato a ravvivare in noi la speranza: l’affiorare della Luce Divina nel
mondo. Propongo come sempre un piccolo pensiero prendendo spunto dalla
narrazione evangelica riguardo ai primi personaggi che, dopo la B.V. Maria e
il suo Santo sposo Giuseppe, hanno vissuto in modo singolare, immediato ma
anche intenso, l’avvento, cioè i pastori. Per loro si aprì il cielo e a loro,
che erano disposti ad accoglierlo con semplicità, fu dato l’annuncio
angelico: “vi annuncio una grande
gioia, che sarà di tutto il popolo: (…) è nato per voi un Salvatore che è
Cristo Signore”. Un annuncio quanto mai unico e inatteso per il suo
contenuto e anche per la sua forma, forma che destò in loro stupore e incanto
per la bellezza. Essi credettero e si mossero con solerzia secondo le
indicazioni angeliche, trovarono, videro e si accese in loro la fiamma più
bella ed essenziale per la vita: la speranza. Sperarono che stesse nascendo
quell’era nuova, l’era messianica profetizzata dagli antichi Profeti come era
di giustizia, di pace e di fratellanza. Non è certo un caso che il Cristo,
entrando nel mondo, abbia voluto fin dal suo ingresso contrassegnare così ciò
che era venuto a portare, cioè proprio quello che era stato detto dai
medesimi angeli: “Gloria a Dio nel più
alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama”. Come non
considerare bene questo fatto, cioè che Dio, mandando il suo Figlio nel
mondo, abbia aperto i cieli per infondere nel cuore umano la speranza?!
Infatti la speranza è un costitutivo essenziale all’esistenza umana. Senza la
speranza manca la spinta motrice per vivere e la vita diventa flebile per
astenia della motivazione. Del resto si può constatare in modo indiretto
quanto sia importante la speranza per ogni uomo, guardando come manipolandola
si sono potute creare devianze ideologiche che hanno prodotto perfino milioni
di morti. E purtroppo anche oggi non mancano queste realtà che portano
tribolazione e morte. Una delle frasi “ad effetto” che papa Francesco ha
detto ai giovani è: “Non lasciatevi rubare la speranza”. Le nuove generazioni
hanno diritto di sperare. Questo significa vivere un sano ottimismo e con il
nostro impegno dobbiamo aprir loro prospettive di un mondo migliore, più
giusto e più fraterno; ma certamente vanno anche formate a sperare bene. Il
sano realismo di chi ha la maturità dell’esperienza della vita sa quanto sono
deboli e incerte le attuazioni e quanto grandi possono essere le delusioni di
chi spera troppo nelle realtà terrene. Non è un caso che quella speranza dei
pastori venga dall’Alto e non dagli uomini. Non è annuncio di successi, di
vittorie, di conquiste, di domini, di ricchezze, ecc. , no, è poter rendere
Gloria a Dio per la sua misericordia,
e godere della pace del
cuore perché fin dall’ingresso nel mondo Egli ci ha mostrato quanto ci
ama. Questo annuncio doveva essere un segno appunto di quella speranza che
nasce dalla fede nel Dio - Amore che è più forte del mondo del male. Con la
pace nel cuore che il buon Dio ci dona mediante la fede dobbiamo impegnarci e
pregare perché venga il suo Regno di amore di pace e di giustizia. E’ Questo
l’inno alla speranza che dal cielo si rispecchia nei volti della Sacra
famiglia e da quell’angolo scomodo, buio e freddo della grotta di Betlemme,
si irradia come luce di speranza viva per il mondo. Termino con l’augurio per
tutti noi che quella luce raggiunga ovunque e sempre i nostri cuori. Buon Natale nel
Signore. Don Roberto. (dicembre 2016) |
La speranza
cristiana si radica in Cristo, anzi è Cristo. L’antica sequenza pasquale che
