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Il testamento spirituale di Shahbaz Bhatti ministro pakistano per le minoranze, assassinato
il 3 marzo scorso a Islamabad |
“Il mio nome è Shahbaz Bhatti. Sono
nato in una famiglia cattolica. Mio padre, insegnante in pensione, e mia
madre, casalinga, mi hanno educato secondo i valori
cristiani e gli insegnamenti della Bibbia, che hanno influenzato la mia
infanzia. Fin da
bambino ero solito andare in chiesa e trovare profonda ispirazione negli
insegnamenti, nel sacrificio, e nella crocifissione di Gesù. Fu l’amore di
Gesù che mi indusse ad offrire i miei servizi alla
Chiesa. Le spaventose condizioni in cui versavano i cristiani del Pakistan mi
sconvolsero. Ricordo un venerdì di Pasqua quando avevo solo tredici
anni: ascoltai un sermone sul sacrificio di Gesù per la nostra
redenzione e per la salvezza del mondo. E pensai di corrispondere a quel suo
amore donando amore ai nostri fratelli e sorelle,
ponendomi al servizio dei cristiani, specialmente dei poveri, dei bisognosi e
dei perseguitati che vivono in questo paese islamico. Mi è
stato richiesto di porre fine alla mia battaglia, ma io ho sempre rifiutato,
persino a rischio della mia stessa vita. Lamia
risposta è sempre stata la stessa. Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solo un posto ai piedi
di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per
me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte in me
che mi considererei privilegiato qualora — in questo
mio battagliero sforzo di aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani
perseguitati del Pakistan — Gesù volesse accettare il sacrificio della mia
vita. Voglio
vivere per Cristo e per Lui voglio morire. Non provo alcuna paura in questo
paese. Molte volte gli estremisti hanno desiderato uccidermi, imprigionarmi;
mi hanno minacciato, perseguitato e hanno
terrorizzato la mia famiglia. Io dico che, finché avrò vita, fino al mio
ultimo respiro, continuerò a servire Gesù e questa povera, sofferente
umanità, i cristiani, i bisognosi, i poveri. Credo
che i cristiani del mondo che hanno teso la mano ai musulmani colpiti dalla
tragedia del terremoto del 2005 abbiano costruito
dei ponti di solidarietà, d’amore, di comprensione, di cooperazione e di
tolleranza tra le due religioni. Se tali sforzi continueranno
sono convinto che riusciremo a vincere i cuori e le menti degli estremisti.
Ciò produrrà un cambiamento in positivo: le genti non si odieranno, non
uccideranno nel nome della religione, ma si ameranno le une le altre,
porteranno armonia, coltiveranno la pace e la comprensione in questa regione. Credo
che i bisognosi, i poveri, gli orfani qualunque sia
la loro religione vadano considerati innanzitutto come esseri umani.
Penso che quelle persone siano parte del mio corpo in Cristo, che siano la
parte perseguitata e bisognosa del corpo di Cristo. Se noi
portiamo a termine questa missione, allora ci saremo guadagnati un posto ai
piedi di Gesù ed io potrò guardarLo senza provare
vergogna”. |