LA MALDICENZA |
Un fatto della vita di oggi"Lucio, ma che
roba! Hai sentito che cosa ha fatto ieri quello là?". "No. Che è
successo?". E subito incomincia il pettegolezzo, trasformandosi in
maldicenza, veloce come una miccia. Appena mezza giornata dopo, tutta la
strada ne parlava. L’uomo oggetto della mormorazione cattiva passò di bocca
in bocca e divenne l’argomento del giorno. Risultato: fu costretto a cambiare
quartiere. Non si trovava più in condizioni tali da abitare nella stessa
strada di sempre. E quello che dicevano di lui non era neppure vero. Nessuno,
anche gli intimi amici, si preoccupò di sapere la verità tradendo la sua
fiducia e dimostrandosi sleali nei suoi confronti. Si preoccuparono solo di
raccontare ciò che avevano sentito. Un fatto della vita del tempo della Bibbia"Di Paolo di
Tarso, non voglio neppure sentir parlare! Che persona poco seria! Dice sì e
no allo stesso tempo". Così devono aver pensato certi cristiani di
Corinto (2^ Cor.1,17 e 10,10). San Paolo fu portato per bocca da tutto il
popolo fino ad arrivare alle orecchie della Comunità di Corinto. Tanto che
scatenarono molteplici controversie. E, tra l’altro, non era proprio vero
quello che dicevano di lui. Scrisse così la 2^ lettera ai Corinzi. La stessa cosa
successe a Gesù. Dissero di lui tutto il male possibile: "Ha il diavolo
in corpo"(Mc.3,22); "Ha perso la testa" (Mc.3,21);
"Sobilla il popolo" (Gv.7,12); "E’ peccatore" (Gv.9,25). Ascoltiamo cosa ha detto Gesù, al riguardo, in Matteo
7,1-5 e 7,12 1- Non
erigetevi a giudici degli altri, perché Dio non sottoponga voi a giudizio. 2- Come voi
giudicate, Dio giudicherà voi; con la misura che avete usato per pesare gli
altri, egli peserà voi. 3- Perché osservi
la pagliuzza che è nell’occhio del fratello e non ti accorgi della trave che
è nel tuo? 4- Come
puoi dire al fratello: lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, se
proprio tu hai una trave nel tuo? 5-
Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio, allora vedrai chiaro e potrai
togliere la pagliuzza dall’occhio del fratello. -Fate
dunque agli altri tutto ciò che vorreste facessero a voi; questo è
l’insegnamento della legge mosaica e degli scritti profetici. Scopriamo il messaggio che le parole di Gesù hanno per noi
oggi. In questo brano Gesù
ci ammonisce a non impalcarci a giudici degli altri, seguito subito dalla
motivazione: al nostro giudizio di condanna del prossimo risponderà la
condanna di Dio su di noi. Sulla bocca di Gesù
il giudicare equivale a non condannare, quindi non è l’esercizio di un
giudizio ma dover decidere se una cosa è buona o non buona. Indirettamente
Gesù ci fa capire che per esprimere un parere dobbiamo sempre riferirci a
lui, perché è bene ciò che è bene secondo il suo insegnamento, è male ciò che
è il contrario di ciò che ha insegnato con la vita, l’esempio e le parole. Il fatto è che non
dobbiamo mai per nessun motivo, anche interiormente, esprimere un giudizio di
condanna verso gli altri e men che meno esprimerlo al di fuori di noi; perché
ogni giudizio è dato al Figlio di Dio. Non solo, esiste anche un motivo di
equità, di coerenza affinché noi non giudichiamo, ed è proprio Gesù che ce lo
rammenta:"..perché stai a guardare la
pagliuzza che è nell’occhio di un tuo fratello, e non ti preoccupi della
trave che è nel tuo occhio?". Noi cristiani
dobbiamo essere misericordiosi, cioè non dobbiamo mai condannare. Certo,
condanniamo il male, ma non condanniamo la persona che lo commette, verso il
male dobbiamo essere radicali, molto decisi, però non verso la persona, verso
essa dobbiamo usare la misericordia che tuttavia non significa giustificare,
coprire, non avvedersi del male che c’è, perché non possiamo comportarci come
gli struzzi nascondendo la testa nella sabbia,ma, al contrario, intervenire
con la forza morale dell’amore ricevuto da Gesù. Quindi anche nel
parlare, nel riferire c’è qualcosa di questo condannare, di questo giudicare,
il favorire un certo pettegolezzo, esprimersi senza riflettere, senza
attenzione. Che poi significa esprimere un giudizio temerario, gratuito ed
avventato causando preoccupazione, disprezzo del prossimo (come nel caso di
Lucio), orgoglio e compiacimento di se stessi e moltissimi altri effetti
negativi, tra i quali il primo posto spetta alla maldicenza (non scordiamo
cosa dissero di Gesù e di Paolo la gente del suo tempo). Se si riuscisse a
togliere la maldicenza dal mondo, svanirebbero gran parte dei peccati e la
cattiveria. Strappare il buon nome al prossimo, oltre al peccato di cui si grava,
rimane l’obbligo di riparare in modo adeguato secondo il genere della
maldicenza commessa. Nessuno può entrare nel regno dei cieli portando i beni
degli altri; ora, tra tutti i beni esteriori, il più prezioso è il buon nome,
nel senso più ampio del termine. La maldicenza è un
vero omicidio, perché tre sono le vite: la vita spirituale, con sede nella
grazia di Dio; la vita corporale, con sede nell’anima; la vita civile che