recitiamo per Pasqua, fa dire a Maria Maddalena, dopo l’incontro con Cristo
risorto al sepolcro: “Cristo mia speranza è risorto”. La vittoria di Gesù
sulla morte oltre al valore per sé immenso diventa anche il segno della
vittoria mediante la fede in Lui su tutte le forme di disperazione. Ciò non
toglie che la fede del Popolo di Dio nei secoli abbia sempre goduto del
conforto, e quindi anche della speranza, in Colei che più da vicino ha
cooperato alla redenzione del Figlio e che sempre si è presa premura di far
sentire la sua vicinanza alla nostra condizione terrena. Così possiamo
contemplarla doppiamente come Madre della speranza: in quanto madre del
Figlio (nostra speranza) e madre, per volontà di Lui, di noi figli rigenerati
dal suo Sangue. E quale figlio non può non contare sulla cura materna di una
madre così attenta e premurosa del nostro bene vero e pieno? Anche se lo
spazio è molto ridotto mi soffermo volentieri a parlare di Lei in modo
particolare quest’anno, nel quale ricorre il centenario della prima
apparizione ai tre pastorelli avvenuta a Fatima il 13 Maggio 1917. Premesso
che queste apparizioni non sono oggetto di fede, credo però che sarebbe
oltremodo difficile annullare la testimonianza eroica di questi tre
bambini di cui due, Francesco e la sorellina Giacinta, già beatificati da S.
Giovanni Paolo II il 13 Maggio del 2000. All’epoca delle apparizioni Lucia,
la più grande, aveva 10 anni; Francesco 9 e Giacinta 8. Resero testimonianza
non solo non cedendo alle intimidazioni molto grandi, specie per la loro età,
ma anche su come affrontarono serenamente la morte poco dopo le apparizioni,
come del resto la S. Vergine li aveva preavvertiti. Infatti alla fine dell’anno
dopo, cioè nel dicembre del ʹ18 si ammalarono entrambi di
influenza spagnola e Francesco morì nell’Aprile del ʹ19 dopo aver fatto la prima Comunione. Giacinta invece morì nel
dicembre del ʹ20. Anche Lucia, che doveva rimanere in vita per un preciso fine
“celeste”, ha reso ottima testimonianza con la sua vita passata quasi tutta
in clausura dove è morta novantottenne nel 2005, dopo aver avuto colloqui
privati con vescovi e papi tra cui, l’ultimo S. Giovanni Paolo II. Lontana da
me è l’idea di commentare il contenuto del messaggio dato ai veggenti, anche
perché penso – ma non sono certo solo a pensarlo – essere almeno in parte,
“sotto sigillo”, cioè non interamente comprensibile se non dopo che gli
eventi sono tutti accaduti. Però ciò che è certo, come ognuno che lo voglia
leggere ( sul Web digitare : Vaticano - messaggio Fatima) potrà
constatare, è che si tratta di un appello accorato della S. Vergine perché il
mondo non continui a camminare come se Dio non ci fosse o fosse indifferente
alla sorte umana. Dio c’è ed è onnisciente; nella sua misericordia è pronto a riconciliare sempre a Sé il
singolo come la nazione e l’intera umanità, solo che l’uomo desista dal male
e senta il bisogno di questa riconciliazione e si decida per il bene. Infatti
da questo messaggio emerge anche la drammatica capacità che ha l’uomo,
proprio paradossalmente per la sua grandezza, di resistere fino in fondo alla
misericordia di Dio, procurando danno al bene comune e rischiando il male
eterno a se stesso. Il nostro tempo è migliore o peggiore di quello delle apparizioni? Io non lo so, so
soltanto quello che vediamo tutti, molta gente ha dimenticato i valori
cristiani di riferimento e non sa - o non vuole - distinguere il bene dal
male e forse un senso di freddezza rischia di permeare la vita di tutti noi.
