LE PARABOLE DEL CUORE

Dalla rivista SacroCuore

 

 

 

Tre Parabole, un invito: "Siate pronti"

 

 

 

 

 

Il fariseo e il pubblicano

 

 

 

 

 

 

 

 

Tre Parabole, un invito: "Siate pronti"

 

 

 

Il rimando alla notte pasquale dell'esodo e evidente nella frase: "Siate pronti con la cintura ai fianchi”, proprio come dovevano essere gli ebrei in quella notte, alla vigilia della loro marcia dall'Egitto verso la libertà. Con Cristo si apre il giorno dell'esodo verso la piena e perfetta libertà. Bisogna essere pronti a scattare verso l'orizzonte che sta per schiudersi, uscendo dall'appannamento del sonno: "Tenetevi pronti…". Questo clima di veglia e di attesa pervade tutte le tre parabole di Gesù oggi dipinge per noi.

 

• La prima parabola è quella del padrone che torna dalla festa di nozze a notte fonda e, vedendo i suoi servi ancora svegli ed attivi, si offre, pieno di simpatia e di amore, di imbandire loro una cena. Il Cuore di Gesù è pieno di sensibilità e di bontà.

 

• La seconda parabola ha per attore principale  un ladro che a sorpresa irrompe in una casa, scassinando e depredando: Gesù pone l'accento non sul furto, ma su quell'elemento di inaspettato che comporta ogni rapina. Anche l'ingresso di Dio nel mondo e una sorpresa che sconvolge le abitudini e le distrazioni, e il Cuore di Gesù la paragona addirittura a un ladro.

 

• La terza parabola è quella dell’amministratore fedele e saggio che e pronto a consegnare al padrone i bilanci della casa, in qualsiasi ora il padrone lo chiami. L' errore fondamentale sarebbe quello di pensare: "Se il padrone tarda a venire…".

 

La frase racchiude la tentazione dei tempi dell'evangelista, quando alla fede e all'amore dei primi tempi stava subentrando la freddezza, l'indifferenza, il rimando della conversione. Ecco allora l'appello ripetuto di Gesù: "Siate pronti!", non tiepidi di cuore, ma come sentinelle in attesa dell'aurora. "L'anima mia attende il Signore più che le sentinelle l’ aurora” (Sal 130,6). La vita cristiana è come una lunga veglia che conosce la calma sicura dello spuntare del sole ma che si svolge in una attesa fatta di certezza e di sorpresa, di fortezza e di  speranza.

 

 

Il fariseo e il pubblicano

 

Gesù raccontò un’altra parabola per alcuni che si ritenevano giusti e disprezzavano gli altri. “  Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che  non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti,, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato” (Lc 18,9-14).

Il Dio predicato da Gesù e il Dio dei disperati, degli esclusi, dei condannati dalla società, da chi non trova in sé la propria salvezza. Il peccatore che si umilia rinasce giusto: prega con verità. Il giusto superbo, che prega, per farsi bello, diventa peccatore: la sua preghiera è falsa. Per Luca la parabola e a volte una storia vissuta e vale tanto per i farisei quanto per coloro che, in tutti i tempi e in tutti luoghi "si ritengono giusti" e disprezzano gli altri. Gesù non rimprovera il fariseo di non digiunare, di non pagare la decima. Lo rimprovera di credere che quello che egli fa lo isoli dagli altri e gli dia il diritto di disprezzarli. Ma gli errori degli altri serviranno a renderci giusti.

Il pubblicano non sa dire che una cosa: "Abbi pietà". Dobbiamo imitare non tanto quello che fa e dice, quanto quello che non fa e quello che non dice; non parla degli altri, non critica gli altri, non "stronca" gli altri. La sua propria miseria gli basta. Egli fa conto solo sulla grazia di Dio, solo così può essere giusto. Si può pregare nel segreto del cuore, in cima al monte, nel tempio famoso o sconosciuto. E quando l'uomo prega ha sempre uno spettatore: quel Signore che ama e invoca- Ma l'orante autentico dà uno spettacolo non solo a Dio ma a chiunque lo vede. Spettacolare e la preghiera purificatrice di migliaia di indù nelle acque sacre del Gange. Spettacolari i mussulmani quando pregano nello moschee e per le strade, prostrati con il volto a terra o le braccia alzate. Spettacolare è la Messa celebrata dal Papa in qualsiasi piazza del mondo. Interessante l'esclamazione piena di meraviglia di un ragazzo in piazza S. Pietro gremita di fedeli, per la Messa del Papa: "Quanta gente! E tutti per vedere un vecchio pregare!".

La parabola si ripete nelle chiese, nelle moschee, nei templi, nelle sinagoghe e in altri luoghi di culto. Ma anche in molti spettacoli cinematografici e teatrali. Forse le due formule evangeliche non vengono recitate alla lettera, ma i sentimenti, del fariseo e del pubblicano, sì, sono vissuti con la medesima intensità e motivazione. La preghiera e il momento di rivelazione di quell'Amore che sulla  terra si intravede appena. Così nel Diario di un curato di campagna, ne La conversa di Belfort, in Un  condannato a morte è fuggito, è il movimento della volontà umana che si dirige verso Dio, solleva dalla miseria e ottiene quella Grazia che trasforma la speranza umana in certezza. Nella preghiera poniamo la nostra fiducia in Dio e non in noi stessi o nei nostri meriti. La parabola insegna che colui il quale con umiltà sì riconosce "peccatore" davanti a Dio e ai fratelli, o ascoltato dal Signore.

I due protagonisti dicono, nella loro preghiera, cose vere. I farisei infatti erano dei profeti osservanti della Legge e delle minime prescrizioni. Avevano una vita ascetica non indifferente: digiuno due volte la settimana, mentre la Legge lo prescrive una volta all'anno. La stonatura sta nell'atteggiamento del fariseo. Egli non fa una preghiera, ma una contemplazione di se stesso; non ha niente da chiedere, ma solo da

presentare le sue benemerenze. Mentre il pubblicano non ha nulla da far valere se non la coscienza della sua indegnità. Il fariseo ostenta la sua virtù, come opera sua, come sua conquista. Quindi Dio deve salvarlo …, Il pubblicano si avvicina alla preghiera del vero credente, identificato in Maria e il suo "magnificat".