consiste nel buon nome. Il peccato ci sottrae la prima, la morte ci toglie la
seconda, la maldicenza ci priva della terza. Il maldicente, con un sol colpo
vibrato dalla lingua, compie tre delitti: uccide spiritualmente la propria
anima, quella di colui che ascolta e toglie la vita civile a colui del quale
sparla (proprio come accadde a Lucio). Il serpente ha la lingua biforcuta, a
due punte, tale e quale è quella del maldicente, che con un sol colpo ferisce
e avvelena l’orecchio di chi ascolta e il buon nome di colui di cui si parla
male. Seguendo
l’insegnamento di Gesù, dobbiamo non attribuire delitti e peccati inesistenti
al prossimo, a non svelare quelli rimasti segreti, a non gonfiare quelli
conosciuti, a non interpretare in senso negativo il bene fatto, a non negare
il bene che sappiamo esistere in qualcuno, a non fingere di ignorarlo, tanto
meno poi se dobbiamo sminuirlo a parole; agendo in questo modo offenderemmo
seriamente Dio, nostro Padre, soprattutto se dovessimo accusare falsamente il
prossimo o negassimo la verità a lui favorevole; mentire e contemporaneamente
nuocere al prossimo è doppio peccato. Coloro che per
seminare maldicenza fanno introduzioni onorifiche, e che la condiscono di
frasi gentili, o peggio di scherno e ironia, sono i maldicenti più sottili e
più velenosi. Potrebbero dire: "Affermo che gli voglio bene e che è un
galantuomo, - ma aggiungono – la verità (la loro) va detta: ha avuto torto
quando ha compiuto quella perfidia". Oppure: "Quella
ragazza, molto simpatica tra l’altro, è virtuosissima, però in quella
circostanza si è lasciata andare in.."; e simili piccole cornici! Non è chiaro? Non
capite dov’è l’arte? Chi vuol scoccare una freccia, la tira più che può a sé,
ma è soltanto per scagliarla con maggiore forza: si può avere anche
l’impressione che costoro tirino a sé la maldicenza, ma è soltanto per scoccarla
con maggiore sicurezza, per farla penetrare più a fondo nel cuore di coloro
che ascoltano. Non dobbiamo mai
dire: il tale è un ubriacone, anche se l’avessimo visto ubriaco davvero;
quello è un adultero, perché l’abbiamo visto in adulterio; quello è un ladro,
perché una volta ha commesso un furto; è incestuoso perché l’abbiamo sorpreso
in quella disgrazia; una sola azione non ci autorizza a classificare il
prossimo né tantomeno i fratelli o le sorelle. Facciamo un esempio: il sole
si fermò una volta per favorire la vittoria di Giosuè e si oscurò un’altra
volta per la vittoria del nostro salvatore; ma nessuno viene in mente per
questo di dire che il sole è immobile e oscuro. Noé si ubriacò una
volta; e così anche Lot e questi, in più, commise anche grave incesto: non
per questo erano ubriaconi o incestuosi. Così come non si può dire che San
Pietro fosse un sanguinario perché una volta ha versato sangue, né che fosse
bestemmiatore perché ha bestemmiato una volta. Tutto questo per dire che per
classificare uno vizioso o virtuoso bisogna che abbia preso abitudini o fatto
progressi in tal senso. Simone il lebbroso chiamò Maddalena peccatrice,
perché lo era stata prima; mentì, perché non lo era più, anzi era una santa
penitente; e nostro Signore la difese. Dobbiamo sempre ricordare che la bontà
di Dio è così grande che basta un momento per chiedere e ottenere la sua
grazia, come facciamo a sapere che uno, che era peccatore ieri, lo sia anche
oggi? Il giorno precedente non ci autorizza a giudicare quello presente, e il
presente non ci autorizza a giudicare il passato. Insomma, non è lecito da
ieri tirare delle conclusioni per oggi, né oggi per ieri, e ancor meno da
oggi per domani. Tutti oggigiorno si
prendono la libertà di giudicare e censurare (è il degrado dei tempi, che
tuttavia non è una giustificazione), lasciandosi guidare dalla simpatia o per
convenienza: non si deve commettere questo errore, soprattutto in chi si
dichiara credente. Invece quando sentiamo parlare male, sarebbe bene con
ponderata fondatezza, mettere in dubbio l’accusa; se ciò non fosse possibile,
si deve prendere tempo e verificare; oppure si deve cambiare discorso,
ricordando ai presenti che l’unico giudice è Dio. Si deve sempre cercare di
riportare in se stesso il maldicente e se si è a conoscenza di qualcosa di
bene della persona attaccata, si deve dire in tutta onestà, lo sparlatore non
aprirà più bocca. In definitiva tutto
questo diventa naturale nel momento in cui come dice Gesù nel versetto 12
impariamo ad amare il prossimo. Questo comandamento esprime il risultato
ultimo della sua venuta sulla terra, venuto non per annullare la legge di
Mosè e l’insegnamento dei profeti, ma per completarli. E non è tutto, come possiamo costatare si tratta di un amore al prossimo, che ha come misura l’amore concreto che portiamo a noi stessi. Non c’è limite a ciò che vorremmo che gli altri facessero per noi. Illimitata sarà dunque anche l’esistenza del nostro fare per gli altri, se veramente camminiamo secondo l’insegnamento di Gesù. |
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