Facciamo tesoro di questa premura materna per camminare rettamente e
speditamente nella via tracciata da Cristo Luce del mondo. E il mio augurio è
proprio questo, cioè che la luce della Pasqua, che è luce di speranza e di
gioia nello Spirito Santo, sia con tutti voi. Santa Pasqua a tutti. Don Roberto ( febbraio 2017) |
Anche
quest’anno, in preparazione alla visita delle famiglie per la benedizione
pasquale, mi permetto di esprimere un breve pensiero su un tema penso caro a
tutti che è quello della pace; naturalmente nel fare questo mi attengo al mio
punto divista di parroco e senza grandi pretese di autorevolezza riguardo a
competenza socio politica. Siamo ancora spesso turbati da continui rumori di
guerre e violenze che flagellano l’umanità, addirittura si riaprono scenari
apocalittici di guerre nucleari che sembravano essersi affievoliti da
quarant’anni! Il primo pensiero naturalmente va a quella che è la
corresponsabilità umana nel gestire al meglio le conflittualità cercando di
eliminarne le cause. Del resto il progresso della sensibilità sociale e la
tecnologia avanzata della comunicazione ci portano a guardare all’umanità
stessa come ad una intera grande famiglia. Forse è l’ingiustizia quella che
appare come la prima tra le cause dei conflitti, ma di fatto scorgiamo bene
che le ragioni conflittuali sono tante, non ultime quelle di natura etnica e
ideologica. A chi come me che crede che la pace non sia solo frutto della
giustizia e degli sforzi umani – sebbene pur essi necessari per superare le
varie cause di divisione -, ma che sia anche dono di Colui che solo regge le
sorti della storia, è un invito a pregare, magari ricorrendo anche
all’intercessione di Colei che invochiamo come Regina della pace, perché
questo dono ci sia elargito con abbondanza. Premesso questo, mi permetto
anche di sottolineare ciò che è sotto gli occhi di tutti ed è la crescita del
livello di tensione e di violenza perfino nel mondo giovanile. È necessario
che tutti, a partire da coloro che hanno più responsabilità educative -
compreso il sottoscritto –, ci prendiamo cura, come più volte richiamato da Papa
Francesco, ad educare al rispetto della diversità, ma anche al contenimento
delle pulsioni di violenza attiva e
reattiva, di sopraffazione e di dominio, di autoesaltazione e di umiliazione,
che in forma proporzionata, magari anche velata, possono manifestarsi fin
dalla più giovane età. In questo senso penso sia quanto mai opportuno e
bello, sempre citando Papa Francesco, educare alla “vita buona del
Vangelo”. Sappiamo tutti quanto questo
impegno di educatori richieda discrezione, pazienza e lungimiranza, ma ci
aiuta in questo il pensiero che ciò produce frutti buoni non solo
direttamente per gli interessati, bensì anche per la crescita della coscienza
civile nel rispetto e produzione del bene comune alleviando le stesse
tensioni sociali. Termino con il semplice ma toccante saluto francescano
augurando a tutti “pace e bene”. Santa Pasqua a
tutti. Don Roberto. (febbraio 2018) |
PASQUA 2019 LA LUCE DELLA SPERANZA CRISTIANA La luce
della speranza dei discepoli della “prima ora” del Signore era, ma anche oggi
è, più forte del buio della morte perché Cristo ha vinto non solo la
regina-madre della disperazione, che è la morte, ma anche tutto ciò che
mortifica e svilisce la vita umana. Sappiamo infatti che secondo il Vangelo e
la dottrina consolidata dell’intera cristianità, Gesù con la sua passione e
morte ha preso su di Sé il peccato del mondo. È questa l’identità propria di
Salvatore del mondo riconosciuta e proclamata dal suo precursore, S. Giovanni
Battista, che quando l’ha visto venirgli incontro, ha detto: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che
toglie il peccato del mondo”. Ma ciò che mi premeva evidenziare, in
questa piccola riflessione, è che il Cristo con quel tipo di morte ha voluto
sperimentare, mediante l’abbandono totale alla completa solitudine da parte
del Padre, degli stessi discepoli e l’angoscia mortale dell’incomprensione
del mondo, tutta quella disperazione da cui viene assalito l’uomo in preda
alle acute prove della vita. Tutto ciò per prendere su di Sé anche la
disperazione del mondo e vincerla con
il “segno dei segni”: la sua risurrezione.
Infatti la risurrezione di Gesù, oltreché dare credibilità alla sua Persona e
al suo insegnamento, ha inondato di speranza la vita di coloro che gli hanno
creduto fin dal principio e rimane ancora attuale come invito per ogni uomo.
È come se la potenza della risurrezione, ribaltando la pesante pietra
tombale, avesse permesso alla luce di questo evento di irraggiarsi dal sepolcro
vuoto a tutta la storia umana come luce di speranza, cioè di sostegno e di
conforto contro tutti i moti di delusione, sconforto e disperazione che in
maniera più o meno marcata, prima o poi inevitabilmente attraversano
l’esperienza della nostra vita terrena. Questo conforto della speranza
cristiana ce lo annuncia, oltre la reiterata testimonianza umana, Colui che
“tutto può”: “Sono venuto nel mondo
perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. So bene che queste
parole possono sembrare utopiche per chi non crede, ma so anche quanta
efficacia di fatto hanno nella vita dei veri credenti. Auguro a ciascuno di noi – proprio
nell’occasione della S. Pasqua - che questa luce si irradi sempre più nei
nostri cuori. Don Roberto. (febbraio 2019) |
PASQUA 2020
UNA GRANDE SPERANZA: L’AMORE
È PIÙ FORTE DELLA MORTE
Ho scelto questo titolo al piccolo pensiero
con cui puntualmente, ogni anno, trasmetto il programma della benedizione delle
famiglie in vista della Pasqua. Credo infatti che questo sia uno dei messaggi
più belli che ci provengono dalla grande festa che per noi, credenti in Colui
che ha vinto la morte, si sprigiona dalla luce della sua Pasqua per illuminare
ogni uomo. Se il culmine dell’Amore di Dio si è rivelato nel Crocifisso che
effonde il suo Sangue divino per cancellare il peccato del mondo, nella sua risurrezione
Egli manifesta chiaramente la vittoria sulla morte e le cose che le
appartengono: divisioni, fazioni, odi, guerre, violenze, ingiustizie, fame,
degrado…, queste non hanno l’ultima parola. L’ultima Parola è il Verbo divino,
che entrato con l’Incarnazione nello spazio e nel tempo, ora risorgendo, li
“permea” anche con la sua Umanità per essere l’Emmanuele, il “Dio con noi”,
annunciato dai Profeti. Nella misura che noi suoi fedeli gli facciamo spazio
nel nostro cuore e ci impegniamo nello sforzo della coerenza all’annuncio
evangelico, diventiamo portatori dei frutti dello Spirito: “amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza,
bontà, fedeltà, dominio di sé” (Gal5,22), lievito del Regno di pace, amore
e giustizia voluto da Dio e necessario antidoto al male, che pure esce dal
cuore umano malato. Infatti il Figlio di Dio è venuto nel mondo, come Egli
stesso dichiara, perché abbiamo la vita e
l’abbiamo in abbondanza. Termino con un argomento delicatissimo che non si
può certo esaurire in due righe, ma che sento il dovere di farne breve cenno.
Ogni epoca ha presentato e presenta scenari anche di inquietudine e di lotta e
per ogni tempo il Vangelo chiede di essere incarnato, specie nella dimensione
della carità, in queste realtà mutevoli e spesso imprevedibili dove, insieme a
dei valori, serpeggiano anche disvalori che ipnotizzano con la seduzione,
ovvero polarizzano in tensioni opposte. Cose queste che deprimono e mortificano
la vita già in questo mondo. Tante concause, anche positive, hanno fatto sì che
la nostra cultura sia diventata composita e multiforme quanto anche all’aspetto
religioso. Un motivo questo di invito semplice, ma necessario, a tenere saldo
il proprio credo, non certo per alterigia e, tanto meno, di mancanza di
rispetto o incompatibilità di vita civica per altre fedi, ma per il semplice
fatto che il venir meno per compromessi di relativismo o sincretismo religioso
svilisce il proprio atto di fede nelle stesse singole Religioni. Positivo
invece è il dialogo sulla convivenza civica nazionale e internazionale onde
nessuno discrimini o faccia guerra in nome di Dio. Concludo con l’augurio più
caro al mio animo che ognuno di noi trovi in Cristo Gesù, morto e risorto unico
salvatore del mondo, la sorgente più grande della speranza.
Don Roberto
(febbraio
2020)
BEATI
GLI OPERATORI DI PACE Dopo quasi tre
anni di “quasi assedio” prodotto dalla pandemia, sono lieto di poter
riprendere contatto con le famiglie di questa Parrocchia. Per l’occasione
come di consueto vi invio il programma delle benedizioni, accompagnato da una
breve riflessione sul tema di grande attualità che è quello della pace,
riflessione che non ha alcuna pretesa di singolare competenza, ma solo quella
di una particolare premura così come scaturisce dalla risonanza dei numerosi
appelli di Papa Francesco. Purtroppo siamo ancora turbati dai continui rumori
di guerra, accompagnati anche da visioni tragiche di morte e sofferenze
grandi; violenze che flagellano l’umanità e addirittura aprono scenari
apocalittici di guerre nucleari. Il primo pensiero naturalmente va alla
corresponsabilità umana nel gestire al meglio le ragioni della conflittualità
cercando di moderarne e, nei limiti del possibile, eliminarne le cause. Forse
l’ingiustizia è quella che appare come la causa prima dei conflitti, ma se
guardiamo bene, le ragioni conflittuali sono tante e certamente non ultime
quelle di natura ideologica ed etnica. In questo senso a chi, come me, crede
che la pace non sia solo frutto di un impegno umano in vista della giustizia,
pur esso impellente e necessario – raccomandato anche dal Vangelo stesso “Beati gli operatori pace”-, ma che sia
anche dono di Colui che infine regge quelle sorti del mondo, purtroppo
contorte dalla cattiveria umana, allora incombe anche il dovere di pregare
per questa ragione, magari ricorrendo all’intercessione di Colei che
invochiamo come “Regina della pace”. In ultimo desidero notare anche che, se
è vero che le “macro-tensioni” internazionali possono flagellare in maniera
tremenda la vita umana, non poco in questa direzione agisce anche il
serpeggiare delle “micro-tensioni” a tutti i livelli di vita comunitaria,
dalla famiglia ai vari organismi di vita associata. Per questo è necessario
per noi credenti ritornare ai valori cristiani fondanti i quali - per usare
una espressione di Papa Francesco – portano alla buona vita del Vangelo.
Termino con il semplice e sincero saluto francescano augurando a tutti “pace e bene”. Don Roberto (febbraio
2023) |
IL DIO DELLA PACE Gentili
signori, eccomi a voi propenso a svolgere il mio servizio pastorale di
portare la Benedizione Pasquale nelle vostre case. Purtroppo sono ben quattro
anni che non ho potuto svolgere per intero questo ministero, quest’anno spero
di potervi riuscire, anche perché per me è una buona occasione per avere un
incontro domiciliare che, se pure in genere è breve, però è sufficiente a
mantenermi in contatto con la realtà di questa Parrocchia. Nell’occasione che
ho di scrivere questo breve pensiero desidero esprimere il desiderio,
desiderio che poi credo sia di tutti, ed è quello di vedere tramontare i
conflitti di ogni genere e livello che tormentano la nostra storia attuale, e
per questo invoco come bene supremo la pace da Chi solo può ispirare nei
cuori pensieri, desideri e progetti di pace. Anche questo umile e infimo
servizio desidererei che fosse un piccolo messaggio e invito all’apertura del
cuore al “Principe della pace” che a prezzo del suo sangue ha nella Pasqua
riconciliato il mondo con Dio e ha infuso negli uomini di buona volontà la
capacità di essere lievito del suo Regno di pace. Spero anche che questo
servizio sia di gradimento a tutti; comunque la benedizione ovviamente non si
impone perché, come tutte le realtà spirituali che vengono da Dio, sono
grazie che discendono dal suo Amore e l’amore non si impone, ma solo si
propone e trova piena corrispondenza di grazia solo nella benevola
accoglienza. Coerentemente con questo stile e al fine di non recare disturbo
a chi non è interessato, chiedo la cortesia di esporre l’avviso “no
benedizione”. Grazie. Il Dio della pace vi conceda ogni grazia e pace nella
fede. Un caro augurio di una serena Pasqua a tutti. Don Roberto. (febbraio
2024) |
LA SPERANZA CHE NON DELUDE Come
di consueto anche quest’anno insieme al programma delle benedizioni delle
famiglie allego un breve pensiero che ho scelto, in conformità al tema dato
da Papa Francesco per il Giubileo, cioè sull’argomento della speranza, tema
arduo e importante quanto delicato. Naturalmente non è – ne potrebbe essere -
sia per i limiti dell’autore, sia per la sua brevità, una trattazione dotta
di teologia e quanto meno di filosofia – ma una semplice esposizione di
considerazioni fatte alla luce di una età ormai senile e di quaranta anni di
sacerdozio. Non è certamente fuori luogo descrivere la speranza in generale
come quel sentimento fatto di desiderio in tensione verso un probabile bene
da conseguire. Questo bene in senso positivo sarà poi una meta, un evento,
ecc., comunque una realtà almeno in parte conosciuta o immaginata. In senso
negativo potrà essere la fine di una situazione di sofferenza o di fatica,
come anche di prova da superare, ecc. Appare così chiaramente come la
speranza si riveli come la “forza motrice” della vita a partire proprio dalle
cose più semplici. Però, allo scopo di evitare una delusione più o meno
forte, mi sembra opportuno fare almeno due rilievi importanti, che peraltro
sono ben conosciuti da tutti. Il primo è evitare gli eccessi, a volte perfino
euforici, del bene aspettato. Il secondo è che tale bene sarebbe molto
mortificato se fosse conquistato in modo egoistico ed egocentrico,
soprattutto in un clima di discordia o a discapito della pace interiore e
della concordia, il tutto poi pure nella consapevolezza che, come ci ricorda
S. Paolo, “passa la scena di questo
mondo” in un continuo e inesorabile divenire. Ho messo in rilievo questo
non tanto per gettare un’ombra di pessimismo sulla speranza fondata sul
conseguimento dei beni di questo mondo, quanto per avere una visione sapiente
e realista delle prospettive della vita umana e come – per contro – possano
essere dannose le assolutizzazioni specie quando si polarizzano a livello
collettivo, diventando facilmente ideologie più o meno dirompenti nella
storia del mondo. Tutto ciò invita ad una sapiente relativizzazione delle
speranze terrene, senza peraltro disprezzarle, ma semplicemente a contenerle
sapendo come dice S. Agostino che il cuore umano è fatto per Dio, cioè per il
Bene infinito, e che quindi nessun bene, anche il più bello e buono, può
estinguere questa sete. Ecco allora comparire la vera grande Speranza
cristiana, quella – unica – che, come dice S. Paolo, non delude perché
l’Amore di Dio, riversato dallo Spirito Santo nel nostro cuore, è come
l’abbraccio consolante di Dio in Cristo specie per i più tribolati e che
ripongono in Lui la loro fiducia. Ecco allora il sano ottimismo cristiano
fondato sulla Speranza che non delude e che non distrugge le piccole mete
umane, ma che è dono dello Spirito dato al credente come sfondo e rete di
salvezza dalle disperazioni. Don Roberto (febbraio 2025) |
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